Monna Tancia e Luberto Da Montevarchi

Un.Dici
StorieDaMontevarchi
8 min readJun 20, 2017

Ah….benedetta sia la #Montevarchinità e benedetto sia il Campanilismo Toscano!!!

Ma ci pensate un attimo a quanto sarebbe monotona la nostra blasfema ed irriverente Regione senza il “meglio un morto in casa che un Pisano all’uscio” dei Livornesi, oppure senza lo sguardo superiore dell’Aretino verso il “Valdarnotto”, i Lucchesi che pur di non andar al mare a Viareggio bypassano la prima costa versiliana (prima, rispetto le distanze autostradali), il “Siena di tre cose è piena: di torri, di campane e di figli di puttane” e via dicendo?

Qui a Montevarchi siamo “piccini”, lo sappiamo. Siamo “piccini” in relazione, ad esempio, alla grandezza della Gloriosa Fiorenza e della Repubblica Marinara Pisana, che fra di sé non possono vedersi neanche in fotografia. Eppure non è piccolo il sentimento campanilistico per il quale, in valle -divisi praticamente da niente vista la crescente geografia cittadina che le ha rese attaccate tanto da condivider un Ospedale- Sangiovannesi e Montevarchini si litigano il titolo di abitanti della “Capitale del Valdarno”.

Capitale”, mica noccioline!

La Venerabile importanza che racchiude questa parola fa venire la pelle d’oca, se per un attimo ci dimentichiamo di cosa stiam parlando, soprattutto di quale Valle esser la Capitale sarebbe fregio così ambito.

Scintillanti momenti nella piazza cittadina, durante la Notte Bianca Sangiovannese

Eppure, a proposito di moderne e consumistiche mode che diventano periodiche abitudini, parlando di “Notti Bianche” (intesa come quella festa dove i negozi stanno aperti fino a tardi, è lecito far casino nei centri cittadini, e l’ubriachezza giovanile è lievemente più tollerata del solito tanto da dimostrarsi nel suo splendore più sincero, senza remore) quella di maggior frequentazione — la Sangiovannese — è raramente frequentata dai dirimpettai Montevarchini (seppur chi ci va, non lo ammette, ma ci va). Viceversa accade quando più o meno la medesima struttura si ripropone tra Piazza Vittorio Veneto, Piazza Varchi, Via Roma e strade limitrofe.

Ed è proprio all’interno di una di queste “Notti Bianche” che, senza un motivo se non la noia, sono rientrato nella cappella illuminata al di sotto della Basilica di San Giovanni; quella “originale”, costruita sopra una storia, una Novella, un miracolo religioso che infondo mi ha sempre affascinato, e al partire dal quale pare si sviluppò tutta la struttura ecclesiastica che possiamo ammirar ancor oggi.

La storia è quella del Miracolo di Monna Tancia, e per quanto la mia religiosità sia vicina allo zero ma contemporaneamente sia amante di racconti e miti popolari, fin da piccolo che l’avevo sentita, mi ha da sempre affascinato. Nella Basilica superiore alla antica cappella,è raccontata in un affresco murale diviso in tre parti, al lato dell’altare, appena sopra uno dei due accessi.

A questo proposito mi auto cito (con poca umiltà ma forse totale libertà di utilizzo di una fonte, la mia, tra l’altro ancora inedita) riportando un piccolo passo compreso in un progetto che, forse un giorno sarà leggibile nella sua interezza; personale tentativo di raccontar la Storia della Monna Tancia Sangiovannese.

La storia ha radici antiche, si tratta infatti dell’anno 1478: periodi di pestilenze violente vissute come maledizioni divine, anni oscuri tinteggiati di colori foschi tipici della sofferenza innocente, quella percepibile solo attraverso l’impotenza, come le calamità naturali odierne. L’epidemia di Peste stava decimando gran parte degli abitanti del Castello, e tra i pochi risparmiati si racconta ci fosse il piccolo Lorenzo: un bimbo indifeso, catapultato in una realtà in modo decisamente inconsapevole, tanto da non poter percepire che la madre Santa e il padre Francesco erano finiti vittime di quell’ondata violenta. Per lui restava soltanto l’anziana nonna di settantacinque anni, la signora Monna Tancia, consumata dalla vita non così tanto da aver lasciato il suo corpo vittima di quello che appariva inevitabile.

Il bimbo piange e si dispera, fuori dal povero ambiente dove la vecchia si strugge per il destino infame che lo aspetta si sentono solo lamenti, si respira solo la morte: impossibile per lei trovare un chiunque capace di prendersene cura, inevitabile arrendersi.

Probabilmente la Fede in un qualcosa di più alto esiste per accogliere momenti simili, così come probabilmente storie del genere servono a cementificarla nella testa dei tanti che le ascolteranno in futuro, tramandando una leggenda che, in quanto tale, probabilmente non è destinata ad esser realmente avvenuta. Ma perché inquinare con il dubbio della verità, una splendida storia?

Si dice che all’esterno della porta del Castello era raffigurata l’immagine della Madonna di San Lorenzo, e Monna Tancia come ultima possibilità, le portò di fronte il piccolo Lorenzo, per un’estrema supplica di clemenza divina.

Fu così che la notte seguente, la vecchia e stanca signora sentì i suoi seni oramai in disuso riempirsi di latte, tanto da potersi permettere di svezzare il neonato fino a 22 mesi di vita. Un miracolo la cui voce si propagò fin fuori regione, provocando l’esodo di pellegrini che accorsero al Castel San Giovanni per vedere con i loro occhi quella vecchia signora graziata dal Divino, quella piccola anima baciata dal miracolo. Si dice che anche Lorenzo Dè Medici si recò a vedere con i suoi occhi Monna Tancia e l’incredibile dono da lei ricevuto.

Intorno a quell’immagine sacra venne così creata una piccola Cappella, destinata ad ingrandirsi con il tempo diventando la principale Cappella cittadina, restandolo ancora oggi.

Questa leggenda, come già detto, è riportata sotto forma di affresco all’interno della più importante Basilica cittadina: tre differenti tavole che tramandano, con tanto di didascalie la storia appena raccontata, che di fatto dettero origine al culto della Madonna delle Grazie. Al di sotto delle raffigurazioni è riportata la scritta “Al Tempo di Giannozzo Salviati Vicario 1510”, indubbiamente relazionata alla data di esecuzione degli affreschi stessi, probabilmente ispirati da una rappresentazione precedente che in parte è ancora visibile, riportata ma poi coperta al di sopra dell’altare. Queste pitture murali sono state brevemente riportate anche dal Vasari in relazione alla vita del pittore Perugino, del quale fu allievo il pittore Luberto da Monevarchi. È a lui che viene attribuita l’opera.

Ed ecco così sopraggiungere il nostro Montevarchino, il nostro Luberto da Montevarchi che si fa raccontastorie esclusivo del Miracolo del “paese accanto”, alla faccia di quello che oggi è Campanile e Rivalità cittadina. Il Luberto (o Roberto che dir si sia voluto) che con la sua pittura murale, tramanda fisicamente una leggenda che si propagò di bocca in bocca, di secolo in secolo, fino a sopraggiungere sopravvissuta nel muro della Basilica di San Giovanni Valdarno ancora oggi.

Se avete letto un qualcosa contenuto in questo “Storie Da Montevarchi” , che più che un Blog è una sezione o categoria di un contenitore più grande e variegato a livello tematico, avrete già incontrato il Luberto da Montevarchi nel caotico pezzo a seguire, dove si parlava di un presunto ed irrealizzabile “Museo della Pittura Montevarchina”, tanto per citare i pittori più illustri nati in città.

E quindi perchè non auto citarmi di nuovo a riguardo, nel piccolissimo frammento a lui dedicato?

(…)Di epoca precedente Roberto (o Luberto) da Montevarchi: benchè data di nascita e di morte siano incerte, il detto allievo del Perugino (detto dal Vasari) è stato pittore di fine quattrocento. Veniva chiamato semplicemente “Il Montevarchi” e recentemente gli sono stati attribuiti anche una serie di affreschi rinvenuti in un’abitazione privata sul Palazzo Brandini (fonte Wikipedia). Bizzarro non ricordarlo in nessun angolo cittadino (ma forse invece lo è, ed io non lo so. In caso Mea Culpa).

Allievo, come detto, di Pietro di Cristoforo Vannucci, noto come il Perugino o come Pietro Perugino (che fu maestro di Raffaello, e titolare di due importantissime botteghe a Firenze e a Perugia), biograficamente del Luberto si sa ben poco. Lo stesso nome è seriamente incerto a vantaggio (o svantaggio) di “Roberto”.

Come spesso accade in relazione alla Storia dell’Arte, tanto dobbiamo all’opera per i posteri di Giorgio Vasari, colui che fu autore dell’opera storiograficamente fondamentale “Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori”, la più completa raccolta biografica che copre il trecento ed il quattrocento nazionale.

Il vasari

A proposito di Campanilismo odierno, tanto per collegarsi in modo un tantino forzato, Giorgio Vasari nacque a pochissimi chilometri di distanza da Montevarchi, in quella che nel tempo è diventato Capoluogo di Provincia della nostra ridente cittadina, ad Arezzo. Un personaggio fondamentale per la storia dell’arte mondiale, la cui testimonianza risulta spesso unico riferimento per risalire alla paternità di alcune opere, o alla biografia dei principali artisti del tempo, era geograficamente “dei nostri”. Anche se proprio da un punto di vista campanilistico, definir “dei nostri” un aretino, equivale oggi ad una fragorosa e sentita bestemmia gridata nel momento dell’Eucarestia, nella chiesa della Collegiata durante la Messa di Natale.

Ecco il Vasari, su Luberto/Roberto:

Il Montevarchi [fu] scolaro di Pietro Perugino, del quale non si conoscono che poche opere fatte nella sua patria di Montevarchi, che lo dimostrano fedele imitatore del maestro” o, più precisamente, “non è conosciuto che dal nome della patria, dove lasciò alcune opere, che lo fanno credere allievo di Pietro Perugino, comunque vi si scorga altresì qualche imitazione de’ fiorentini maestri quattrocentisti. Il Montevarchi non ebbe luogo tra gli allievi di second’ordine del Perugino, e probabilmente studiò sotto di così illustre maestro avanti che la sua scuola acquistasse nome dai valenti giovani che la frequentarono negli ultimi anni del quindicesimo secolo, e ne’ primi del susseguente”.

Per la verità un esempio dei pochi riconosciuti (o attribuiti) al Luberto, visibili ancora oggi, è rintracciabile all’interno del “montevarchinissimo” Museo D’Arte Sacra; un luogo troppo spesso dimenticato per le opere di valore contenute al suo interno, a parte il pluricitato Tempietto Robbiano.

Qui è infatti esposto l’affresco “Madonna in Trono con Bambino e Santi”, attribuito proprio a Luberto, pare commissionato da tale Bartolomeo di Giovanni Da Levane, in un periodo che viene genericamente individuato come a cavallo tra i primi anni del 500. Di fatto, l’affresco era destinato alla Chiesa cittadina di Sant’Andrea a Cennano; oggi lo vediamo quindi da lì staccato, ed esposto nel Museo suddetto.

Luberto Da Montevarchi, per il poco su di lui rimasto o tramandato, può esser quindi visto come unione di “universi” talvolta tanto distanti quanto geograficamente vicini, per colpa del Campanile toscano. Una vita che tutto sommato ad oggi risulta avvolta nel mistero, se non per la sua origine, per la quale il suo soprannome “Il Montevarchi” parlava ovviamente da sè. Il fatto che le poche notizie pervenute su di lui provengano dalla penna di un Aretino, e che la sua opera più completa ancor visibile si trovi nella Chiesa principale Sangiovannese, non può esser altro che visto come un superamento delle differenze folkloristiche di rivalità locale, in nome di qualcosa di un attimino più “alto” ed universale, che potremmo genericamente definire “Arte”.

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Un.Dici
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Un.Dici è l'universo di Julian Carax, doppio di Davide Torelli, che sarei io. Qualcosa in più qui: https://linktr.ee/davidetorelli