Manuela Pacella
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3 min readMay 26, 2015

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Yonatan Vinitsky. Loose Ends

di Beatrice Zanatta

YONATAN VINITSKY, Loose Ends, 2015, Installation View, Frutta

Parigi, 1932

Brassaï, frugando nelle tasche dei pantaloni, scova un biglietto dell’autobus consunto: la parte inferiore, parzialmente lacerata, è arrotolata in due piccoli cilindri, mentre quella superiore, ancora intatta, mostra una piega netta nel centro. Così, indagando con l’obiettivo della macchina fotografica gli strappi della carta e le sue rotondità, ora accarezzate dall’ombra, ora messe a nudo dalla luce, Brassaï, con la collaborazione di Salvador Dalì, dà forma alle Sculture involontarie: una serie di primissimi piani in bianco e nero di oggetti comuni, trasfigurati dall’usura e dal punto di vista ravvicinato con cui sono fotografati, tanto da essere resi irriconoscibili, simili a sculture plasmate inconsapevolmente dalla quotidianità.

Ottantatre anni dopo Yonatan Vinitsky, classe 1980, israeliano di nascita e londinese d’adozione, segue le orme dei suoi illustri predecessori: anche lui si avvale dello zoom, ma senza far ricorso alla macchina fotografica. Anche lui si concentra su oggetti quotidiani e ne individua un particolare, di cui modella una copia violentemente ingrandita, una scultura tangibile, che non ha più bisogno della mediazione di uno scatto che la immortali. Sono queste riproduzioni fuori scala dell’artista israeliano a esser ospitate dalla Galleria Frutta (dal 27 marzo al 23 maggio 2015).

Nella prima sala dell’ambiente espositivo pendono dal soffitto due enormi molle metalliche, ingrandimento delle spirali al margine dei quaderni scolastici; molle verdi e gialle sgargianti, che fluttuano a pochi centimetri dal pavimento, imponendosi nello spazio come una coppia di colonne cave, mentre altre due, di un verde e un azzurro brillanti, se ne stanno sospese nell’ambiente, orizzontali e ad altezze diverse, simili a cannocchiali da cui poter osservare le singolari “tele” appese alle pareti.

Nonostante campeggino, con il loro formato rettangolare, sui muri della stanza, questi apparenti quadri sono, in realtà, quattro installazioni che riproducono il retro dei sedili di autobus e treni, classe rigorosamente turistica, emulandone la tappezzeria datata e variopinta, munita persino della tipica tasca, quella che di solito custodisce riviste, giornali o sospetti sacchetti bianchi che nessun passeggero si augura di usare, e che Vinitsky si diverte a riprodurre con corde ed elastici dalle tinte vivaci.

Nella seconda sala, che ricalca la disposizione della prima, ricompaiono le quattro installazioni dalle differenti cromie, il cui nome, Loose Ends, dà il titolo alla mostra stessa, e le quattro molle sproporzionate, chiamate Ensemble Orientation Quick Jerky Movements Stop, nuovamente perpendicolari le une alle altre, tanto che, guardandole a distanza, creano una sorta di cornice da cui sbirciare i lavori fissati alle pareti.

Se le forme, le dimensioni e i colori pop delle spirali oversize e delle gigantesche tasche dei sedili ricordano l’enorme cono gelato rovesciato in cima al tetto di un centro commerciale a Colonia (Dropped Cone, 2001) o il colossale ago con filo variopinto incastonato davanti alla metro Cadorna di Milano (Ago, Filo e Nodo, 2000), opere della sapiente mano di Claes Oldenburg, la loro difficile riconoscibilità, e il conseguente straniamento che inducono nello spettatore, è tutt’altro che figlia della Pop Art.

Infatti, mentre Oldenburg trasforma l’oggetto quotidiano in monumento, rendendolo imponente e pronto a farsi ammirare nel bel mezzo di una piazza o nei cortili delle università, Vinitsky ne fa un feticcio, poiché frammenta e scompone l’oggetto, riducendolo a un dettaglio che ingigantisce con sapienza artigianale, avendo cura di esaltarne la forma e i colori con una vasta gamma di materiali.

Così Vinitsky dissemina indizi nella galleria per farci scoprire l’estetica dell’ordinario, lasciandoci tracce per ricostruire l’oggetto incriminato. È proprio il titolo della mostra a suggerirci la pista da seguire: Loose Ends, termine tratto dai romanzi gialli, designa una questione in sospeso, un qualcosa di incompiuto, di irrisolto, una matassa che l’artista ci insegna a dipanare, affinando la nostra abilità di analisti e rendendoci investigatori del quotidiano.

“L’importante è sapere che cosa osservare.” [1]

[1] Edgar Allan Poe, I delitti della Rue Morgue, Ugo Mursia Editore, Milano, 2007, p. 13.

Frutta — Via Giovanni Pascoli 21

www.fruttagallery.com

27 marzo > 23 maggio 2015

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