Manuela Pacella
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3 min readMay 27, 2015

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Beauty Codes (order/disorder/chaos) — ACT I

di Alessandra Arancio

BEAUTY CODES, (order/disorder/chaos). Installation view at Fondazione Giuliani, Rome, 2015, photo Giorgio Benni.

Si tratta dell’atto primo di una composizione in tre movimenti di cui il prologo si è svolto presso CURA. basement inaugurando il 28 aprile scorso con Lili Reynaud-Dewar, e di cui l’ultimo (ATTO II) sarà presentato a Lisbona alla #kunsthallelissabon il 27 luglio prossimo con alcuni degli artisti presenti anche in questa mostra.

Per l’occasione è beato chi entra in questo spazio per la prima volta avendo la sensazione di perdersi. L’ambiente può, a primo approccio, apparire labirintico. Si susseguono e si accavallano nel percorso che ogni visitatore può scegliere, diverse modalità di aderire allo spazio secondo determinati codici di bellezza che sono: ordine, disordine, caos.

Come se chi entra dovesse presentarsi in scena, all’ingresso si susseguono quattro sipari di catene d’alluminio, colorati in modo diverso tra loro, che bisogna attraversare entrando in delle forme irregolari che li aprono nel loro centro e che in prospettiva compongono un’immagine corale che si completa come fossero velature pittoriche; così Daniel Steegmann Mangrané ci introduce nello spazio con /(-\ (2013).

Aldilà dell’ingresso il disordine regna sovrano: difficile è saper contenere lo sguardo in maniera contemplativa su una sola delle opere esposte che, in un certo senso si rubano la scena vicendevolmente. Su piedistalli sono disposti dei ritratti bronzei di personaggi tragici e caricaturali quali Dandy o Bullen di Alexandre Singh, che si rivolgono allo spettatore da una posizione privilegiata che è quella angolare dell’ambiente; sul pavimento, a comporre scenografie diversamente proporzionate, si trovano dei volumi, tridimensionali o anche semplicemente segnati, tra cui sono interpolati degli oggetti che figurano l’intenzione lirica e pulita di Haris Epaminonda.

Addentrandosi ancora, su una parete, sono disposte innumerevoli lastre di perspex di forme geometriche diverse, semitrasparenti, di cui si mischiano i colori, essendo sovrapposte in alcuni punti: si tratta dell’istallazione A∩B∩C (line), (2013) di Amalia Pica, che si attiva con una performance in cui viene cambiata la disposizione dei pannelli, i quali scenograficamente diventano metafora delle possibilità di combinazione del linguaggio stesso.

In una piccola sala in fondo è proiettato il video della durata di circa 30 minuti di Fischli and Weiss del 1987 (esposto per la prima volta a dOCUMENTA 10, nel 1997): The Way Things Go. Una reazione a catena progettata nei minimi dettagli per far muovere determinati oggetti tramite altri, che si inseguono e si stimolano in modalità inaspettate in cui si vedono caos e ordine sfidarsi all’infinito.

Un altro video si trova scostando una maestosa tenda nera aldilà della quale è in corso il video Young man spills cremated remains onto the floor I (2012): Pablo Bronstein ci mette di fronte ad una visione quasi da dipinto barocco in cui il protagonista, atteggiato in una posa elegantemente teatrale, sostiene graziosamente un piccolo vaso anch’esso all’antica, che svuota improvvisamente sul pavimento facendo cadere delle ceneri; l’azione è ripetuta, con alcune piccole varianti, per tutta la durata del filmato. L’arguzia che l’artista è riuscito a riportare senza materiali pittorici è sorprendente.

Qua e là, negli spazi della Fondazione, Jacopo Miliani ambienta i suoi “contatti” (Contatto 6,7, 8,9, tutti del 2015), presentandoli come traccia di qualcosa che è stato, strascichi di disordine passato, promuovendo una performance fatta di azioni minime che focalizzano l’attenzione di chi guarda sulla teatralità del gesto.

Sulla stessa linea interattiva Pedro Barateiro domanda con la sua opera: Is it by Mistake or Design? (2015), non giudicando l’eventuale risposta che ciascuno può darsi, richiamando in un certo qual modo le celeberrime esistenziali domande shakespeariane.

Un ultimo video di Lili Reynaud-Dewar conclude la mostra ricordando il prologo del progetto e collegandosi al prossimo atto, continuando a chiedersi Why Should Our Bodies End At The Skin? (2012). L’attenzione si concentra fino alla fine sui codici di bellezza che danno il titolo all’esposizione, e sul ragionamento della possibilità di distinzione tra i protagonisti di questa faccenda (ordine-disordine-caos), attraverso materiali specifici, tra i quali persino potremmo mettere noi stessi.

Fondazione GiulianiVia Gustavo Bianchi 1

www.fondazionegiuliani.org

21 maggio > 17 luglio 2015

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