Un omicidio di Stato
Fuori pioveva, una lieve pioggerellina primaverile che velava l’aria tutt’intorno alla biblioteca. Insieme ad essa cadevano, trasportati dal vento, anche i primi petali degli alberi in fiore. Nell’ampio ambiente della biblioteca l’atmosfera era pesante e tetra. Vi era molta più gente rispetto al normale, ma nessuno osava fare un fiato. Alcuni scambiavano qualche bisbiglio curioso, ma niente di più. Molte fanciulle nascondevano i volti, altre lasciavano la biblioteca con un’espressione turbata. All’improvviso il grande portone si spalancò, ed irruppe affannato nella biblioteca il maestro di palazzo Aega. Si diresse velocemente verso la calca che, vedendolo arrivare, si apriva lasciandogli libero il passaggio.
Alla vista del monaco Bernone, steso a terra in una pozza di sangue di un rosso violaceo e con la leggera tunica color ardesia ormai tanto impregnata dal sangue da aver cambiato colore, persino la compostezza del maestro di palazzo lasciò il posto a una smorfia di rammarico.
Subito fece allontanare la folla, incitandola a lasciare la biblioteca. Nel frattempo un servo, che poco prima aveva spedito a chiamare il medico di corte, era di ritorno insieme a quest’ultimo e a qualche suo collaboratore. Il medico, chinatosi velocemente sul corpo esanime del monaco, iniziò ad annotare le condizioni della vittima, la veste, le lesioni e tutti gli indizi che riuscì a cogliere a colpo d’occhio.
Terminata questa prima indagine, il medico ritornò al palazzo per riferire al sovrano il quale non si era scomodato dalla sua dimora per non creare ulteriore scalpore. Al suo seguito c’era il maestro, che aveva lasciato la biblioteca subito dopo aver incaricato alcuni uomini di portare il corpo dell’uomo al palazzo e ripulire il pavimento.
La notizia della morte del monaco si diffuse velocemente nella città di Aquisgrana: l’intera città era in lutto.
Passato il turbamento, dopo i primi giorni ognuno iniziò ad ideare una propria teoria per spiegarsi lo sviluppo della vicenda: c’era chi diceva che il monaco era stato vittima di una vendetta nei confronti del re, essendo a lui molto vicino; chi ipotizzava si trattasse dell’invidia di altri monaci vista la notorietà che aveva raggiunto per le sue gesta di bontà. Qualcuno invece temeva che il pover’uomo fosse sfortunatamente stato vittima di un assalto di banditi e non si fosse potuto difendere. C’era poi anche chi azzardava l’ipotesi di un conflitto con uno dei suoi “alunni” che era andato troppo oltre…
Nel frattempo, mentre il popolo imbastiva tutte le teorie possibili, a corte il re era costernato. Negli ultimi due anni il monaco aveva più volte affiancato il sovrano, e si era creato un rapporto abbastanza confidenziale fra i due, tanto che il re aveva iniziato a chiedergli consiglio anche per faccende non strettamente legate all’istruzione nella biblioteca.
Dopo essersi confrontato con il medico, il re ordinò che fossero interrogati coloro che il giorno precedente avevano frequentato le classi del monaco alla biblioteca
Il medico e il maestro di palazzo Aega iniziarono quindi ad interrogare uno ad uno i presenti, dividendoseli. Nove furono interrogati da Aega e gli altri sei dal medico e, nel giro di qualche ora, la stanza era nuovamente deserta. Tutti i convocati erano potuti tornare nelle loro case e ai due “inquisitori” non restava che rianalizzare le trascrizioni dei colloqui. In particolare quello del militare Dionigi, umiliato costantemente durante le lezioni da Bernone.
Perché mai un uomo tanto buono com’era il monaco Bernone, che mai aveva fatto prepotenza verso alcuno, studente o altri che fosse, avrebbe dovuto provare tanta antipatia nei confronti di un uomo stimato dal re?
Qualche ora dopo, era ormai il crepuscolo, e il volto provato del re si rianimò scorgendo il servo, che aveva inviato, giungere nella sala accompagnato dal sospettato.
Dopo aver fatto accomodare “l’ospite” e aver congedato il servo, il re attaccò con furia il militare: questi, ancora molto confuso, non si tirò indietro e raccontò ciò che aveva detto la mattina al consigliere del re, senza alcun indugio. Era ormai notte quando sei guardie reali fecero bruscamente irruzione negli alloggi del maestro di palazzo, seguite dallo stesso re, e colsero Aega seduto a guardar fuori dalla finestrella della camera con aria malinconica. Vedendo entrare con tanta foga le guardie e il suo imperatore, non gli ci volle molto a capire che il piano non aveva funzionato e che Carlo Magno, uomo acuto qual era, aveva capito tutto. Non si oppose e lasciò che lo portassero nella sala del trono, dove avrebbe confessato, prima di essere giustiziato l’indomani stesso.
Raccontò di come, quella fatidica sera, avesse atteso che l’ultima classe lasciasse la biblioteca. Era poi entrato furtivamente e scorgendo subito il monaco ai piedi della grande libreria, gli era andato incontro, fingendo di avere una lettera da Sua Maestà. Dopo averlo avvicinato abbastanza, senza una parola, aveva assestato un colpo, unico e preciso alla tempia, ed era poi fuggito, prima d’esser visto da qualcuno. E aggiunse: «La cultura del popolo non rafforza un regno, anzi può condannarlo alla sua stessa rovina, mettendo a repentaglio la sovranità. Bernone era un maestro troppo bravo ed esigente, voleva che i suoi allievi migliori entrassero negli ambiti più intimi della politica e della retorica, non ammettendo indecisioni. Troppo interesse per quel militare, troppa stima troppa hybris nell’insegnamento. È come dare lo scettro in mano ai popolani… L’ho fatto per proteggervi, mio Sire».
(Cecilia)