La televisione all’epoca della sua riproducibilità social

Nuove pratiche di consumo per nuovi modelli di business.

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Walter che ci fai lì?

Con una mano si accende il televisore, con l’altra si tiene pronto lo smartphone. Una ricerca Nielsen-Yahoo dice che l’86% dei possessori di smartphone continua ad utilizzare il proprio cellulare (o altro device capace di navigare in rete) durante la visione di programmi in tv.

Il succo della ricerca Yahoo-Nielsen

Lo studio Nielsen-Yahoo (campione di circa 8.000 utenti USA di età 13/64) conferma che la maggioranza di coloro che utilizza quotidianamente smartphone o pc continua a navigare in rete per comunicare sui social network mentre sta guardando la televisione. Il “secondo schermo” (ovvero l’altro monitor che guardiamo in contemporanea con il televisore) consente di arricchire l’esperienza audiovisiva vivendo contemporaneamente anche il tam tam sui social media. Se il succo della social tv è la condivisione via web del momento della fruizione audiovisiva, allora il cyberspazio conversazionale (con tutte le bolle annesse e connesse) si è espanso fino ad inglobare la televisione e il cinema. Una svolta industriale importante.

Per un po’ il concetto di social tv si stava per legare alle moderne smart tv capaci di sovrapporre allo spettacolo il flusso dei pensieri da e per la propria cerchia. Previsioni disattese dalle abitudini del pubblico che premiano l’utilizzo degli smartphone per queste pratiche. Resta la tendenza oramai inarrestabile di sovrapporre i piani della visione in una miscela di suoni, testi, immagini. Movimenti di pensiero e interazioni sociali fulminee.

Tutto questo mentre torna nelle librerie il classico di Walter Benjamin L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica (scritto nel 1935 e più volte rimaneggiato) in una versione filologica, corredata di note e varianti, a cura di Francesco Valagussa. Fu proprio Benjamin, con L’opera d’arte…, uno dei primi testimoni intellettuali della svolta industriale dell’immaginario collettivo. All’epoca, film e trasmissioni radio prendevano il posto di quadri e sculture come riferimenti per l’immaginazione collettiva. All’inizio de Novecento si fanno largo cinema, fotografia, discografia, tutte modalità espressive inequivocabilmente legate a dispositivi tecnologici sia in fase di produzione che in fase di fruizione. Condizionato dalle urgenze dell’antinazismo, durante la conferenza L’autore come produttore Benjamin si interroga sul ruolo sempre più centrale della tecnologia (stampa, radio, fotografia, cinema) nell’ambito della trasmissione culturale. I mass media apparivano all’epoca come un formidabile mezzo di propaganda ideologica e quindi di flusso monodirezionale della trasmissione culturale. Ma già quel particolare sistema mediatico sotto gli occhi di Benjamin lasciava intravedere qualcosa di più complesso: una erosione sistematica della separazione culturale tra autore e pubblico dovuta alla natura stessa del dispositivo tecnologico che assume una funzione di mediazione.

La pratica della social tv giunge all’apice di questo processo di erosione, nel momento in cui il www amplifica vertiginosamente la tendenza alla fluidità sociale dei modelli di consumo culturale. Il risultato è che oggi sono notevolmente ridimensionati quei sistemi di mediazione accademico-museali ancora vivi e vegeti all’epoca di Benjamin. Per Benjamin, il fatto artistico (di conseguenza anche il consenso che si condensa intorno ad un manufatto conferendogli lo status di opera d’arte) è determinato da un livello cognitivo che si sovrappone all’opera. Quella che Benjamin chiama “aura” spiegandola con un’analogia riguardante la percezione di oggetti naturali. L’aura di «un pomeriggio d’estate, di una catena di monti all’orizzonte, di un ramo che getta la sua ombra sopra colui che si riposa» è l’hic et nunc, la durata unica ed irripetibile del momento vissuto nel luogo in cui avviene la percezione. Prima del cinema e della fotografia, i concetti di unicità, di durata, di estasi propri dell’hic et nunc costituivano una parte importante della fruizione e dello studio dell’opera d’arte. Con l’epoca della standardizzazione e della riproducibilità tecnica cambia tutto e Benjamin individua nel cinema «l’agente più potente» di questi rivolgimenti. Dal momento in cui è divenuto possibile riprodurre — o, più precisamente, da quando l’oggetto artistico è pensato in funzione di questa riproducibilità — si ha inevitabilmente una rivoluzione rispetto alla percezione dell’aura pre-moderna.

Viviamo in un mondo in cui le comunicazioni elettroniche hanno reso possibile una disponibilità inedita di manufatti culturali provenienti da tutte le epoche. Le aziende hi-tech e la condivisione social stanno svalutando di significato istituti tradizionali egemonici come la critica specializzata.

Oggi il tam tam social consente allo spettatore di aggiungere all’esperienza un confronto dialettico quotidiano con pari non specializzati. Twitter e Facebook diventano un vero e proprio forum per il narcisismo digitale dove ci si diverte a rendere monumentali le proprie idiosincrasie. Riaffiorano in forme nuove e sempre più disinibite le incontenibili urgenze tipiche dell’individuo immerso nella società di massa. Nello stesso tempo, accanto al narcisismo, riaffiora l’eterno topos antropologico del bisogno di sentirsi parte di un gruppo. Del resto sono questi i binari su cui ha viaggiato per decenni lo sviluppo della società dello spettacolo e quel complesso sistema di segni ruotanti intorno all’uomo-massa. Nonostante la frammentazione continuiamo a chiamare tutto ciò immaginario collettivo.

L’industria dei consumi culturali e la rete delle reti traggono linfa vitale l’una dall’altra e i loro destini sembrano irresistibilmente attratti in questo abbraccio chiamato social tv. Twitter è il servizio di social networking online che più efficacemente ha intercettato la voglia di social tv. La flessibilità dei suoi ritmi veloci (messaggi di massimo 140 caratteri affettuosamente detti cinguettii) rendono il sito dei canarini azzurri il network ideale per una fruizione in mobilità, pronta a disciogliersi nella quotidianità.

Oggi la mole di utenti che si aggregano per commentare prodotti dell’industria culturale su Twitter è tale da dimostrare da una parte la moltiplicazione infinita delle possibilità di fruizione, dall’altra l’infinita varietà dei punti di vista su uno stesso oggetto.

Il pensiero di Walter Benjamin si è concentrato su espressioni artistiche più tradizionali, originate in epoche pre-industriali, che restano legate a concetti di unicità, irripetibilità, genio misterioso insito nell’atto creativo. Ma Benjamin ha anche constato che da un certo punto in poi le nuove arti sono votate alla serialità industriale e al consumo di formati fortemente legati alla tecnologia. Oggi in particolare le comunità virtuali spontanee hanno preso il posto degli apparati di mediazione culturale di cui Benjamin cominciava a presagire l’estinzione.

Forse per il tono giudicato troppo militante rispetto ad altri suoi scritti, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica venne frainteso da molti intellettuali della prima metà del secolo scorso che lo valutarono come una apologia dell’Arte tecnicizzata di massa. Nella nuova edizione, il saggio di Benjamin è accompagnato da uno scritto di Massimo Cacciari (Produttore malinconico) che ne sottolinea la (sofferta) lucidità analitica di fronte alla crisi dell’arte in quanto tale nell’epoca moderna. Per Cacciari ne L’opera… non c’è nessun facile ottimismo positivista, né alcuna rassegnazione passiva alla comparsa delle macchine nei processi comunicativi.

Nel constatare e definire il processo di perdita dell’aura, Benjamin è stato tra i primi intellettuali a sancire l’equiparazione della creazione artistica alla produzione di una merce. Ma senza drammatizzare: piuttosto si tratta di una progressiva desacralizzazione che favorisce un’esperienza laica dell’arte e della cultura in generale. Gli strati di mediazione culturale para-religiosa che si frapponevano tra il fruitore e l’opera non hanno più alcun senso. Con il tweeting in diretta il «qui e ora» nell’accezione quasi magica che Benjamin assegnava all’aura dell’opera d’arte acquista un valore simbolico molto diverso. Una particolare sessione di chat, uno specifico gruppo di amici che discutono, un determinato momento condizionato da un certo stato d’animo: sono tutte variabili che costituiscono un «qui e ora» della fruizione unico e irripetibile.

La libertà espressiva di cui gode oggi il cittadino del web nel commentare un qualsiasi prodotto culturale nel momento stesso in cui lo fruisce è la piena realizzazione di un processo di laicizzazione della cultura. Così intorno ad un prodotto estetico si condensa una inedita forma di valore aggiunto che finisce con il caricarsi di rilevanti significati economici per il capitale.

Nell’analisi di Benjamin la soggettività dell’artista perde il ruolo centrale nel processo di produzione di manufatti estetici. Parallelamente il tessuto culturale diventa più complesso e cresce l’importanza delle modalità tecniche tramite le quali il produttore entra in collegamento con il suo pubblico. Il sistema mediatico ed i processi di produzione della cultura hanno dunque sempre meno la forma di una fabbrica di epoca industriale con capitalisti, forza lavoro ed un pubblico al quale vendere la merce. La produzione culturale assomiglia molto di più ad un rumoroso mercato con i suoi sottili traffici sottobanco. Per Cacciari lo sguardo di Benjamin sull’evoluzione dell’arte «incorpora la creatività nell’apparato tecnico-produttivo del mondo contemporaneo» e spodesta la fabbrica dal centro dell’industria culturale tant’è che all’«autore come produttore è ormai subentrato da tempo l’artista come mercante».

Nel mercato del gusto estetico «ancor prima che merci, quel che va prodotto è il loro consumo» e per assicurare la sopravvivenza a questo organismo esistono i ritmi scanditi dalla moda, “l’eterno ritorno del nuovo” come scriveva Benjamin. Oggi in effetti viviamo gli anni più infuocati dell’elettronica di consumo.

Il mercante d’arte o meglio il mercante di contenuti mediali (visto che l’arte è morta) dispone ora di nuovi strumenti che sembrano magia e quasi danno l’idea di poter leggere il pensiero del pubblico. Il futuro degli studios passa per le alchimie matematiche del marketing. L’infinito verso cui tendeva l’aura descritta da Benjamin lascia posto alla misurabilità delle tracce digitali. Il posizionamento di un prodotto estetico nell’agorà digitale viene vagliato dall’elaborazione statistica. In effetti oggi esistono molte aziende che si occupano di comunicazione digitale specializzandosi proprio nella vendita e nella messa a punto di servizi di misurazione della disposizione emotiva del pubblico tramite il web.

In alcuni casi le emittenti televisive più attente al mutamento si fanno contaminare dal live tweeting al punto da introdursi nelle conversazioni lasciando interagire i protagonisti stessi (gli attori oppure ghost-writer appositamente assoldati) con il pubblico. I tradizionali modelli di interlocuzione uno a molti sopravvivono dunque ma sono svecchiati dalla vitalità intrinseca dei social network all’interno dei quali il tam tam pubblicitario può diventare un fatto virale non più controllabile dal punto di origine. Insomma accanto agli schemi tradizionali di comunicazione cominciano ad affermarsi con sempre maggiore insistenza modelli molti a molti, in cui il ruolo dei produttori-mercanti dei contenuti appare sfumato.

Cacciari sottolinea l’attualità del testo di Benjamin anche in relazione alla conferma della profezia sulla “morte dell’arte” elaborata da Hegel. La mercificazione del gesto artistico favorita dallo sviluppo delle tecnologie della comunicazione ha stimolato il fiorire di estetiche dell’indifferenza, di sguardi sempre più cinici gettati sul gioco dell’assoluta interscambiabilità fra visioni e merci che si equivalgono nel mercato dell’arte nell’epoca della riproducibilità. La creatività contemporanea, così disincantata e, almeno apparentemente, democratizzata ha forse definitivamente scalzato ogni pretesa soggettività artistica sostituendola con la comicità. Nella profezia di Hegel si esprimeva l’idea di un’arte sempre meno istintiva, più concettuale, critica, ironica. Del resto commentare i media tradizionali, quasi sempre in senso dispregiativo, utilizzando i nuovi media è uno sport ormai affermato.

Probabilmente qualsiasi rilievo sul mood dei cinguettii confermerebbe la morte già decretata da Walter Benjamin di qualsiasi sacralità della produzione artistica. Ne resta solo una vaga eco in quel gioco di ruoli sempre tendente al comico che trapela dai cinguettii della star che non può esimersi dallo scendere al livello dell’uomo-massa e lasciarsi sfottere un pò. L’uomo comune si intrattiene e, nel frattempo, lo star system prende appunti.

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