Thelma

Diego Innocenti
Storie di Bobbio
Published in
3 min readApr 2, 2017

A noi ci ha fregato Thelma e Louise. Il film, intendo. E’ per questo che ora Silvano e io siamo in angoli opposti della sala e stiamo scrivendo due storie diverse. Abbiamo litigato a proposito di Thelma, una ragazza che lavora come cameriera in un ristorante qui a Bobbio.

Insieme a una amica si è trasferita da Sesto San Giovanni qualche anno fa. Avevano un progetto comune: coltivare una vigna. Mentre ce ne parla, fa lo slalom tra le sedie e sgombera i piatti e bicchieri rimasti abbandonati sulla tavolata: io, nel frattempo, vedo filari e filari carichi di grappoli gonfi di un giallo zuccherino.

Fa la spola con la cucina e intanto racconta la sua avventura di imprenditrice. Le due amiche hanno preso la vigna in gestione e ci hanno dato dentro per un paio di stagioni. Si sono trovate tutti contro: tassi, cinghiali, uccelli. Il tempo. Qualche collaboratore esperto avrebbe aiutato.

Hanno dovuto cedere.

Lei non ha ancora abbandonato Bobbio: sorride con un angolo della bocca mentre racconta che la sua amica non aveva poi tanta voglia di faticare nei campi. Sorride ancora — ma un po’ meno — mentre rievoca il fidanzato, che non si è neanche sognato di seguirla in questa avventura. Finché si trattava di fare la coppia intellettuale — il musicista lui, l’attrice lei — allora sì che andava bene. Ma nei campi, lui no, grazie.

“Hai smesso di recitare per andare a coltivare l’uva?”

“Sì.”

“Davvero?? Come mai questa decisione?”

“Quello dell’attore non è un lavoro reale. Coltivare i campi, invece…”

“Ma….”

“Sì, c’è quell’espressione sui volti degli spettatori, ma poi, una volta passata, tutto finisce lì.”

Non ha un moroso: eppure confida che, nei suoi sogni, si vede con “un uomo” al fianco, nel mezzo della loro terra. Intanto lavora anche in una azienda vinicola.

Fotografarla ferma è stato difficile. Però, in ogni foto ci sono un sorriso e uno sguardo ingenuo.

La seguiamo nei suoi spostamenti dalla tavolata alla cucina; ci mostra il suo angolo di lavoro (“Qui taglio il pane che porto in tavola nei panieri. Qui preparo…”); la sua “capa” ci interrompe:

“Non so se… stanno facendo dei lavori… la cucina è in disordine…”

Non ci interessa la cucina, tranquilla, eviteremo di riprendere la confusione, riprenderemo solo la ragazza. Mentiamo sapendo di mentire. Che nelle foto compaia il disordine della sua cucina è l’ultima delle nostre preoccupazioni: abbiamo la nostra intervista e non la molliamo neanche morti.

Sono venuti a trovarla i genitori, da Sesto. La aspettano. L’intervista e la sigaretta hanno termine quasi insieme.

Si alza, bacia Sivano sulla guancia; a me fa un cenno con la mano. Due passi, si gira di nuovo verso di noi e ci chiede:

“A proposito, non so neppure i vostri nomi.”

“Silvano.”

“Diego.”

“A presto.”

“A presto, Irene.”

La discussione tra noi è iniziata sulla via del ritorno.

Assodato che ad ambedue è subito venuto in mente il titolo del film, Silvano voleva partire dal nome vero e arrivare, attraverso le vicende, a menzionare Thelma solo alla fine; io volevo fare il contrario, ovvero partire da Thelma e arrivare a Irene. Siamo amici da quasi quarant’anni e da un’ora ci parliamo a malapena.

A me, cosa rara, ora scende sangue dal naso. Ho sparso la voce che sia colpa sua: mi avrebbe menato nel corso della discussione.

Per ora ognuno dei due sta sulle sue.

Che poi, a dirla tutta, la cosa che proprio non mi va giù è che lei abbia baciato Silvano e non me.

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