Amerigo Sarri e l’Aquila: dal 1902, ciclisti.

Un.Dici
StorieDaMontevarchi
14 min readOct 13, 2017

Forse era il 1949, mese più o mese meno. La memoria fa cilecca quando si rasentano i novant’anni, a volte, soprattutto nei dettagli.

Noi vogliamo credere che l’anno fosse quello, anche perché Valeriano Falsini — colui che fu il gregario di Fausto Coppi — gareggiava tra i dilettanti nel suo ultimo anno, nel 1949. Avrebbe vinto ben 11 volte in quell’anno, prima di passare tra i professionisti.

Ah, se non lo avete ancora capito, parliamo di ciclismo.

Dicevamo, i dettagli: a volte, la Storia con la “S” maiuscola solitamente inizia con una data comprendente un giorno, un mese ed un anno. Non è questo il caso. Per prima cosa, perché non si tratta di niente più che una storiella, per seconda cosa perché forse, indagando e chiedendo in giro, è anche possibile risalire al giorno esatto in cui si svolse quella corsa tra Dilettanti con arrivo a Gaiole. Quindi dal punto di vista del narratore che sarei io, si tratta di una semplice scusa per occultar pigrizia, a vantaggio dell’ispirazione di un momento.

Insomma, si tratta di una storiella ed è (quasi) tutto approssimato: sarà stato il 1949 o giù di lì, c’è una corsa di bicilette con arrivo a Gaiole (quelle biciclette di un tempo, tanto pesanti quanto due biciclette da corsa odierne, con “rapporti agili” che oggi sarebbero lontani da esser definiti tali), c’è forse Valeriano Falsini in fuga con Amerigo Sarri.

Ecco, Amerigo Sarri è l’unica costante certa di questa storiella, perché è lui che la racconta, con gli occhi che sorridono e le mani ben in vista sul tavolo di legno, che si incontrano a momenti, dando ritmo alla narrazione.

Entrambi, Il Sarri ed il forse Falsini, indossano la maglia della stessa squadra ciclistica: si tratta del C.s. Aquila di Montevarchi, nel pieno dei suoi “anni d’oro” a livello di successi sportivi e nei cuori dei numerosissimi appassionati cittadini che prediligevano seguirne le evoluzioni su ruote e pedali, piuttosto che quelle sui prati verdi dei campi di pallone.

Stessa squadra, maglia identica, appaiati a lottare per la vittoria: mancano pochi chilometri all’arrivo di Gaiole, ed i due percorrono una discesa. Amerigo è determinato ad arrivare avanti al collega ed amico, ma probabilmente già in precedenza aveva visto rompersi uno dei due freni della sua due ruote, e sicuramente nel percorrere questa discesa di poco precedente all’arrivo, vede anche il secondo dei due abbandonarlo.

Lo vede, se ne accorge, ma cerca di non darlo a vedere, provando ad occultare al Falsini il suo disagio e la sua difficoltà, cercando di rimanergli in scia, utilizzando la punta del suo scarpino per frenare la ruota posteriore della sua bicicletta, per mantenersi dietro e riuscire a restargli attaccato in vista della volata finale. Ma il Falsini non è nato ieri, e accorgendosi del problema occorso al collega, prova inevitabilmente a sfruttarne il vantaggio, approfittando della cosa per staccare Amerigo guadagnando così metri preziosi in vista dell’arrivo.

“Non hai capito” gli grida Amerigo. “Questa corsa è la mia. Questa la vinco io”.

Anzi!”- rivolgendosi alle Forze dell’Ordine che seguivano il duello di testa con i loro ciclomotori -“Andate ad avvisare la gente che aspetta all’arrivo di lasciare libero il traguardo, di non accalcarsi come fanno di solito, perché non ho i freni e non riuscirei a fermarmi! Dite loro di lasciarmi spazio, così da poter frenare dalla volata che mi vedrà vincitore, con la salita della strada immediatamente dopo il traguardo: perché in volata, vinco io!” concluse, proseguendo a frenarsi con gli scarpini, in vista della piana finale dove poter attaccare il Falsini.

Amerigo arriva di poco dietro al Falsini all’avvio della strada, piana e dritta, che precede l’arrivo di Gaiole: due chilometri dove i freni non servono più, servono solo gambe di ferro, determinazione, attributi e velocità.

È anche così che Amerigo fa fede alla sua promessa: batte Falsini in volata, la gente all’arrivo non lo aspetta dopo il traguardo, ma lo lascia proseguire frenandosi. Perché ha vinto la gara senza freni, e malgrado questo nessuno si è fatto male, neanche lui.

Con gli occhi che sorridono e le mani che ritmicamente si incontrano, appoggiate sul tavolo di legno, Amerigo ce lo dice di nuovo: forse era il 1949, o forse il 1950. Forse l’altro era il Falsini, ma chissà….magari no. Di sicuro l’arrivo era a Gaiole in Chianti, quello si. Di sicuro quella volta vinse una gara in volata, con i freni rotti. E deve esser stato epico da viversi se, a distanza di tanto tempo, decide di raccontarcelo più o meno così, come ho provato a riportarlo.

È una mattinata soleggiata di inizio Giugno — una simile a molte altre nei fine settimana a disposizione — quando Alberto Caponi inforca la sua bicicletta di fiducia e scende per strada. Lo fa, come da tradizione più o meno recente, indossando quella che è la replica più fedele che è stato capace di riprodurre della maglia della C.S. Aquila: la società ciclistica nata nel 1902, dalla quale oltre cento anni dopo sarebbe prontamente risorto il Montevarchi Calcio, grazie alla lungimiranza di colui che ancora oggi viene riconosciuto troppo poco per quello che è stato, e cioè un vero e proprio eroe di Montevarchinità: Vittorio Firli.

Firli fu l’ultimo presidente di quella società sportiva che iniziò praticando ciclismo a livello cittadino (per giungere a ribalte nazionali, seppur a livello dilettantistico), e che proseguì fondandosi con altre nascenti società sportive iniziando a praticare il Calcio, o il gioco del pallone che dir si voglia, a partire (secondo gli annali) dal campionato 1929/30 in cui si qualificò terza squadra nel girone A di Terza Divisione Regionale, e per questo ammessa in Seconda Divisione.

Nel Dicembre 2011, il Montevarchi Calcio sembra di nuovo (e non era la prima volta nella sua storia, seppur apparentemente quella più irreversibile) sul punto di scomparire, sepolto da debiti, mala gestione, risultati scadenti in anni di apparente pratica studiata (ed applicata) per favorire il disinnamoramento dei suoi tifosi. Fu durante un’assemblea cittadina convocata dall’allora Sindaco Francesco Maria Grasso, in cui Firli si alzò in piedi e prese la parola. Si trattava di un momento in cui la gran parte della città sembrava aver perso la speranza rispetto al tener in vita una società più che centenaria e gloriosa, con l’invitabile rischio di disperdere una storia fatta di nomi, colori, grida, passioni, gioie e dolori.

Probabilmente sono il più vecchio in sala, ho visto il Montevarchi quando giocava in sette perché di più non si entrava in campo. Nella storia ci siamo sempre rialzati dopo le difficoltà, ma non eravamo mai arrivati a questo punto: c’è bisogno di tirarsi su le maniche per far volare di nuovo l’Aquila”.

Fu con queste parole che Vittorio dichiarò di aver tenuto in vita fino ad allora il marchio ed il titolo della vecchia società sportiva da cui tutto era nato, la costola dalla quale il Montevarchi Calcio si era formato, la C.S. Aquila 1902. Un marchio per poter ripartire e non disperdere un’eredità immensa, pagato e mantenuto vivo quasi a previsione di un’eventualità simile, per iniziativa personale.

Fu così che con un gesto spontaneo, naturale, apparentemente portante in dote niente di speciale, che Vittorio Firli decise di donare la “sua” eredità alla Città: era il Dicembre 2011, ed il marchio passò spontaneamente dalle mani sapienti di un novantenne che non aveva mai smesso di tener in vita silenziosamente la fiammella della memoria cittadina, all’Amministrazione Comunale, la quale dette il via a quel processo per cui l’Aquila 1902 (animata da una serie di imprenditori locali) riprese a volare ripartendo dagli umili campi di Seconda e Prima Categoria, vincendo campionati e tornando in pochi anni ad occupare quelle categorie che avevano visto scomparire il Montevarchi Calcio.

Dopo tre anni al seguito di questa realtà rinata, alla quale miracolosa resurrezione aveva contribuito decisivamente, Vittorio Firli si spense. Era il Maggio 2015. Un “Gentiluomo del Calcio”, un custode della storia di Montevarchi, come “non ne nasceranno più”, secondo le parole usate dalla Curva Sud Vasco Farolfi per rendergli onore.

Un uomo che in questa storia non poteva non esser ricordato, soprattutto pensando a quella maglietta bianca, con le strisce orizzontali davanti (e verticali nel retro) rosso e blù, con scritto “C.S.Aquila”, replicata ed indossata da Alberto Caponi ed altri entusiasti amici, durante le loro sgambate in bici. Con la quale la memoria della gloriosa società ciclistica cittadina viene portata alta in manifestazioni di revival storico come l’Eroica di Gaiole in Chianti.

Torniamo, quindi, a quella mattinata di Giugno di qualche anno dopo (per la verità non troppi).

Con la sua maglia bianca, rosso e blu (ed altri colleghi ovviamente), Alberto parte da Montevarchi salendo verso Loro Ciuffenna. È più o meno a quel punto che incontra, sulla sua strada, un anziano signore di circa settantacinque anni: anche con lui la sua bicicletta, condividente la stessa direzione e quindi lo stesso percorso, in marcia solitaria. Nel tratto che Alberto e l’anziano signore percorrono insieme fino al Matassino (frazione di Figline Valdarno), racconti ed aneddoti di un passato che fu si sprecano: il settantacinquenne racconta dei chilometri percorsi, dallo Stelvio al Passo di Gavia, ma anche da Monteluco a Nusenna. Luoghi maestosi non necessariamente distanti, sfondi splendidi anche locali, che niente hanno da invidiare a zone distanti da noi, a quello che hanno altri.

Come questa strada ad esempiogli risponde Alberto. “Non crede che sia veramente perfetta per la bici, considerando che non è molto battuta dalle macchine, che il paesaggio è splendido e che il percorso è adatto per estraniarsi dalla quotidianità frenetica?”.

Dovrebbero far pagare un biglietto a chi la percorre!” sentenzia l’anziano signore. “Ragazzo, non sai quante volte l’ho percorsa, e quanto “nervoso” ho spalmato su questi chilometri e su questo asfalto!”.

Pedalare come reazione ad una incazzatura, che sia per problemi di lavoro o di cuore, che sia per allontanare preoccupazioni familiari, o per trovare soluzioni personali; battere la strada con pedalate secche e violente, per potersi rilassare una volta scacciata la rabbia o trovata una soluzione, veder la strada scorrere veloce davanti ai tuoi occhi, con l’obiettivo di uccidere un qualcosa di più o meno grave destinato però a tormentare il tuo sonno futuro, magari ad influenzare i tuoi momenti di ricarica cerebrale. È a tutto questo che pensa Alberto, congedandosi alla fine di quel tratto condiviso da quell’uomo, che potrebbe quasi essere suo nonno, dalle quali parole essenziali è riuscito ad estrapolare quella saggezza necessaria per sentirsi arricchiti e tornar a casa felici.

Saggezza popolare e non solo: quell’uomo, che sembra chiamarsi Graziano Cerelli, gli lascia in dote anche qualcos’altro di prezioso, proprio a livello di memoria storica. Si tratta del contatto di un “collega” più vecchio di lui, qualcuno che la storia dal ciclismo locale (e non solo, volendo) l’ha fatta davvero, soprattutto indossando quella maglia che Alberto orgogliosamente portava su di sé ed aveva fedelmente replicato. Un uomo che, giunto alla soglia dei novant’anni di onorata storia personale, ancora oggi ama salire sulla sua bicicletta e fare “qualche decina di chilometri di sgambata”, inevitabilmente qualcuno in meno rispetto a quando illuminava la squadra che faceva parte del cosiddetto “periodo d’oro” della C.S. Aquila 1902, insieme a Marcello Ciolli, Bruno Tognaccini e Valeriano Falsini.

Quell’uomo si chiama Amerigo Sarri, ed una volta contattato e resosi disponibile a rilasciare parte delle sue memorie e delle storie ricordate ancora di quegli anni, Alberto ha deciso di proporlo con “entusiasmo di Passionista” (come avrebbe detto Amerigo) come Storia da tramandare attraverso “Ti Racconto una Storia: Il Volo dell’Aquila”.

Fu così che poco dopo le 21.00 di una piovosa sera settembrina, attendiamo Alberto al Bar Giglio, vedendolo arrivare –come concordato- con Giancarlo Brocci, fondatore, ideatore e padre della corsa cicloturistica storica che risponde al nome de l’Eroica, divenuta in oltre venti anni appuntamento di commemorazione di un passato sportivo che mai si è sopito, ancora amato nelle sue caratteristiche del tempo da migliaia di appassionati di ciclismo provenienti da tutto il mondo, per parteciparvi.

Giancarlo ed Alberto ci accompagnano ufficialmente come “consulenti”, per permetterci di formulare domande appropriate ad indagare nel cassetto dei ricordi di Amerigo; noi, i conduttori, che di ciclismo tutto sommato ne sappiamo poco o niente. Almeno prima di quella sera. Praticamente, oltre al piacere di passare una serata parlando di tempi andati, di conoscenze comuni (o comuni a ricerche per libri scritti, come nel caso di Brocci), l’idea è anche quella di invitare Amerigo Sarri a partecipare all’edizione a venire della corsa ciclistica di Gaiola in Chianti, magari tornando ad indossare quella maglia a strisce rossoblù del C.S. Aquila, portata da lui per l’ultima volta nei primi anni’50.

È il 1946 -al termine del secondo conflitto mondiale- che Amerigo inizia a correre come Allievo (almeno secondo gli annali), e lo fa con la U.S. Figline Valdarno. Seguiranno sei stagioni da dilettante collezionando ben 37 successi, militando in differenti squadre tra le quali gli Assi di Firenze, per concludere con il triennio alla corte di Lezio Losi e Vasco Farolfi nella C.s. Aquila 1902. Abbandona i dilettanti e l’Aquila Montevarchi nel 1953, passando di categoria come indipendente, ma decidendo di ritirarsi dall’agonismo poco dopo, all’età di 25 anni. Un ambiente da lui riconosciuto come poco adatto ad una personalità schietta, sincera e passionale come la sua, unito alla necessità di costruirsi un futuro familiare per il quale era necessario svilupparsi professionalmente (e dal quale, tra le altre cose, nascerà il figlio Maurizio, oggi considerato tra i guru del calcio italiano. Anche se si tratta di tutt’altra storia), con conseguenti trasferimenti lavorativi verso il sud (Napoli) prima ed il nord dello Stivale. Ritornato nella sua Vaggio, nel Valdarno Superiore Toscano, Amerigo riprende a correre in modo amatoriale, continuando a vincere tanto perché “nelle categorie di età alle quali partecipavo, se arrivava qualcun altro primo era perché decidevo io di non spingere troppo. Altrimenti le avrei vinte tutte”, racconta. Si dedica anche all’organizzazione di manifestazioni e competizioni regionali e talvolta a livello internazionale.

Ci accoglie nella sua casa con due occhi che sorridono, tanto schietto e mobile da non mostrare assolutamente la veneranda esperienza che porta con sé, come del resto sua Moglie che gentilmente ci invita ad accomodarci e a lasciarci alle spalle l’umida nottata esterna appena iniziata.

Ci accomodiamo attorno ad un tavolo dabbasso rispetto all’ingresso dell’abitazione, la Signora Sarri lascia una Moka di caffè piuttosto capiente sul fornello spento invitandoci a ricordare ad Amerigo di accenderlo. Dopo una decina di minuti di convenevoli organizzativi –mentre montiamo i nostri microfoni, ed accendendo il Portatile diamo vita al nostro “studio di registrazione radiofonica” mobile e nomade- Amerigo si alza, accende il fornello sotto alla moka di caffè, per poi presentarcelo gentilmente in un grazioso servito. Dopodiché siamo pronti, e si inizia a registrare.

È Domenica Primo Ottobre 2017, a Gaiole in Chianti — molto presto nel mattino — oltre 7000 ciclisti con biciclette d’epoca e vestiti il più possibile originali (o comunque replicanti un’epoca sportiva oramai passata da un pezzo), rinnovano per il ventunesimo anno un rito che è diventato qualcosa di grande, qualcosa che ha varcato i confini Provinciali prima, Regionali poi ed infine Nazionali. Una manifestazione che ogni anno sembra consacrarsi ulteriormente, mentre si replica in un numero sempre crescente di paesi tanto distanti dal Chianti e dall’Italia.

In realtà “gli Eroici” sono in zona già da Venerdì sera, ed è proprio nella giornata di Sabato che Amerigo Sarri mantiene la promessa fatta a Giancarlo Brocci quella sera piovosa di poche settimane prima: si presenta accompagnato da Alberto Caponi con la maglia del C.S. Aquila Montevarchi, racconta storie come quella che ha iniziato questo lungo testo, si fotografa con Felice Gimondi. Il giorno dopo, solo soletto e senza dir niente a nessuno, si presenta proprio alla partenza della corsa con la sua bici e qualche chilometro se lo fa pure. Lui, che alla soglia dei novant’anni candidamente racconta che “ogni tanto, qualche sgambata di quaranta chilometri la faccio ancora. Però non in salita, quelle le ho abolite!”.

Quasi contemporaneamente, a valle, l’Aquila Calcio 1902 Montevarchi (quella che dopo il fallimento è riuscita a salvare la sua storia sportiva più che centenaria, grazie alla lungimiranza e all’eroismo disinteressato di Vittorio Firli ed il suo titolo sportivo) è attesa allo stadio Virgilio Fedini di San Giovanni Valdarno, per disputare la prima sfida stagionale tra due compagini rivali dalla notte dei tempi, ritornate finalmente a giocare nella stessa categoria, la Serie D Nazionale.

Il pubblico è quello delle grandi occasioni per il rientrante “Derby del Valdarno” e l’Aquila decide di onorarne la parte al seguito, vincendo per due a reti a zero la partita.

Sugli spalti, come consuetudine, le tifoserie si alternano tra cori minatori e quelli che i cronisti sportivi continuano a chiamare “Sfottò” (a mio avviso, un termine veramente pessimo per descrivere quelle che sono scontri di tifo e conseguenti messaggi reciprocamente lanciati l’uno, verso l’altro).

Ad un certo punto, la Gradinata Marco Sestini a sostegno della Sangiovannese, alza uno striscione che vorrebbe esser sbeffeggiante verso la Curva Sud di Montevarchi, in riferimento agli anni compiuti dalla società sportiva Aquila 1902, che inevitabilmente non è stata fondata con lo scopo di giocare inizialmente a pallone, ma resta comunque la società sportiva più vecchia della Toscana.

“Dal 1902, Ciclisti” recita lo striscione.

Qualche giorno dopo, al Bar Giglio di Montevarchi, mi incontro casualmente con Alberto Caponi, che a quella partita ovviamente non c’era essendo impegnato a percorrere l’Eroica proprio con la maglia del C.S. Aquila, replica di quella società che si, dal 1902 fa anche ciclismo.

Commentiamo i risultati, mi racconta dell’Eroica, gli racconto la partita. “Ma ti rendi conto” — mi dice — “che scelta infelice, sfottere sul ciclismo, proprio nel giorno dell’Eroica. Chissà cosa avrebbe detto Amerigo Sarri, nel veder il ciclismo sottinteso come sport minore rispetto al calcio. Lui, che quando lo intervistammo raccontava come a Montevarchi, se gli sportivi dovevano scegliere tra l’arrivo di una corsa dove gareggiava il C.S. Aquila ed una partita del Montevarchi Calcio, ai suoi tempi, optavano per la prima!”.

Si, erano i tempi in cui nei bar si arrivava alle mani in discussioni tra “Bartaliani” e “Coppiani”. Succedeva anche a Montevarchi.

Anzi, succedeva da molto prima.

Del resto, “dal 1902, ciclisti” ed anche orgogliosamente. Soprattutto dopo aver incontrato l’entusiasmo e la forza di Amerigo.

Di Amerigo Sarri all’Eroica se ne parla anche qui:

Rispetto a Vittorio Firli, invece, è sempre opportuno rileggere il testo di Andrea Tani, relativo alla notizia della sua dipartita:

(la lunghezza del testo che forse avete appena letto, è giustificata dal fatto che è stato concepito per esser inserito all’interno di una produzione più ampia. Una produzione che forse, un giorno, vedrà la luce)

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