CAPOVOLGERE — ABC Ceccobelli
di Francesca Ragone
È possibile registrare un campo luminoso attraverso un’opera d’arte? L’esperibilità delle immagini nella ricerca di Ceccobelli è data primariamente dalle possibilità del campo ottico di sperimentare uno spazio, attraverso l’artigianalità, con l’uso specifico di materiali differenziati, rapportati in ed ex opera. In questa modalità si scorge l’idea di una camera plenottica artigianale che utilizza una matrice di microlenti — l’elemento geometrico centrale di ogni opera delle serie Iridi e Pupille — per catturare informazioni sul campo luminoso di una scena.
Il nero bitume, trattato con la cera e altri materiali (olio, vetro, alluminio), diventa molto simile all’ardesia, alla lavagna o ancor più all’ossidiana di Pantelleria. La qualità di questo materiale — nerissimo e lucido — sembra animarsi di una forza oppositiva interna; il nero, infatti, di per sé assorbe l’energia luminosa e le fonti di calore, mentre la superficie lucida respinge, né più né meno di quel che opera il bianco. Il vetro è più irrequieto, ma registra anche lui, frammentando e rinfrangendo.
La mostra si articola in tre luoghi differenti: il cortile ospita i Ritratti di bandiera (2015), venti drappi — collocati ordinatamente lungo tutto il perimetro della corte — capovolgono l’anonimato dello sfondo delle bandiere attraverso fotografie personali dell’artista, che appare per lo più da solo e in alcuni casi con i figli; nella sede dell’associazione culturale Mabì sono proiettati i video-documentari realizzati dai figli di Ceccobelli, Auro e Celso. I video documentano il lavoro di alcuni protagonisti della scena artistica contemporanea: Bruno Ceccobelli, Carla Accardi, Enzo Cucchi, Beverly Pepper, Jannis Kounellis, Gianfranco Baruchello, Luca Maria Patella, Dessì, Schifano, Burri. Infine, nello spazio della Fondazione, sono esposte le opere di Ceccobelli.
All’ingresso si trova Confesame (1986): una porta, forse uno dei primi oggetti recuperati dall’artista approdato nel dismesso Pastificio; a seguire una teca contenente alcune foto-ricordo scattate negli anni Ottanta, fra cui gli studi di Nunzio e Pizzi Cannella. Proseguendo, nella saletta attigua, si trovano “due” Iridi (2014) e — infine — la sala maggiore ospita Pupille (2014), una serie di quattro opere — tavole di forma tondeggiante lavorate con tecnica mista — la cui maggiore, nera e cupa, si staglia frontalmente ai visitatori.
Quest’occasione ha innescato una miccia nella creatività di chi scrive, accendendola verso un’esperibilità capovolta — ovvero, all’inverso, “luoghi interni” che tentano di farsi “sentire”, di presentarsi ai sensi — oscuri e attraenti luoghi simbolici e archetipali, relazioni e legami affettivi della memoria. A un certo punto, ripercorrendo la teca di vetro contenente le foto storiche del Pastificio con i ritratti degli studi degli artisti, la narrazione si fa divertente e divertita e, incontrando alcune foto di Nunzio [1], viene spontaneo dare titoli di fantasia [2] a quelle immagini.
[1] Primo storico abitante del dismesso pastificio. Nel 1973 Nunzio prese in affitto un ambiente vasto e luminoso per trasformarlo in studio, tutti gli altri lo seguirono tra il 1978 e il 1982: Guglielmo Gigliotti, Gradi di visibilità: Roma anni ottanta, in Il confine evanescente. Arte italiana 1960–2010, a cura di Gabriele Guercio e Anna Mattirolo, Mondadori Electa, Verona 2010, p.40, nota 7.
[2] Nunzio dipinge l’archetipo; Nunzio incontra l’archetipo; Nascita di Ceccobelli dalla “Madre” di Nunzio.