Dentro il Museo Paleontologico di Montevarchi

Un.Dici
StorieDaMontevarchi
9 min readNov 14, 2018

In un viaggio a tappe inseguendo il percorso della bellezza resistente in città, impossibile non tornare a visitare il Museo Paleontologico Montevarchino, incontrando la direttrice Elena Facchino.

La versione che segue non è altro che l’articolo completo (decisamente più lungo e corposo), rispetto a quello che appare qua sopra, pubblicato nel numero di Novembre del mensile cartaceo Valdarno Oggi, con il quale collaboro. Se da una parte era necessario sintetizzare gli aneddoti e le esperienze all’interno di uno speciale sui musei di vallata, dall’altra sarebbe stato un’autentico spreco lasciar nel dimenticatoio le parole della Direttrice Facchino, e le riflessioni generate da esse.

“Si tratta di un museo piuttosto conosciuto in tutto il territorio e da molto tempo, anche perché rappresenta un classico che si rinnova di generazione in generazione nelle gite delle scuole elementari, non solo per le classi Montevarchine. E questo punto di forza ne ha garantito attesa e partecipazione in seguito alla recente riapertura al pubblico” è così che Elena Facchino, Direttrice del Museo Paleontologico di Montevarchi dalla riapertura nel Dicembre del 2014 (dopo anni passati all’interno dapprima come volontaria ed in seguito nella segreteria), ne introduce le peculiarità.

Lo spazio espositivo, facente parte del patrimonio dell’Accademia Valdarnese del Poggio e situato nei locali dell’antico Convento Francescano di San Ludovico a Montevarchi, festeggerà i 190 anni di apertura al pubblico nel 2019. Un traguardo che lo rende, di fatto, uno dei contenitori espositivi più longevi a livello nazionale, oltre che il più antico in terra Valdarnese. Con oltre 2600 reperti custoditi al suo interno — tutti provenienti dalla storia dell’importante bacino fossilifero locale, ben conosciuto anche a livello internazionale — il Museo Paleontologico di Montevarchi rappresenta una delle più visitate eccellenze cittadine. Con numeri di tutto rispetto.

Di contro, però — prosegue la Direttrice Facchino — “i sette anni di chiusura ne hanno limitato la fruibilità per numerosi bambini, lasciandolo cadere anche un po’ nel dimenticatoio per il lungo tempo passato “in sosta”, anche tra gli affezionati che lo avevano visitato nei decenni precedenti. E proprio grazie ad un ricordo condiviso da molti e relativo almeno all’età infantile di gran parte dei Valdarnesi, nell’anno della riapertura l’affluenza è stata quasi insperata, toccando i diecimila visitatori.

Tanti sono stati curiosi ed entusiasti nel vedere come era stata cambiata l’impostazione dei reperti esposti, con un allestimento ed un percorso realmente stravolto rispetto a quello che tutti ricordavano. Numeri impressionanti che si sono inevitabilmente affievoliti negli anni a seguire, pur mantenendo una media più che lusinghiera di circa seimila visitatori l’anno. Lo stesso Paleo Festival (replicato nel 2018 dopo una prima edizione sperimentale), rappresenta un’occasione di afflusso e soprattutto di ritorno all’interno delle stanze del Paleontologico, con iniziative collaterali che si estendono nel centro cittadino ma che mettono al centro le nuove sale del Museo. Si tratta di un evento realizzato grazie al contributo del Comune di Montevarchi, ma ideato e realizzato con innumerevoli sforzi progettuali proprio dal Museo Paleontologico, con lo scopo di richiamare l’attenzione sul Valdarno inteso come bacino fossilifero di straordinaria importanza, conosciuto a livello internazionale da secoli forse più all’estero che da chi lo abita.

La consapevolezza rispetto all’importanza scientifica del nostro territorio è qualcosa che forse manca ai Valdarnesi, pur essendo osservabile quotidianamente (e le Balze, ad esempio, ne sono testimonianza tangibile quotidianamente). Si tratta di una storia geologica che continua a restituire testimonianze fossili a partire da tre milioni di anni fa ad oggi: una peculiarità che è scopo del Paleo Festival sottolineare, in primis agli abitanti di tutta la valle e non solo di Montevarchi. Oltre a questo, altro obiettivo fondamentale del festival è quello di avvicinare differenti pubblici alla storia locale più antica, con un occhio di riguardo per i più piccoli che tendono ad affascinarsi maggiormente, e che comunque continuano da tradizione a visitare le nostre sale in gita durante gli anni delle scuole elementari, non solo per quanto riguarda il Valdarno Aretino. Anche a questo proposito si utilizzano linguaggi meno scientifici e più popolari, proponendo attività, spettacoli ed incontri adatti anche e soprattutto alle famiglie. Del resto se i servizi educativi rappresentano ancora lo zoccolo duro rispetto alle affluenze al Museo, anche i servizi extrascolastici come l’evento “Una notte al museo” ottengono un successo particolarmente ampio, considerando che i posti prenotabili esauriscono in pochissimo tempo, ogni volta”.

Sfruttando indirettamente un preriodo dove — per una serie di misteriose coincidenze astrali, evidentemente — l’attenzione verso l’identità cittadina è andata crescendo più o meno in tutta la penisola, e la contemporaneità con un periodo di attenzione verso la stessa tipico dei mesi pre elettorali, il Museo Paleontologico si è riaperto con il botto, ed ha proseguito su quella scia. Poi, il destino ha voluto che una terra ricca di storia geologica e di reperti inestimabili, restituisse quasi per caso il cranio di un esemplare di Mammuthus meridionalis, affiorato nell’estate 2017 in un campo della località Tasso, vicina a Terranuova Bracciolini. Una rinnovata tensione sull’argomento ha travolto la comunità, con la Direzione del Museo Paleontologico in prima fila nelle opere di recupero, restauro ed esposizione.

Una delle ultime sfide che ha impegnato il museo per oltre l’ultimo anno , è il progetto di recupero del cranio fossile di Mammuthus meridionalis — prosegue Elena Facchino — come Museo Paleontologico, insieme ovviamente alla Soprintendenza (che ne detiene la titolarità dello scavo) e con l’Università di Firenze, abbiamo colaborato sia alle fasi di scavo e recupero, che a quelle di restauro, fino alle fasi definitive di musealizzazione grazie alle quali il “grande elefante” si trova attualmente nelle nostre sale, ancora in fase di restauro.

Proprio rispetto a questo abbiamo passato l’ultimo anno a setacciare e ricercare risorse, gettando letteralmente “anima e corpo” in un progetto unico come “SOS Mammuthus”, e quindi andando incontro alla gente, raccontando la storia di questo territorio e la preziosità del nostro patrimonio culturale capace di restituire reperti di importanza simile, recandoci nelle piazze con dei punti di raccolta anche ospitati nelle differenti feste cittadine locali. Il riscontro popolare è stato ancora una volta superiore alle aspettative, anche a prescindere dal ritorno economico ottenuto (che comunque ha permesso il recupero di oltre dodicimila euro, una cifra non certo irrisoria). Vedere tanti curiosi avvicinarsi ai nostri punti informativi è stato veramente singolare, sia per sincera ed attiva volontà di saperne di più, che nel constatare il ritorno di molta gente che, entrata in contatto con la storia e visitato il restauro, ha deciso di donare e farlo di nuovo, per quanto possibile.

Uno degli elementi sicuramente innovativi che hanno permesso che la storia del fossile di Mammuthus meridionalis appassionasse ed incontrasse differenti pubblici, è stato quello di donare il nomignolo dell’Elefante (secondo tradizione museale) con una sorta di giuria popolare, composta da qualsiasi cittadino interessato. La scelta gira attorno a sei differenti nomi, ognuno portanti in dote un significato particolare (da quello del cacciatore che ha scoperto per primo le zanne affioranti dal terreno, al padrone dello stesso ad esempio).

Un modo per valorizzare il senso civico dei differenti attori che hanno contribuito a questo recupero, e per costruire intorno al cranio fossile una vera e propria storia da raccontare, non solo immaginata ma stavolta tangibile, nelle sue fasi recenti. Inserire un elemento tutto sommato divertente, legato ad un linguaggio giocoso, ha favorito ulteriormente la partecipazione e l’interesse della popolazione Valdarnese, mantenendo la discussione e l’attesa per il restauro del fossile altissima. Un modo diverso per creare affezione, rispondendo con seguito a sollecitazioni simili, che apparentemente possono sembrar lontane da una realtà che fa della ricerca e della storia geologica del territorio il suo perno. Ma non potremmo agire in modo differente, considerando che il carburante che ha permesso al Museo di percorrere quasi due secoli di storia cittadina, si basa proprio su una partecipazione “dal basso”, popolare, per molti il primo approccio con uno spazio di recupero ed esposizione culturale in età infantile”.

Del resto, se guardiamo tutto questo con gli occhi appassionati di chi lo racconta, è impossibile non guardare alla storia personale della Direttrice del museo, spesso coincidente con le sue sorti. Ha iniziato come volontaria da studente, appassionandosi alla storia in esso contenuta tanto da riceverne la Segreteria negli anni, crescendovi dentro a livello professionale fino a ricoprirne la direzione: un percorso affettivo che ha portato Elena Facchino ha dedicarvi anima e corpo, anche e soprattutto attualmente. Anche e soprattutto nei nuovi progetti che tendono a modernizzarne la fruizione, provando a trascinare il sistema museale cittadino composto, principalmente, dal Cassero per la Scultura ed un Museo d’Arte Sacra ancora in attesa di nuova collocazione.

“Un percorso come quello avviato nel restauro del Mammuthus, coerente sia cronologicamente che metodologicamente, nasce dalla volontà appassionata di portare la gente a vedere il patrimonio fossile Valdarnese, anche partendo da quell’ultimo arrivo che tanto è riuscito a solleticare fantasia e curiosità nell’ultimo anno. Ogni tipo di partecipazione, che sia una visita guidata al laboratorio di restauro, una targa in cambio di un contributo al restauro o il voto stesso per il nome del fossile, favoriscono un’affezione che può portare sicuramente frutti al patrimonio culturale locale in futuro. Si tratta di un metodo estendibile ad ogni tipo di esperienza cittadina o locale, anche e soprattutto in un Valdarno pieno di storia e cultura, mai promozionato con efficacia a livello totale, turisticamente parlando”.

Ed è proprio su questa ultima tematica toccata in conclusione, che dovremmo soffermarci a riflettere. Perchè se da una parte appare naturale la promozione turistica cittadina come un unico rispetto agli spazi museali a disposizione, guardando al Valdarno appare impossibile superare uno scoglio apparentemente tanto facile da circumnavigare.

Negli ultimi mesi, a livello Montevarchino, è stato sperimentato il biglietto unico per tutto il sistema museale, in un territorio che ha comunque vissuto una flessione di visitatori turistici nell’ultima estate, e che decisamente necessita di uno sforzo unificato in materia di promozione ed unione delle realtà presenti al suo interno.

Serve forse un differente modo di raccontarlo, questo Valdarno: uno storytelling che, con l’immediatezza tanto cara a questi tempi (quanto limitante in una valle che ha dato i natali a Poggio Bracciolini, Masaccio, Francesco Mochi o Isidoro del lungo, tanto per citarne tre) favorisca un sunto esperienziale da proporre ai tanti turisti del “meno scontato”.

In una vallata in cui i campanilismi possono risultar accettabili e divertenti in ambito sportivo, ma che necessita di una struttura unitaria e differente di raccontarsi, perché sotto tutti i punti di vista (e soprattutto per differenti epoche storiche, partendo appunto dalla sua conformazione geologica originale) avrebbe molto da offrire. Rispetto a tutto questo, per organizzazione e risultati, il Museo Paleontologico di Montevarchi deve rappresentare un esemplare punto di partenza, senza ogni ombra di dubbio.

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Un.Dici è l'universo di Julian Carax, doppio di Davide Torelli, che sarei io. Qualcosa in più qui: https://linktr.ee/davidetorelli