La più grande impresa che Montevarchi abbia mai visto.

Un.Dici
StorieDaMontevarchi
8 min readFeb 3, 2018

Nove mesi in solitaria nel mezzo a niente, o meglio, nel mezzo del mare. Nove mesi, il periodo di una gestazione: quando porti in grembo la personificazione del futuro, probabilmente volano via veloci.

Chissà come sarà percepito lo stesso lasso temporale circumnavigando il globo, attraversando il Capo di Buona Speranza, il Capo Leewin e Capo Horn.

Nove mesi in balia degli eventi atmosferici, incrociando tramonti ed albe incredibili, proseguendo per una velocità dettata dai venti e dalla natura, lontani da quella civiltà e quelle tecnologie che oggi, per quanta libertà di azione promettono, appaiono talvolta come loculi carcerari personali.

Precedentemente ad una gestazione, possono incrociarsi migliaia di storie e casistiche: difficoltà, programmazioni, prospettive, incertezze, imprevisti, sofferenze.

Precedentemente ad un’impresa simile - quando quei nove mesi rappresentano un traguardo da raggiungere - la preparazione è indubbiamente copiosa, fisicamente e soprattutto psicologicamente: passi il tempo ad immaginarti come sarà passare così tanti giorni solo con te stesso ed il mare, mentre lavori incessantemente a preparare quel mezzo che sarà contemporaneamente rifugio amico e strumento incerto di sopravvivenza.

Ci vogliono anni per preparare nove mesi simili, e sicuramente guardandosi indietro alla partenza, il tempo a venire sembrerà destinato a volar via, in quotidianità apparentemente replicanti, probabilmente mai così diverse l’una dall’altra e mai così incerte in ogni secondo che passa. Una volta compiuta un’impresa simile, quei nove mesi sembreranno passati in uno sbatter di ciglia.

Francesco Cappelletti, Skipper Montevarchino, sarà l’unico Italiano a prendere parte alla prossima Golden Global Race 2018: un viaggio intorno al mondo che insegue la rotta di una sfida avvenuta cinquant’anni orsono, replicandone non solo gli schemi ma imponendo ai partecipanti un livello tecnologico pari al 1968.

E per quanto chiunque di noi possa capirne niente di vela, se solo ci fermiamo ad immaginare quanto la quotidianità comune si sia rivoluzionata negli ultimi venti anni, possiamo forse quantificare gli incredibili passi in avanti fatti in un mondo come quello della vela, in cinquanta. Principalmente in materia di sicurezza, presumibilmente.

Ecco, tutti quei passi in avanti, saranno cancellati in quella che potremmo definire una competizione di Vela Eroica (tanto per utilizzare l’autentico Brand divenuto internazionale, in accompagnamento alle sfide ciclistiche vintage, nato a pochi chilometri da Montevarchi, in Chianti, per intuizione di Giancarlo Brocci).

Tra il 2018 ed il 2019, quindi, Francesco Cappelletti rischia seriamente di diventare il Montevarchino capace di compiere la più grande impresa mai immaginata da un concittadino qualsiasi, anche scartabellando leggende vere o presunte di epoche mai testimoniate con certezza. Anzi, visto che i nastri di partenza si romperanno il prossimo 1 Luglio 2018, quella della “più grande impresa che Montevarchi possa ricordare”, è di fatto etichetta già applicabile.

La Golden Globe Race fu una regata organizzata nel 1968 dal Sunday Times (uno dei principali giornali del Regno Unito, per intenderci), in seguito all’impresa di Sir Francis Charles Chichester, che nel 1966 completò il primo giro del mondo in barca con un solo scalo tecnico, in quel di Sydney.

Il Sunday Times ripropose la stessa prodezza come una competizione, imponendo ai partecipanti di completarla senza scali né soste, mettendo in palio l’equivalente di 100.000 euro odierni per il primo classificato.

Furono nove gli Skipper che presero parte alle competizione, tra i quali anche il “Chichester d’ItaliaAlex Carozzo, classe 1932, costretto a ritirarsi a largo del Portogallo a causa di un’ulcera allo stomaco, per la quale fu costretto a farsi ricoverare a Lisbona.

Tra i partecipanti anche Bernard Moitessier, navigatore e scrittore di autentici capolavori come “Un Vagabondo dei Mari del Sud” e “La Lunga Rotta”, che al quasi compimento del percorso previsto (da primo in classifica, in rimonta dopo aver perso terreno precedentemente, in preda ad una sorta di “crisi mistico/personale”), decise di girare la prua della sua barca verso sud, ripercorrendo un’altra metà di quel giro già completato, prima di attraccare a Tahiti, abbandonando moglie e figli seppur temporaneamente.

La prima Golden Globe Race fu così completata e vinta da Sir Robin Knox-Johnston in 313 giorni, ovviamente senza soste come da regolamento.

È proprio in quello che è considerato il più letto ed affascinante libro sulla vela di sempre - “La Lunga Rotta” - che Moitessier racconta la sua avventura, che per certi versi risulta più incredibile dell’impresa compiuta dallo stesso Knox, in un giro e mezzo del globo senza scali “anche per salvare la mia anima”, come scrisse. Si tratta di un libro che ha avvicinato alla passione per la vela numerose generazioni, rendendo lo stesso autore una sorta di mito assoluto della categoria (se così si può dire).

Nessuna meraviglia, quindi, a scoprire come il Montevarchino Francesco Cappellettinato in una valle percorsa da un fiume non certo navigabile e circondata dalle colline del Chianti ed i boschi del Pratomagno, agli antipodi immaginari dal silenzio del mare aperto — si innamori della vela da adolescente, proprio leggendo le parole di Bernard Moitessier rispetto anche a quella storica prima (ed al momento unica) edizione della Golden Globe Race.

Francesco inizia a navigare non appena compiuti i diciotto anni di età, ispirato da un libro capace di renderlo da subito amante di quelle modalità elementari per le quali ci si affida preferibilmente alla propria percezione del mare, piuttosto che agli strumenti tecnologici oggi disponibili. Per lui, quindi, la Golden Globe Race rappresenta una sorta di mito, un’impresa da sogno alla quale probabilmente non si sarebbe mai immaginato di poter prender parte, calcando così le orme del suo maestro/ispiratore.

Ed invece nel 2015, viene dichiarata una seconda storica competizione, per festeggiarne i 50 anni di storia, identicamente ricalcante percorso e struttura di quella sfida partente da Plymouth, in Inghilterra. I limiti di grandezza delle barche dovranno coincidere con quelli del tempo, così come non saranno ammessi Gps e la comunicazione con “la terra ferma” potrà svolgersi soltanto via radio, in totale indipendenza sia energetica che alimentare: ciò significa, ingenti scorte di acqua e di cibi secchi, con l’idea di desalinizzare in seguito l’acqua marina (oppure raccogliendo e filtrando quella piovana) e vivere anche di pesca.

Con le tecnologie attuali (ma come già detto, non permesse nella competizione) lo stesso percorso che Knox completò in 313 giorni, viene coperto in 75 nella migliore delle ipotesi.

Per il Montevarchino che è cresciuto sognando Moitessier, per quanto il periodo di navigazione in solitaria più lungo da lui compiuto sia stato pari a 25 giorni, la possibilità di partecipare rappresenta ovviamente un’occasione unica, il coronamento mitico di una passione divenuta per lui anche un lavoro nel frattempo.

La più grande impresa di un Montevarchino, che Montevarchi possa ricordare, avverrà con data di partenza fissata al primo giorno di Luglio del 2018, stavolta inevitabilmente da un luogo diverso rispetto a cinquant’anni fa, perché le trasformazioni politiche avvenute in questo lasso di tempo sono andate di pari passo anche con quelle tecnologiche. Infatti, dal 2015 ad oggi è avvenuta la cosiddetta Brexit, che ha gettato un’ombra economicamente piuttosto spessa su una organizzazione che avrebbe dovuto strutturarsi nella Plymouth che fu, tanto da spostar la partenza in Francia, a Les Sables d’ Olonne nel Golfo di Biscaglia.

Francesco rappresenterà l’Italia da solo all’interno di una scuderia di espertissimi Skipper internazionali, contemporaneamente portando alla ribalta il nome della città di Montevarchi, dalla quale proviene e torna più volte possibile, pur vivendo per questioni legate alla sua professione (a sua volta dipendente dal mare) in quel di Marina di Pisa.

Guardando a quello che successe nel 1968, la storia racconta di un Johnn Ridgway ritiratosi per inadeguatezza del mezzo a Recife in Brasile, di un Chay Blyth terrorizzato ed umanamente provato già dalle prime tempeste incontrate nel cammino (con la barca che cedette a largo del Sud Africa), di un Bill King costretto a mollare per un disalberamento della barca, di un Loic Fougeron obbligato ad abdicare per avaria nell’Isola di Sant’Elena.

Di nove partecipanti, contando il già citato Carrozzo, solo in tre riuscirono a completare la regata, pur considerando tra questi un Moitessier che sostanzialmente proseguì allungandola senza tagliare il traguardo, ed un incredibile Nigel Tetley, che naufragò a 1000 miglia dall’arrivo per aver spinto troppo il proprio mezzo, già pesantemente provato.

Oltre al vincitore assoluto Knox, quell’unica edizione raccolse al suo interno anche la storia di Donald Crowhurst, velista dilettante ma soprattutto commerciante in pesante difficoltà, che decise di giocarsi il tutto per tutto puntando al premio in denaro, con il sogno di risollevare così il suo destino. Nel mezzo di una competizione alla quale non era preparato, con una condizione mentale resa instabile anche da sensi di colpa personale, iniziò a delirare pesantemente riempiendo diari stracolmi di citazioni filosofiche, calcoli improbabili ed irrealtà varie. La sua barca fu trovata alla deriva, con il suo corpo presumibilmente destinato al fondo di uno dei tre oceani percorsi, considerando che si suicidò (si pensa consapevolmente) gettandosi in mare.

A distanza di mezzo secolo, chiaramente, la preparazione e le motivazioni degli Skipper che si sfideranno in questa competizione inimmaginabile per ogni profano della navigazione, saranno differenti rispetto a quelle del tempo.

Tuttavia, per quanto la pratica e l’esperienza personale odierne siano sicuramente maggiori in termini di consapevolezza, è importante considerare come il dover competere privati delle conquiste tecnologiche attuali rappresenti un autentico salto del buio per ognuno, anche per Francesco. Pur creandosi una routine quotidiana da rispettare, all’interno della quale calcolare gli inevitabili imprevisti metereologici o tecnici destinati a mutarne la struttura, nessuno di loro potrà mai immaginarsi come sarà compiere qualcosa di simile, se non dopo almeno una decina di giorni di navigazione in solitudine. Ed in quel momento sarà sicuramente troppo tardi per desistere.

Soprattutto per questo, si tratta di un’impresa storica: perché è caratterizzata da un salto indietro nel tempo, per persone che probabilmente si sono formate professionalmente con garanzie date per scontato, delle quali dovranno essere private per un periodo mai sperimentato prima.

Per Francesco Cappelletti sarà un’esperienza personale fortissima, appassionante, unica, inimitabile. Per la città dalla quale proviene — quella di cui raccontiamo occasionalmente le storie — sarà la più grande impresa mai vista da un concittadino, e quindi non certo cosa da poco.

“Tant mieux si, la route est longue, Je ferais le tour du monde”

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