Ogni mattina oltre il ponte

Degio
Storie di Bobbio
Published in
4 min readApr 2, 2017

Ciau ét rivè?
Si so’ ché
Duma ch’a gh’è da fè
Ohì bèla! Anca ché?
Vedat Dariin
Bzögna è sgnè
A vulè
A i a’ gilin

Ad Andrea Mozzi (Balena) 17 aprile 1969 i bobbiesi riconoscenti.

In fondo al Ponte Gobbo di Bobbio, su un masso nero, c’è il volto scolpito di un uomo e una poesia in dialetto di Mario Zerbarini, poeta del posto. È dedicata al “signor Balena”, come lo chiamano alcune signore sedute a chiacchierare su una panchina, e alla sua grande passione, precisata da una targa in italiano: “A un uomo che ha insegnato a nuotare e vivere a più di una generazione di bobbiesi senza chiedere nulla”.

La signora Sandra della tabaccheria in piazza Duomo, che spesso traduce le commedie bobbiesi, è una delle poche qui che sia ancora in grado di tradurre la poesia:

Ciao sei arrivato? [in Paradiso]
Sì sono qui
Andiamo che c’è da fare.
Oh bella! Anche qua?
Vedi “Darin”
[un altro soprannome del Mozzi]
bisogna insegnare
a volare
agli angioletti.

Balena era il soprannome del signor Andrea Mozzi, personaggio molto attivo a Bobbio, che ha una storia dai contorni talmente sfumati da diventare leggenda. I concittadini non sanno quando è nato, in un anno imprecisato di fine Ottocento, ma si sa che morì nel 1969 e, soprattutto, che fu un insegnante di nuoto del tutto particolare. Emigrato in Argentina in giovinezza, dopo le guerre tornò nella sua Bobbio dove aveva dei fratelli, e qui, da pensionato, dedicò le sue conoscenze ai ragazzi della città.

Il masso fu posato 20 anni dopo la sua morte, creato dallo scultore Luigi Scaglioni che racconta: “I ragazzini del paese andavano spesso a fare il bagno al Trebbia”, ma è sempre stato un fiume un po’ tortuoso, molti rischiavano la vita avventurandosi nelle sue acque senza aver mai appreso almeno a galleggiare, per questo Balena decise di fare qualcosa.

Così negli anni del dopoguerra insegnò all’intera Bobbio a nuotare­: la sua “scuola” si svolgeva proprio al fiume, e per questi suoi servizi non chiese mai nulla in cambio.

La signora Andreina dell’Associazione Famiglie Bobbiesi racconta i suoi ricordi: “In fondo al ponte, dove c’è l’ultima arcata, prima c’era un lagone” (il lago Meneghetti che era vicino alla fonte solforosa di Canneto). “Insegnò nuoto anche a me, e prima a mio padre che era del 1912. Balena abitava proprio sotto al ponte e col lagone aveva la possibilità di insegnare anche i tuffi perché l’acqua era profonda, non come adesso. Era l’unico che sapeva nuotare perché era nato praticamente nell’acqua! Salvò anche tanti sprovveduti e insegnò perfino alla squadra di pallanuoto di Bobbio”.

Anche il signor Gigi fu un suo allievo e ricorda una volta che lo aiutò a salvare due militari: “Sembrava che volessero proprio annegare! Comunque lo chiamavano Balena non perché era grasso, anche se era un uomo di grossa corporatura, ma perché quando insegnava nuotava a dorso spruzzando acqua dalla bocca. Nell’insegnamento però era molto rigido: coi ragazzi devi essere così per forza! E anche per questo le mamme si sentivano tranquille a mandare i figli da lui”.

La mattina presto c’è un uomo che cammina a fatica sul Ponte Gobbo, appoggiato a un bastone. “È il signor Giuseppe Mozzi, detto Peppi, il nipote di Balena ormai 80enne, l’ultimo rimasto della sua famiglia”, dice la signora Sandra. “Da giovane seguì le orme dello zio, dedicandosi a molti sport, oltre il nuoto, anche la corsa e il ciclismo”. Fu proprio un incidente in bicicletta che gli fece perdere la gamba quando viveva anche lui in Sudamerica, in Venezuela, dove vinse alcuni campionati.

Furono proprio i bobbiesi, forse ancora riconoscenti per ciò che aveva fatto lo zio per loro, ad aiutarlo a tornare in Italia: gli diedero la possibilità di camminare ancora, donandogli una protesi. Oggi vive sopra la panetteria del paese con la figlia e ogni mattina, con qualsiasi condizione climatica, va oltre il ponte”. Sempre oltre quel ponte dove c’è lo zio. Racconta un’avventrice a Bobbio: “È stato commovente, gli ho fatto una foto perché l’ho visto accarezzare quel masso…”.

Poi Peppi si siede vicino, contemplando il fiume davanti a sé.

Degio De Giorgis e Alice Rinaldi

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