Una splendida patena

Michela Nocita
#iorestoacasa #StayAtHome
4 min readMay 13, 2020

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Aquisgrana, Germania, 771 d.C.
In quella notte di tranquillità, la reggia del grande Carlo Magno giaceva addormentata. La luna rischiarava le grigie pietre che la innalzavano, e penetrava con i suoi raggi nelle numerose stanze del castello. Ma non tutto era sereno. Carlo Magno, con il suo mantello azzurro cielo che gli copriva le spalle, insieme al suo fedele compagno Oliviero, avvolto nel suo mantello color porpora, discutevano nella piccola sala adiacente alla stanza da letto di Carlo. Stavano esaminando le prossime mosse da compiere nei confronti dei territori nemici. Giunsero a parlare di come attaccare il territorio di Ermengarda, la ormai ripudiata moglie di Carlo. Ci fu silenzio. I due non si guardarono nemmeno negli occhi; Carlo per la vergogna e il senso di colpa, e il suo fedele amico per il grande segreto che teneva nascosto. Oliviero parlò: “Mio caro amico, ma perché lo avete fatto, perché l’avete ripudiata… Una donna così bella, colta, e acuta… come avete potuto!” “Da dove vi viene il coraggio di pronunciare tali parole sulla donna di qualcun altro?” “Da dove mi viene in coraggio dite voi… dal sentimento più profondo e nascosto che l’uomo possa provare… dall’amore, questa è la realtà!” rispose Oliviero “Voi ne eravate innamorato? Ma certo che lo eravate, è chiaro… e non me lo avete detto. Ormai non posso più fidarmi di nessuno” disse Carlo “Allora se vi chiedessi di scegliere tra me ed Ermengarda, chi scegliereste?” domandò Carlo, teso. “Ma amico mio non potete farmi una domanda del genere!” rispose sbalordito Oliviero “Non ditemi cosa posso, o non posso fare… lasciatemi solo”.

Carlo si svegliò di soprassalto, come se qualcosa lo stesse attaccando. Ma nella sua stanza, come in tutto il castello regnava il silenzio… fino a quando un urlo di terrore lo fece sobbalzare e correre all’esterno. La sua serva, con uno sguardo di orrore, indicava un cadavere sporco di sangue che giaceva a terra. Chinato su di esso un uomo piangeva. Carlo si accorse che l’uomo appena ucciso era niente di meno che Oliviero. In preda al panico e alla tristezza, prese il pugnale che teneva nascosto al lato del suo stivale destro, e lo puntò alla gola dell’uomo piangente, chiedendogli ripetutamente perché lo avesse fatto. Poi si rivolse alla cameriera “Tu cosa hai visto?” “Vostra maestà io ho visto esattamente ciò che avete visto voi: il corpo a terra e il servo accovacciato sopra di lui” risposte in fretta la serva.

Alle prime luci del mattino, con il cuore colmo di tristezza ed angoscia, Carlo si recò scortato dai suoi uomini, nel cortile interno del castello dove era stato allestito un patibolo. Su di esso, con una corda al collo si dimenava il povero servo, tra lacrime e suppliche. E così il servo affrontò la morte.

Tornato all’interno del castello, Carlo volle recarsi un’ultima volta sul luogo dell’omicidio, per rivolgere una preghiera all’amico ormai defunto. Arrivato sul posto, poco prima di iniziare a pregare, guardò l’opera appesa alla parete in corrispondenza del luogo del delitto. Pensò a come il suo amico prima di morire, avesse avuto l’onore di rivolgere un ultimo sguardo a quel capolavoro. L’opera era “la patène de serpentine” un piatto, più precisamente una patena, circondata da gemme di ogni colore e tipo, sulla quale erano disegnati dei pesciolini dorati. Carlo, in modo sarcastico, si congratulò con l’assassino per aver scelto almeno un luogo degno del suo amico. Scelse di rivolgere una preghiera a Gesù Cristo, rappresentato anche sull’opera attraverso i pesci e trovò pace momentaneamente. Ma, finito il raccoglimento, Carlo riprese ad angosciarsi, non per la tristezza, ma per un dettaglio del quale si era accorto. Sotto un mobile appoggiato al muro c’era un pezzo di stoffa. Il suo colore era una gradazione unica nel suo genere: azzurro cielo. Una sola persona a corte portava dei vestiti con quel colore: lui stesso. Scosso dalla vista di questo pezzo di stoffa, lo prese in mano e si recò in camera. Ne era ossessionato. Si sedette sul letto, alzò lo sguardo e lo rivolse allo specchio. In quel momento come per magia, un fiume di ricordi si insinuò nella sua mente. Vide Oliviero, vide come si dimenava e cercava di fuggire, vide come aveva afferrato il suo mantello azzurro e come aveva tentato di strapparlo prima di essere trafitto dalla mano di Carlo. E cercò di convincersi che in fondo, la vita dell’amico, come quella del servo non avevano molto valore. Alla fine erano stati soltanto due sacrifici necessari per la gloria del suo impero.

(Marta)

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Michela Nocita
#iorestoacasa #StayAtHome

Sono archeologa epigrafista greca, insegno al Liceo Classico Pilo Albertelli di Roma