Manuela Pacella
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3 min readJul 1, 2015

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Ethan Cook — De Beauvoir Crescent

di Raffaella Garzillo

ETHAN COOK, De Beauvoir Crescent, installation view, T293 Rome — Courtesy of the Artist and T293, Photos by Roberto Apa

Dal 27 maggio la galleria T293 di Roma presenta la mostra personale dell’artista americano Ethan Cook dal titolo De Beauvoir Crescent. Nato nel 1983 in Texas, l’artista attualmente vive e lavora a New York e il suo lavoro si caratterizza per una riflessione originale sull’estetica contemporanea, in particolare sul declino materiale della società “di massa” e la conseguente, pericolosa, perdita di valore di tutte le sue forme.

Già nell’ambito dell’esposizione Problem in Chair not in Computer, organizzata lo scorso anno all’American Contemporary di New York, l’artista aveva esposto una serie di tele di grandi dimensioni tessute a mano. La sua pratica, tuttavia, non riguardava una ricerca sulla tecnica del cucire o sulla selezione di particolari tessuti, quanto invece un’indagine rigorosa sulla tela stessa: come è fatta, quali sono le sue qualità intrinseche e le sue proprietà. In tal modo egli arrivava ad alterare la tela come materiale, manipolando quello che la tela è in realtà. I pezzi di tela tessuti a mano espongono il tocco umano nel processo di composizione, le sue incongruenze, l’incapacità di rendere la tela allo stesso modo di un materiale realizzato a macchina. Tuttavia non si tratta di un vero e proprio fallimento. Il tocco umano non costituisce un fallo rispetto alla precisione della macchina. Non vi è errore sulla tela, soltanto i gesti e la mano dell’artista.

La riflessione critica sulla produzione di massa e su forme sempre più diffuse di un consumismo atrofizzante, torna nella prima romana De Beauvoir Crescent in cui l’artista mantiene, peraltro, il gusto per le grandi dimensioni, per la processualità e per l’esecuzione in fieri. Il titolo della mostra trae origine dall’omonima strada londinese in cui l’artista ha raccolto tutte le immagini che ha poi esposto in galleria. Si tratta di sculture organiche e di cinque rilievi a parete di grandi dimensioni. Questi ultimi sono stampati a grandezza umana, poi scolpiti in rilievo e infine fissati su un pannello con vetroresina e colore bianco. La superficie bianca conforma i rilievi al tono, identico, delle pareti; tutto risulta essenziale, come arrestato in una dimensione dimessa e senza pretese.

Altrettanto stranianti sono i soggetti raffigurati. Se da un lato la tecnica del rilievo non può non riportare la mente ai rilievi grandiosi dell’antica Roma, d’altro canto i personaggi di Ethan Cook narrano una storia, per così dire, “disadorna”: due gatti, un pappagallo, due bambini dai tratti fumettistici. Lo sguardo è in tal modo stimolato a tentare di sanare il cortocircuito tra la formalità della tecnica e l’immagine familiare, ma muta e indifferente con cui entra in relazione. Nell’ultima sala, isolato sulla parete, è poi il rilievo di una Vergine Maria vista da tergo, punto focale del percorso di riflessione indotto dalla mostra. La sensazione che ne deriva è quella di trovarsi dinanzi ad un racconto ridotto al grado zero. Il percorso fisico che unisce i rilievi nello spazio della galleria non coincide con un percorso narrativo: il pappagallo, i bambini, la Vergine, sembrano incapaci di dialogare tra di loro e di comunicare un percorso di senso riconoscibile.

Le sculture sono, invece, lavori d’arte topiaria che danno ritmo e colore all’esposizione. In tal modo l’artista riesce a smorzare l’aspetto commemorativo dei rilievi in un contesto più vitale e confidenziale. Si tratta nello specifico di due piante a spirale, una topiaria dal titolo Welcome — un invito confidenziale che chiama in causa lo spettatore — e una rosa rossa in un calco di mano, anch’esso rigorosamente bianco. Sebbene queste sculture introducano nel contesto espositivo un piccolo nucleo di natura viva, tuttavia anch’esse sono rese in maniera altrettanto anonima e impersonale.

Il percorso suggerito da De Beauvoir Crescent somiglia a un vicolo cieco, una strada che termina in un punto di non ritorno, che condanna sguardo e pensiero all’attesa di un significato che resta disatteso.

T293 — Via G. M. Crescimbeni 11

www.t293.it

27 maggio > 17 luglio 2015

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