Antonio Natali sulla Pala Montevarchina di Botticelli

Un.Dici
StorieDaMontevarchi
6 min readMay 15, 2018

Come la vostra stagione preferita, che ciclicamente si ripete di anno in anno, pur con le dovute differenze di effettiva attuazione climatica nel tempo (della serie “lo scorso anno, a quest’ora il caldo era già arrivato” oppure “di questi tempi, dieci anni fa nevicò pesantemente”), a Montevarchi si torna a parlare della cosiddetta “Pala Botticelliana”. Che nient’altro sarebbe che “L’incoronazione della Vergine e Santi” eseguita per committenza Montevarchina nel finir del ‘400, destinata ed ospitata sopra l’altare della chiesa di San Lodovico (l’attuale Sant’Andrea a Cennano).

Sequestrata in seguito alle soppressioni napoleoniche di fine ‘800, questa pala d’altare finì dapprima nei depositi fiorentini, per esser poi consegnata al Convento delle Montalve a Firenze (dove oggi sorge quella Villa La Quiete in cui l’opera risulta finalmente esposta), anziché esser restituita al sito di provenienza.

Per anni l’opera, che per molti è attribuibile solo in parte a Sandro Botticelli (che avrebbe contribuito ad una realizzazione collettiva, piuttosto che alla produzione completa, come registrabile secondo altri storici), è rimasta occultata al pubblico, destando stupore e talvolta indignazione, soprattutto nella cittadinanza Montevarchina. Si, perché a seguito della ricerca storica del professor Silvano Del Vita pubblicata nel 1996 nella rivista dell’Accademia Valdarnese del Poggio, si sono susseguiti appelli alla ricollocazione cittadina della stessa tavola, raccolte firme, conferenze a riguardo. Al cambiar di Amministrazione Comunale, l’impegno di chiedere al Ministero dei Beni Culturali la restituzione permanente della Pala, venne accolto anche dalla nuova Giunta, recentemente sollecitata da consiglieri di opposizione sull’argomento.

L’incoronazione della Vergine e Santi” risulta di proprietà della Regione Toscana e dell’Università di Firenze però, e nel frattempo è stata riscoperta ed esposta proprio nella già citata Villa La Quiete, come il “Botticelli nascosto” o qualcosa di simile: quasi si trattasse di un inedito di un cantante di successo, deceduto da tempo, che molti anni dopo vede la luce.

Eppure in quel di Montevarchi ci si era augurati un ritorno permanente, magari ospitato nella chiesa di originaria commissione, oppure nel rinnovato Museo d’Arte Sacra (che un giorno dovrebbe veder la luce in uno spazio già finanziato di evidente prossima nascita), oppure semplicemente per un periodo in una delle stanze del ristrutturato Palazzo del Podestà. Se le prospettive non sono mancate, le risposte dalla soprintendenza o dal Ministero non appaiono mai giunte, tanto che — a prescindere da raccolte firme e levate di scudi al grido ridateci il NOSTRO Botticelli!” — viene da domandarsi quali siano i percorsi da intraprendere per poter sperare di rivederlo in città.

Soprattutto percorsi tali da poter formulare proposte realistiche a livello di realizzazione, con garanzie di sicurezza della tavola, nella valorizzazione della storia cittadina.

Più che altro, appariva opportuno domandarlo a qualcuno con le competenze e le conoscenze necessarie per tracciare realistici tratti sulla questione: nessuno meglio di Antonio Natali, recentemente ospitato come relatore al Moby Dick Festival di Terranuova Bracciolini.

Ho incontrato lo storico dell’arte originario di Piombino, proprio qualche minuto prima del suo intervento nello spazio Terranuovese: disponibilissimo a parlare dell’argomento e forte dell’esperienza maturata da Direttore della Galleria degli Uffizi dal 2006 al 2015.

Una parte della sua dichiarazione è stata riportata nel numero di Maggio del mensile gratuito “Valdarno Oggi” (con il quale collaboro denudato del mio oramai consueto pseudonimo), mentre di seguito ho deciso di riportare la sua completa disamina sulla questione, tra l’altro citata anche tra gli esempi riportati di fronte alla platea valdarnese in seguito.

“…è evidente che il Ministero dei Beni Culturali dovrebbe dire la sua, come parola definitiva. Naturalmente lo stesso vale per i detentori dell’opera, che dovrebbero essere la Regione Toscana e l’Università di Firenze. Quando si tratta di opere di importanza riconosciuta e storicamente ricostruita (anche per la cittadinanza della città di origine, in questo caso Montevarchi), è necessario ricordarsi sempre che le opere contenute nei musei non sono concepite per gli stessi.

Si tratta di opere nate spesso nelle chiese, come nel caso di un’opera di arte sacra come la Pala di Botticelli di cui stiamo parlando, la cui collocazione attuale dipende da eventi storici avvenuti. Reclamare il ritorno di un’opera nel luogo per il quale è stata originariamente dipinta è assolutamente ammissibile se lo guardiamo dal punto di vista della coscienza storica, ma altamente improbabile.

È chiaro che alla base dell’attuale collocazione della Pala c’è una privazione storica, ma ogni museo esistente non è altro che la risultante di una serie di percorsi storici che hanno portato quelle opere, nel tempo, in quei determinati spazi.

Se esiste una speranza relativa al ritorno a Montevarchi della Pala di Botticelli, sarebbe indubbiamente per una restituzione temporanea, costruendo attorno all’opera stessa un’esposizione che non preveda soltanto la singola opera, ma che le circoscriva un percorso storico, affiancandola magari ad opere che presentino analogie o vicinanza temporale.

Questo favorirebbe la concessione di un prestito che per la verità non è così scontato, soprattutto a livello di strutture. Anche perché — nel caso dovesse tornare nella chiesa di provenienza, oppure in altri spazi adibiti a museo — è necessario dotare le stesse di quei sistemi di sicurezza anche microclimatica, decisivi per garantire l’incolumità della Pala. Trattandosi di una tavola, è necessario un apparato appositamente studiato.

Più il progetto espositivo temporaneo è fondato su una serietà scientifica e concettuale, e maggiori sono le possibilità di concessione dei detentori dell’opera. Per la cittadinanza e per un lavoro di recupero delle radici storiche ed artistiche cittadine, un evento del genere sarebbe assolutamente auspicabile. Anche perché, per quanto il quadro in questione si trovi esposto da poco al pubblico, è necessario che i detentori di opere d’arte tanto importanti non le lascino celate al pubblico.

La Città degli Uffizi” ,che ho promosso da Direttore del conosciuto Museo Fiorentino, si basava proprio su questo concetto: restituire l’arte ai luoghi di origine, seppur temporaneamente, stimolando attraverso i legami storici un interesse che può ampliarsi a partire da lì”.

Tra l’altro, la serie di eventi espositivi temporanei chiamata “La Città degli Uffizi” concepita e promossa da Natali, passò anche e soprattutto da Montevarchi, con l’istituzione di una mostra di successo come quella riguardante le opere del pittore Giovanni Martinelli, di ritorno nella sua città natale.

Secondo l’opinione dello storico quindi, è opportuno direzionarsi verso una strutturazione di percorsi a misura dell’opera, per sperarne il momentaneo rientro in città, utilizzandola sia come trampolino per la promozione del turismo territoriale, che come porta di accesso alla storia dell’arte per quella cittadinanza ad oggi meno preparata.

Tanto vale provare a muoversi in questa direzione, quindi, se di ultima chance si tratta. Soprattutto iniziando ad individuare chi -per riconosciuta competenza- potrebbe occuparsi di un onore simile a quello di costruire un percorso espositivo attorno alla Pala Botticelliana. Chissà che proprio Antonio Natali non possa essere la figura più adatta.

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Un.Dici è l'universo di Julian Carax, doppio di Davide Torelli, che sarei io. Qualcosa in più qui: https://linktr.ee/davidetorelli