Dodici giorni
10 ottobre 771, nei pressi della Cattedrale di Aquisgrana
Carlo Magno quella mattina di ottobre, così fredda, doveva incontrarsi con l’architetto Oddone da Metz, per cominciare ad ipotizzare la forma che avrebbe assunto la Cappella Palatina che qualche anno dopo sarebbe stata costruita all’interno della cattedrale della città: “Avrà una costruzione ottagonale, ottagonale perché sette i giorni della creazione, più uno, perché uno è il simbolo di Dio; sarà sostenuta da forti pilastri, preceduta da un quadriportico, lo spazio ottagonale sarà circondato da un deambulatorio a due piani, in cui le grandi aperture della galleria saranno articolate da due ordini di colonne corinzie, il trono sarà posto in una loggia al piano superiore e questo sarà sorretto da due torri che descrivono l’ingresso. Tra le decorazioni ci saranno porte e transenne bronzee, quest’ultime nella galleria al primo piano. Anche marmi colorati domineranno la visuale della cappella, creeranno un effetto di accecante sfarzo…” diceva il re, quando ormai giungeva il pomeriggio.
All’improvviso, Carlo fu interrotto dalle grida di una donna provenienti dal fondo della strada: congedò Oddone e si diresse velocemente verso la fine di questa per rientrare a palazzo; in quello stesso momento, le urla si bloccarono e svanirono del tutto.
13 ottobre, fuori dal castello dei re
Carlo aveva da sbrigare alcune faccende con il generale dell’esercito Friedrich Zodek. Cominciarono a programmare attacchi in Italia, ma si preoccuparono principalmente delle mosse del re Desiderio, che davanti al ripudio della figlia non sarebbe certamente rimasto immobile.
Ad un tratto il generale divenne pallido come fosse appena stato preso da una sensazione di nausea, poi iniziò a toccarsi la testa, a causa di una fortissima emicrania…poi tornò nelle condizioni precedenti ignaro di cosa fosse accaduto nel suo corpo.
22 ottobre, alla grande cena nel palazzo reale
Quella sera era presente tutta la corte, c’erano tutti coloro che amministravano la giustizia, il capo dell’esercito, tutti i fidati di Carlo e di Carlomanno. La tavola presentava tanti di quei piatti differenti, che addirittura il cibo avanzò per giorni, i flautisti suonavano, nessuno si mostrava disattento ai discorsi dell’Imperatore, ma all’improvviso una testa si abbassò, come se avesse l’intenzione di cercare qualcosa sotto il tavolo e non si rialzò. Sangue dal naso, corpo a terra a pieno peso, addio a Zodek…
23 ottobre, ad Aquisgrana…
Il funerale si era concluso, tutti uscirono lentamente dalla cattedrale, in cerca di risposte, in cerca di qualcuno che sapesse rispondere a tutti i dubbi.
Friedrich Zodek era sempre stato un buon uomo, almeno così tutti lo identificavano, sicuramente severo, pianificatore, ma buono, eppure qualcuno non lo voleva più in quella città, qualcuno voleva liberarsi di quell’uomo per sempre.
E non è bello nascondere qualcosa nel profondo, ma quella bellissima donna, quella dolce e sensibile donna, non aveva avuto pietà, nessuno sapeva quanto lei potesse essere vendicativa. Ermengarda amava il suo Carlo, non l’avrebbe mai abbandonato, da quel matrimonio era nato qualcosa in lei che mai aveva sentito prima; era la moglie del re, chi mai avrebbe approfittato di lei, chi mai avrebbe avuto coraggio di abusare di una donna tanto importante? Un desiderio che non sarebbe venuto in mente a nessuno, tranne a qualcuno molto vicino al Re, a riparo dalle insinuazioni. D’altronde Friedrich non pensava di avere di fronte una futura assassina.
Lei non scelse il cianuro che aveva effetto immediato, ma un suo derivato che aveva conseguenze miste e che colpiva diversi sistemi dell’organismo, provocando emicrania, spasmi, gonfiori, bolle, pallidezza; era un veleno che lavorava nel corso dei giorni, e in meno di due settimane portava alla morte. Lo aveva provato su una povera donna del villaggio. Poteva essere assorbito tramite il contatto con la pelle, e c’era una sola cosa che Friedrich portava sempre, i suoi guanti. La sera stessa del 10 ottobre, dopo aver ritirato il veleno che da tempo aspettava dal servo Jurgen, e con poche e temerarie parole lei, la regina, lo costrinse a spargere quell’unguento all’interno dei guanti del generale. Dodici giorni, solo dodici giorni e quell’approfittatore sarebbe scomparso per sempre.
(Arianna)