Quindici dame
Quindici dame, quasi tutte da famiglie ricche e nobili, tranne qualcuna che invece era conosciuta per particolari talenti o per la sua bellezza. Vennero riunite dalle guardie nel cortile principale della reggia di re Carlo, in Francia; la giornata era afosa ed erano solo le due del pomeriggio quando le dame, sudanti nei loro abiti a balze, videro per la prima volta il loro re. L’uomo che tutte le donne fissavano a bocca spalancata sembrava poco interessato alla loro presenza, svogliato e senza sentimenti palpabili. Ad un suo cenno le dame e i servitori si inchinarono solennemente e alle sue spalle apparve un secondo uomo, più basso e vestito di tutto punto, sfregiato in volto da una cicatrice; comunicò dove ciascuna dama potesse riposare e pernottare all’interno della corte esortando i corrispettivi servitori a riporre i bagagli nelle stanze indicate. Disse inoltre che sarebbero state radunate nella Sala del Trono poco prima di cena e che avrebbero rimandato ad allora le presentazioni. Il silenzio del re aumentava la curiosità delle dame che invece non vedevano l’ora di fare la sua conoscenza.
Riposate e rivestite le quindici dame vennero scortate dalle guardie reali nella Sala del Trono alle sette in punto; seduto, le stava aspettando il re.
Le dame più esuberanti cominciarono a sgomitare per dire il proprio nome e parte della loro storia; sembravano civette tutte uguali che litigavano per accaparrarsi l’attenzione nella sala. La sera calava come la voglia del re di starle a sentire.
Arrivò il turno della quindicesima: era una popolana, conosciuta per la sua voce soave; non era né magra né canonicamente perfetta, non era femminile o sensuale. Era strana ma affascinante mentre cantava, era diversa dalle altre dame nella sala, era imbarazzata non pretenziosa, curiosa ma rispettosa. Per il re fu una sorpresa: lei era la sua ultima speranza e non l’avrebbe lasciata andare via prima di averla conosciuta. Le riservò uno sguardo intenso e incuriosito mentre le altre donne, gelose e agitate, la guardavano male.
Quella sera stessa il cadavere della popolana dalla voce soave venne trovato nella Sala del Trono, ferito da numerose coltellate lungo la schiena e l’addome. Nessuno avrebbe mai più sentito il suo canto. Per gelosia uccidere una donna, improbabile regina? Chi era l’omicida?
Solo anni dopo venni a scoprire la verità. Ed io che sono un prete, un uomo fedele alla Chiesa, non confesserò ad anima viva il mio nome, io depositario di una storia orribile.
”Mi pento, Padre, di errori indicibili. Mi pento di amare il mio re, anche se fingo soltanto di essergli servo, mi pento di non aver mai avuto il coraggio di ammetterlo prima di ora, mi pento di non aver dato senso alla mia vita. Due anni fa una famiglia potente mi chiese di far sposare la figlia al mio Signore, insistendo sulle sue fortune. Il piano cominciò ad andare storto quando il re rimase incantato da un’altra pretendente, una popolana di cui solo la voce lo aveva fatto innamorare. Andai nel panico e la uccisi con queste mani. Ho venduto la mia anima per nulla, o Padre, e sono innamorato di una persona che non ricambierà mai il mio sentimento, il mio Signore. Ho fatto del male per amore, io sfregiato nel volto e nell’animo, e ho nascosto per anni il mio sentimento: ora sono qui a confessarmi davanti a Dio. Nessuno può perdonarmi per ciò che ho fatto: ho ridotto al silenzio con le mie mani quell’usignolo, ho fatto giustiziare quindici dame sospettate di omicidio. Ora, impazzito, sentirò quel canto e quelle voci nelle mie orecchie in eterno”.
(Agata)