Amore greve

Jacopo Giorgi
‘Stella Maris’ di Jacopo Giorgi
10 min readMay 19, 2019
(Ansa)

“Senti, Mario, mi sa che un posteggio vero stamattina ce lo sognamo. Io mi fermo qua.”

L’ispettor Messarini piazzò l’auto in doppia fila e si tolse la cintura di sicurezza, mentre il commissario Caravottolo continuava a fissare la strada. Due tipi se ne rimanevano appostati tra i cassonetti e il semaforo all’incrocio con Viale dei Velleri con una faccia tra l’immusonito e l’assonnato. Messarini parve accorgersi dello sguardo inquisitivo del collega.

“Magari ci danno un occhio loro, no? Metti che arriva la municipale.” buttò lì.

Il commissario spalancò gli occhi su Messarini.

“Ottima idea. Uno dei due una volta lo stavo pure arrestando. Ricettazione, mi pare.”

“Dopo tutti sti anni in giro ancora ti ricordi le facce di quelli che arrestavi qui a Ostia? Manco che arrestavi, che stavi per arrestare...” L’ispettore scosse la testa premendo il pulsante delle quattro frecce. Poi fece per raccogliere il marsupio che aveva infilato nel vano della portiera della Punto, quando un’ombra azzurrata affiancò la loro auto da sinistra. Si girò a guardare verso la carreggiata e riconobbe un collega in divisa a bordo della volante.

“Ma sempre qua state!” Messarini abbassò il finestrino con una smorfia.

“Scusi, ispettore, non avevo visto che era lei” rispose il tipo dalla volante. Poi, allungando il collo, accennò un sorriso verso Caravottolo: “commissario, ma c’è pure lei? Allora è vero, è tornato!”

“Mi mancava il caffè di Ostia.” Caravottolo non si ricordò di abbozzare a sua volta un sorriso e la battuta rimase incastrata, come a penzoloni tra le due auto.

Salutata la pattuglia, entrarono in un bar dall’altra parte della strada. Il cassiere se ne stava appollaiato nel suo angolino. Immerso nel vociare misto a sbattere di piattini e tazzine, distribuiva buongiorni e scontrini. Messarini lo raggiunse, pagò due caffè e un cornetto alla crema, poi si girò su se stesso per andare a infilarsi tra i clienti al bancone. Si assicurò che il commissario l’avesse seguito, quindi appoggiò due monetine sulla lastra di marmo in attesa di essere servito. Caravottolo intanto continuava a guardarsi attorno. Una donna finiva un cappuccino parlando al cellulare. Pensò che i chirurghi che si erano avventurati sulle sue labbra non avevano fatto un gran lavoro: a ogni sorso faticava a non lasciarle attaccate alla tazza. A fianco a lei un’adolescente digitava sull’iphone, incurante della conversazione di sua madre.

“Te l’eri dimenticata sta fauna, eh, Mario? Ma, dico, a Rovigo non stavi bene?” fece Messarini addentando il cornetto. Una lacrima di crema gli scivolò sul pollice.

“Bene? E’ una questione di prospettive” rispose il commissario esaminando una delle tazzine. Poi, rivolto al barista che li aveva serviti: “nel mio ci mette un po’ di grappa?”

Prese un tovagliolino e pulì il bordo aspettando che quello gli versasse mezzo dito di liquore nel liquido scuro. Messarini, intanto, si leccò la punta del dito seguendo ogni gesto del collega come una telecamera alle prese con una specie in via d’estinzione.

Poi prese coraggio: “e tua moglie?”

“Mia moglie? Che ha mia moglie?”

“No, vabbé, non m’hai detto niente.”

“Forse a un certo punto mi raggiungerà qui. E’ ancora presto. Non so.”

Caravottolo scosse una bustina di zucchero. La guardò un secondo, poi tornò a rimetterla dove l’aveva presa e buttò giù d’un sorso il suo caffè corretto, quasi fosse una medicina.

*

Perché stavo lì? Il dottore dice sempre che non c’è niente come il sole per i reumatismi. Dice anche che devo andare in spiaggia, che è meglio, così ci faccio le sabbiature. Ma a me non va tanto. Sempre pieno di gente lì, pure a settembre. E così quel pomeriggio me ne sono andato alla piscina di Via delle Prore. Sì, è lì che l’ho agganciata.

L’avevo guardata mentre faceva il morto a galla in solitaria in un’acqua che pareva una lastra di preziosi. Sembrava proprio se la fossero dimenticata. Galleggiava in quel rettangolo azzurro. Come una bambolina, con gli occhi aperti che si perdevano nel cielo. Poco lontano una coppia s’era appisolata a pancia in su. Due buzzurri abbrustoliti, la donna con le tette cadenti e il marito con una pancia che faceva invidia alle tette di lei. C’era il vento fresco, quello che ti ricorda l’estate che finisce, ma che ti fa anche pensare che in fondo va bene così. Lei se n’era uscita dall’acqua tutta infreddolita. Addosso c’aveva quel costumino con l’elastico slabbrato. Sembrava buono giusto a coprirle il sederino. Solo a quello. Questo, però, non lo mettete a verbale. Dovete scrivere tutto, ma proprio tutto?

Un gelato all’amarena, le ho offerto. Un’esca piccola? Sì, vabbé, questo lo dite voi.

E quando l’ha finito l’ho portata a fare un giro agli Aquiloni. Li odio i centri commerciali, Dio se li odio. Ma mi bastava sapere che poi me la ritrovavo lì davanti a ridere contenta. E infatti, quando l’ho vista uscire, con tutti quei sacchetti, ho pensato che forse un sorriso così non l’aveva più fatto da quando le avevano messo l’apparecchio.

Una camicetta gliel’avevo comprata anch’io, lo sa? Con il tessuto un po’ velato, tutto crespe. Com’è che lo chiamano? Ci siamo capiti. Gliel’avevo comprata mentre si provava altre cose. Cianfrusaglie, dico io. E gliel’ho data dopo, gliel’ho data. Per farle una sorpresa.

“Wow! Per me? Ma sei sicuro?” così ha detto.

“Certo, e per chi?”

Aveva fatto due occhi così, come se a un poveraccio gli regalano un pezzo di Paradiso.

Non lo so che è stato, ma m’ha fatto ridere e mi ricordo che m’ha fatto quasi cascare la sigaretta. Ho riacceso il motore sorridendo, la sigaretta la tenevo quasi tra i denti.

“Dai che andiamo in un bel posto” ho detto.

Che dice? Avete trovata una camicetta uguale in un cassonetto? E che vuol dire?

*

A Caravottolo non fu difficile localizzare il punto dove era stato ritrovato il cadavere. Sapeva che si trovava a cento metri dal pontile. Il nastro che transennava la zona delle indagini e i due della scientifica che passeggiavano in tuta bianca gliene diedero la conferma: il reato si era consumato nei pressi di Piazza Anco Marzio, vicino alla Rotonda di Ostia Mare. Pieno centro, insomma, l’avevano scritto anche i giornali.

Si guardò attorno facendo scivolare lo sguardo sui palazzi inizio secolo e poi su quella spiaggia da fine stagione. Sul litorale le sdraio erano sparite e con loro parevano essersi volatilizzati anche gli addetti alle pulizie. Per terra legnetti, alghe, qualche mozzicone, una scatoletta di Hatù. Sulla recinzione dello stabilimento balneare più vicino svolazzavano nastri di vari colori, qualche mazzetto di fiori, dei bigliettini lasciati da amiche. C’era anche un orsacchiotto di pelouche. Rabbia e compassione, pensò. Niente che non avesse già visto. In passato. A solo un chilometro da lì, peraltro.

Si accese una sigaretta riparandosi dal vento dietro a un capanno. Attese che Messarini facesse lo stesso. Poi parlò.

“La famiglia è stata qui?”

“Solo quando abbiamo rimosso il corpo.” Sospirò. “Non era una bella scena, commissario.”

Guardandolo Caravottolo si ricordò di quanto fumasse lento Messarini, sempre. Faceva tutto lento, lui. Era anche una sua dote.

“Il riconoscimento lo devono farlo loro però” disse infine.

“C’ha già pensato il padre, è venuto da Nettuno apposta.” Messarini fece una mezza pausa, poi forse ritenne fosse il caso di completare il quadro: “lui e la moglie sono separati.”

Caravottolo intanto teneva le dita a conca per riparare la brace della sigaretta dall’aria.

“Segni di violenza sessuale?”

Messarini incontrò lo sguardo del collega: “attendiamo conferme dai medici.”

Poi anticipò la domanda successiva: “abbiamo fermato uno, l’altra sera.”

Caravottolo strisciò la suola della scarpa sulla gettata di cemento che segnava il limite dello stabilimento balneare, come se si preparasse a una corsa. Poi partì con le domande.

“Età?”

“Cinquantatre.”

“Nazionalità?”

“Ostiense.”

“L’ha visto qualcuno?”

Il commissario diede due tiri di fila. Lui non ce la faceva proprio a fumare lento.

“Una coppia di anziani. Li hanno visti uscire assieme dalla piscina. La moglie è sicura, il marito non tanto, ma dice che se sua moglie si ricorda allora non ci sono dubbi.”

“E poi?”

“Il tizio del bar dietro all’idroscalo. Quando l’ha visto arrivare al bar era meravigliato. Era con una ragazzina che somigliava a sua figlia. Poi però c’ha pensato, non gli tornava.”

“Nessun altro?”

L’ispettor Messarini si grattò dietro la testa. Poi quasi sbottò: “Mario, è lui.”

Caravottolo rivolse lo sguardo altrove e annuì.

“Lo voglio interrogare” sentenziò dopo un silenzio lunghissimo.

“No, aspetta, ce ne occupiamo noi.”

“E’ per lui che sono tornato. Lo sai anche tu.”

“E che credi che non l’ho capito? Però, dico…”

Caravottolo si liberò della cicca gettandola tra la sabbia e s’incamminò spedito verso il punto da dove erano arrivati. L’ispettore raccolse il mozzicone e lo lanciò oltre la zona transennata dalla scientifica. Poi andò dietro al collega.

“Aspetta, Mario.”

*

Ecco, sì, una sigaretta l’accetto volentieri.

Ma qui si può fumare? Una sigaretta al tramonto ci sta. Dico la verità, quando vedo il sole che affonda nel mare mi sembra tutto diverso, pulito. Come glielo spiego? E’ che a guardare uno spettacolo del genere uno finisce per sentirsi una brava persona. Uno come gli altri, uno che sa amare. Beh, e che ho detto?

La vuole sapere una cosa, commissario? Sta figliola la vedo anche nel bel mezzo della notte, dipinta sui muri della stanza. Le labbra rosa, i capelli lunghi, rossi. Paiono di ruggine.

(pausa)

Posso restarci delle ore. Se ci sto attento riesco pure a sentire la sua voce che m’interroga.

“Ma davvero hai una figlia te?”

“Sì che ce l’ho. Non ce la posso avere una figlia, io?”

E lì s’era zittita. Mi ha fatto quasi pena, mi ha fatto.

“Dai che scherzo…” ho aggiunto subito. Ma mica scherzavo, sa? Mi sta sulle scatole quando mi chiedono di mia figlia. Lei però ha ripigliato a fare domande, una dietro l’altra.

“E quanti anni ha?”

“Eh, quanti anni c’ha. Lo sai che adesso non me lo ricordo?”

“No, dai, sul serio. Quanti anni ha?”

“Avrà la tua età, avrà.”

Ho parcheggiato dietro l’idroscalo e siamo andati in un bar che conoscevo io. C’era un tavolino fuori, proprio sul canale. Da ragazzini in quel posto ci si andava a pescare. Quella sera, però, a parte Silvia, ragazzini non ce ne stavano. Solo le cicale ci stavano. Titì-titì titì-titì, cantavano così forte che non si sentiva nient’altro. Lei mi fissava e io che mi pareva che stavamo in una favoletta, fatta e finita. Ho tirato fuori il pacchetto di sigarette e l’ho appoggiato sul tavolo mentre finivo la China col ghiaccio. Le ho chiesto se ne voleva una, così, per ridere, e lei se n’è restata lì a guardare, senza dire né no né sì, con quella faccina seria.

“Bella, bella proprio. E muta pure. Resta così, Silvia, resta sempre così.” Questo non gliel’ho detto, ma mi sa che facevo meglio a dirglielo perché lei ha riattaccato con le domande.

“Tua figlia l’hai mai portata qua?”

Ho buttato fuori il fumo dal naso e ho sfregato la punta della sigaretta nel posacenere.

“Questo è un posto speciale, sennò mica ci venivamo.”

“Insomma, ce la portavi o no?”

Il bicchiere l’avevo svuotato e mi restava in bocca solo il gusto della Marlboro.

“Vedi là?”

Ho allungato un braccio per indicarle l’angolo delle slot machine.

“Che c’è?” L’ha chiesto come una bambina che vuole che gli racconti il resto della storia.

“Là ci stava il distributore delle palline di plastica con le sopresine dentro. Mia figlia mi chiedeva sempre di prendergliene una.”

Mi ricordo che ho tirato su col naso Cercavo un fazzoletto, ma non ce l’avevo.

“Poi, però, me l’han portata via e così, da allora, qua ci vengo da solo.”

Silvia mi stava a sentire grattandosi una puntura di zanzara sul braccio. Mi son fermato a fissarla ripensando a mia figlia.

“E perché te l’han portata via?”

“Perché non ha saputo starsene zitta, non ha saputo.”

*

Il pontile si slanciava verso la spiaggia appena dopo l’incrocio della Rotonda su un tratto di lungomare di solito molto frequentato. Era una mattina calma, senza la benchè minima bava di vento e regnava la serenità dei giorni migliori, quelli che non ti aspetti. A passeggio c’erano più che altro anziani, ma anche dei ragazzetti che quel giorno avevano deciso di fare sega a scuola.

Messarini raggiunse Caravottolo sul tratto finale del pontile. Il collega stava infilandosi un paio di occhiali da sole che aveva tirato fuori dal taschino interno della giacca. Di fronte a lui uno straniero dalla pelle ambrata pizzicava le corde di una chitarra accucciato contro la balaustra. Dalle sue labbra faceva partire un lamento armonioso.

Dicen que por las noches no más se le iba en puro llorar

dicen que no comía, no más se le iba en puro tomar.

I due colleghi si fermarono ad ascoltarlo a pochi passi di distanza. Caravottolo aveva riconosciuto il brano. L’aveva ascoltato mille volte prima. Ma mai con così tanto trasporto.

Juran que el mismo cielo se estremecía al oír su llanto.

Cómo sufrió por ella, que hasta en su muerte la fue llamando.

Pure Messarini, che pure non capiva una parola di spagnolo, ascoltava in silenzio. Si distrasse solo un attimo vedendo una coppia di militari che, con passo quasi strascicato, faceva su e giù per il pontile con il mitragliatore messo di traverso, la punta della canna rivolta a terra.

Ay, ay, ay, ay, ay — cantaba.

ay, ay, ay, ay, ay — gemía.

Quando la canzone finì Caravottolo si voltò per dirigere lo sguardo verso il mare. Dietro alle lenti scure osservò le nuvole che scivolavano lente dall’orizzonte verso terra. Sembravano volergli venire incontro.

“Lo sai che aveva detto allora, quando l’avevano fermato?”

La sua voce si era appena arrochita.

“Voi dire prima che lo rilasciassero?”

Il commissario trattenne il respiro, come per misurare i suoi battiti cardiaci.

“Aveva detto che solo chi si fosse visto portar via una figlia avrebbe potuto capirlo.”

Messarini tentò di entrare nel suo campo visivo. “Mario, che vuoi fare?”

Il commissario si stupì che non gli tremasse la voce.

“Voglio guardarlo di nuovo in faccia.”

*

Vabbè, come vuole lei, mi attengo ai fatti.

Siamo andati alla Rotonda. Era sera e la gente se n’era andata via. E pure il sole. Sì, un po’ di passeggio c’era, ma solo sul lungomare. In spiaggia mi ricordo qualche coppietta isolata, giusto quelle. Silvia l’ho portata lì dicendo che le mostravo la città dal pontile, coi lampioni e le insegne. Poi le ho anche detto che volevo scendere in spiaggia. Per sentire la sabbia calda, che sotto la pianta dei piedi mi faceva bene. Per i dolori, dico.

(pausa)

E’ stato un attimo. Mi ricordo il momento in cui le ho detto che volevo che si mettesse la camicetta che le avevo comprato io. No quelle robe da zoccola.

(pausa)

Sì che lo sapevo. Anzi no.

Sapevo solo che mi era già successo, commissario.

Se mi pento?

Qui dentro è facile dare di matto, sa? Nelle notti calme, però, si possono anche sentire i gabbiani. E a quel punto li immagini volare alti, anche se tutto attorno a te è buio. All’inizio il suono è dolce. E’ come una fiaba che ricomincia. Poi però diventano più acuti. E alla fine sembrano pianti e urla. Però alla fine torna sempre il silenzio. Come quella sera.

Spariscono i gabbiani.

Sparisce Silvia.

Come la mia bambina.

Come la sua, commissario.

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Jacopo Giorgi
‘Stella Maris’ di Jacopo Giorgi

Qui scrivo storie. Che poi, stringi stringi, vuol dire parlare di due o tre cose della vita. E magari trovarci un senso.