Quando è per sempre

Jacopo Giorgi
‘Stella Maris’ di Jacopo Giorgi
8 min readAug 16, 2020

“Che le cose potessero andare così, beh, niente e nessuno poteva prevederlo.”

D’un tratto era caduto tra loro un silenzio denso che, secondo Xavi, contrastava con la ragione stessa per cui quel pomeriggio lui e Belén si erano dati appuntamento. Sì, ok, era stato lui ad insistere perché andassero alla Filmoteca a vedere la pellicola di Altman. Ma era ovvio a entrambi — o almeno così riteneva Xavi — che, dopo il film, si sarebbero dovuti parlare. E infatti, poco dopo essere usciti dalla sala, avevano cercato un caffè che facesse al caso loro, abbastanza vicino, ma non troppo affollato. Senza neanche troppo darsi da fare, erano riusciti a trovarne uno sul Carrer de Mortalégre, un posto dove forse erano già stati assieme, in passato, forse proprio dopo un’altra proiezione alla Filmoteca o magari solo così, di passaggio. Avevano preso posto ad un tavolino che resteva in un angolo del locale, a ridosso della vetrina che dava sulla piazzetta. Il tavolo l’aveva scelto Xavi, pensando che fosse sufficientemente lontano dal bancone, e soprattutto che la luce che filtrava da fuori in quel pomeriggio assolato li avrebbe aiutati a riflettere. E magari a dirsi le cose come stavano. D’altronde la sensazione che fossero arrivati ad un punto di non ritorno Xavi l’aveva già da qualche tempo, se non altro dal week-end precedente. Ma che le cose potessero andare così, beh, niente e nessuno poteva prevederlo.

*

Il venerdì sera precedente aveva finito un po’ tardi al lavoro, ma, invece di rientrare subito, aveva preferito fermarsi al bar sotto casa, non per una ragione specifica, ma per tenersi lontano dall’aria deprimente che ormai finiva per respirare ogni volta che varcava la soglia del loro appartamento. Una terzina di Estrella più tardi, mentre tirava giù l’ultimo sorso, aveva intravisto qualcosa di simile ad una speranza attraverso il cerchio ambrato della bottiglietta e, infatti, appena rientrato in casa, se n’era venuto fuori con quella cosa della passeggiata al Tibidabo, “e ce ne andiamo su fino al parco delle attrazioni, per guardare il panorama dall’alto”. Aveva trovato Belén stravaccata sul divano che si reggeva la testa con una mano, mentre con l’altra faceva zapping col telecomando appena puntato verso lo schermo del televisore di casa. Attendendo un segno di attenzione da parte di lei, quanto meno la conferma che avesse sentito la sua proposta, Xavi si era passato la lingua sulle labbra e il retrogusto amarotico della birra era tornato a farsi vivo. “Con questo caldo ti viene voglia di salire lassù?” aveva risposto infine lei. Guardandola nel buio che la circondava, appena illuminata dai bagliori provenienti dallo schermo, Xavi aveva fatto fatica a capire se c’era un barlume d’interesse nei suoi occhi. Poi, però, come dal nulla, sembrava si fosse davvero convinta. Anzi si era lasciata prendere, come faceva sempre lei, o quanto meno come era solita fare in passato.

E insomma, il giorno dopo, non appena il caldo aveva iniziato un po’ ad acquietarsi, si erano messi in marcia. Erano scesi alla fermata del 7 per poi iniziare la loro camminata per la Calle del Tibidabo, puntando su per il pendio che portava in cima alla collina. Quasi subito avevano avvistato il parador di Sant Andreu e avevano notato come fosse in pieno restauro, circondato di ponteggi che parevano tirati su da poco e con tanto di cartelli di un’impresa di costruzione.

“Guarda che roba!” aveva esclamato lei, fissando il palazzo che un tempo doveva esser stato sontuoso e che ora sembrava destinato a tornare ai lustri del passato. Xavi aveva solo pensato che lui, invece, era affezionato all’aria decrepita di quell’edificio. Decenni di abbandono lo avevano trasformato in un rifugio per esploratori domenicali alla ricerca di tesori nascosti, un luogo a suo modo magico. Eppure, aveva pensato, ora stava voltando pagina. E, come gli succedeva ogni volta che scopriva che un negozio o un bar aveva chiuso o quando un nuovo palazzo all’improvviso gli si presentava di fronte in un angolo di Barcellona che non bazzicava da tempo, ebbe la conferma che i luoghi, molto spesso, sopperiscono alla nostra incapacità di accettare i cambiamenti delle cose.

“Ho letto che ci faranno un ristorante, un hotel” aveva detto ancora Belén mandandosi indietro i capelli per poi fermare la coda con un elastico. Xavi, però, aveva sentito a malapena le sue parole. Ancora sospeso nella sua riflessione, aveva lasciato che il suo sguardo si soffermasse sull’abbronzatura del collo di lei. Appena inumidita da una patina di sudore, sotto i raggi del sole, sembrava dorata.

Un po’ più su, avevano trovato la teleferica fuori uso, per cui avevano continuato a piedi fino ad arrivare al piazzalone davanti al Sagrat Cor. Belén a quel punto era parecchio accaldata, ma a Xavi pareva addirittura felice e lui stesso, continuando a fissarla, si sentì più leggero, come se i pensieri che l’avevano squassato nelle ultime settimane se li fosse lasciati a valle.

“Com’è che non ci veniamo mai qua?” aveva chiesto Belén guardandosi intorno e invitandolo con un gesto delle mani a fare lo stesso. La pietra della chiesa pareva intrisa di giallo e il riflesso della luce era era così forte da tingere anche l’aria tutto intorno a loro.

“Cosa sarà, tre anni che non ci veniamo?”

A Xavi era venuto quasi da ridere. Non gli pareva vero.

“Ti ci porto anche la settimana prossima se vuoi.”

“Vediamo…”

Belén aveva infilato le mani nel tascone della salopette e aveva tirato fuori il cellulare, quindi gli si era avvicinata. Senza bisogno di chiedere permesso, aveva settato il telefono in modalità foto, puntandolo sulla loro immagine in primo piano e lasciando che la chiesa facesse loro da sfondo. Un sorriso e clic. Belén gli aveva anche girato il selfie secondo la loro prassi consolidata. Dopodiché aveva perfino rilanciato: “Beh, ora che siamo qui, un giro sulla panoramica ce lo dobbiamo proprio fare, no?”

Lo aveva tirato per un braccio e Xavi, a quel punto, per una frazione di secondo, la durata di un leggero alito di vento che muoveva i rami dei pini marittimi, si era detto che forse sì, forse le cose si potevano ancora raddrizzare.

“Sicura?” aveva chiesto un po’ incredulo.

Belén aveva sorriso. Quando sorrideva così, un po’ imbarazzata, magari grattandosi una guancia, ma tirando tutta la bocca da una parte, gli ricordava ancora la ragazza che aveva incontrato anni prima, fuori dall’Universitat Autònoma. Era stato solo un momento, però. Poco dopo, mentre facevano la coda per i biglietti, il cellulare di Belén aveva emesso una doppia vibrazione. Lei lo aveva tirato fuori dal tascone e per un paio di secondi si era concentrata sul messaggio ricevuto con un’intensità insolita e così, quel sorriso che Xavi aveva ammirato un secondo prima aveva assunto una intenzione del tutto nuova. Lontana.

Si erano ritrovati a salire, con il panorama di Barcellona che si stendeva davanti ai loro occhi. Chiusi nella cabinetta di metallo pitturato, anche se stretti l’uno all’altro, erano diventati due estranei. Belén era ammutolita, lo sguardo puntato verso le luci che si accendevano sotto di loro ai quattro angoli della metropoli, il pensiero rivolto a un altrove cui lui non aveva diritto d’accesso. Xavi si era unito a lei in quel mutismo e, mentre si alzavano sul mondo, aveva lasciato che l’immagine aerea della loro città in una sera d’estate sostituisse, almeno per un attimo, il dolore di averla persa di nuovo. Non in quel momento, molto tempo prima. Forse per sempre.

*

E ora, a una settimana di distanza, erano là, in un bar anonimo del Carrer de Mortalégre, ciascuno con un carico di pensieri per la testa che rendeva impossibile anche la conversazione più banale. Xavi aveva iniziato a giochicchiare con il cellulare ed era finito a riguardare proprio il selfie che si erano scattati una settimana prima al Tibidabo: sembrava una foto vecchia di vent’anni. Forse vedendolo del tutto disarmato di fronte alla situazione, Belén aveva deciso di rompere il silenzio.

“C’è stato un momento, Xavi, non molto tempo fa, in cui, davvero, qualunque cosa facessi o dicessi… sì, insomma, eri capace di rivoluzionarmi.” Belén aveva pronunciato la frase come ispirando ogni filo d’aria ancora disponibile attorno a loro.

“Che vuoi dire?” Xavi si era messo a raschiare l’interno della tazzina con il cucchiaino. Non osava guardarla negli occhi

“Eri tutto, eri sempre dentro me.” Un’altra boccata d’aria. Poi, come lasciando che le parole fluissero da sole: “lo sentivo, il mio corpo si riempiva e si agitava.”

“E questo non ti succede più, vero?”

A quel punto Belén aveva fissato i bambini che si rincorrevano sulla piazzetta non lontana, fuori dalla Filmoteca.

“E a te, Xavi, succede ancora?”

Da come l’aveva chiesta, pareva che Belén volesse mettere quella domanda di traverso tra loro, come si fa con un puntello per sorreggere una porta che rischia di caderti addosso.

Xavi, però, non stava tentando di sfondarla quella porta.

“Io non lo so che cosa mi succede.” Ascoltò la sua voce arresa mentre abbozzava una risposta che fosse la più sincera possibile: “so solo che se te ne vai, allora tutto sparisce.”

La radio nel locale proponeva un brano dei La Buena Vida e Xavi si era fermato a pensare che sembrava scritta apposta per quel momento, che le strofe piovessero su loro due, seduti a quel tavolino, come a suggerirgli un dialogo che si era perso nel tempo. Aveva sentito una specie di singhiozzo che gli veniva su, ma non aveva provato a ricacciarlo dentro. Anzi, l’aveva tirato fuori con un grido soffocato: “non riesco ad accettarlo.”

Quindi ancora silenzio. Nonostante i tonfi degli atterraggi degli skater là fuori, le urla dei bambini sotto gli occhi delle madri. E il sole che probabilmente, anche quella sera, lentissimo, tornava a sprofondare da qualche parte vicino al mare.

“Io ti amo ancora” disse Belén con la voce un po’ rotta e gli occhi velati che sembravano incapaci di distinguere pienamente il viso di Xavi.

“Sì, anch’io ti amo. E allora?” ribatté lui scuotendo piano la testa.

“…”

Xavi osservò le due monete di mancia appoggiate sullo scontrino.

“Senti, Xavi, io ora devo andare.”

“Allora è così che finisce?” si chiese lui.

Lasciarono il caffè per mettersi a percorrere a passo un po’ spedito le viette del Raval. Neanche il viavai del quartiere riuscì a distoglierli dallo stato catatonico in cui sembravano caduti e così, quando Belén gli diede le spalle, imboccando il tratto di Rambla che portava dal Liceu a Plaza de Catalunya, a Xavi non parve neppure strano tornare a casa da solo. D’altronde, ogni parola che valeva la pena di dire era stata pronunciata.

Si soffermò comunque a guardare Belén che si muoveva tra i turisti e gli altri passanti. Andavano e venivano come sempre, ma quel giorno pareva esserci qualcosa di diverso. Forse era un segno, l’ennesima dimostrazione che tra loro due qualcosa era destinato a spegnersi. Nonostante le poche frasi smozzicate che erano riusciti a strapparsi di bocca quel pomeriggio non volessero per forza dire che fosse finita, i piccioni appoggiati sui lampioni, il passeggio tutto intorno a loro, gli alberi carichi di foglie sui lati della Rambla, lo scirocco caldo di metà agosto, l’universo intero sembravano voler parlare per loro. L’uscita della metro buttava fuori altra gente, a getto continuo: parlavano lingue diverse e portavano in faccia le epressioni più varie. Ma in quel momento, per Xavi, altro non erano che tanti recipienti della vasta gamma in cui si manifesta il dolore del genere umano.

Fu in quell’istante che ogni cosa cambiò, preannunciandosi con uno stridore alieno, ma crescente e un movimento che pareva essere nell’aria, ma che spostava e cambiava tutto come in un sogno allucinato.

“Belén…” chiamò Xavi, ma con voce un po’ fioca e addirittura sommersa dalle urla che emetteva ora la stessa gente che aveva osservato poco prima.

Lei, però, parve sentirlo. E infatti, prima d’imboccare il tratto finale della Rambla, Belén si voltò ancora una volta. Xavi ebbe l’impressione che addirittura si muovesse nella sua direzione, proprio con quel sorriso che conosceva bene. Il sorriso con cui di sicuro l’avrebbe sempre ricordata. Quello che vide o forse immaginò, un istante prima che un furgone, lanciato a tutta velocità, si avventasse su di lei portandola via per sempre.

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Jacopo Giorgi
‘Stella Maris’ di Jacopo Giorgi

Qui scrivo storie. Che poi, stringi stringi, vuol dire parlare di due o tre cose della vita. E magari trovarci un senso.