Hillary Clinton

di Alberto Bellotto

Hillary Clinton potrebbe presto tornare nello studio ovale della Casa Bianca, ma questa volta non lo farebbe come First Lady, ma come primo presidente donna degli Stati Uniti d’America. Questa volta non dovrebbero esserci intoppi. Nessun Barack Obama sulla strada a impedirle di ottenere l’agognata nomination democratica. Il filo spezzato il 7 giugno del 2008 quando fermò la sua corsa potrebbe essere quindi riannodato. Sulla sua strada però c’è un ebreo di Brooklyn, Bernard “Bernie” Sanders che potrebbe renderle la rincorsa più complicata del previsto.

Hillary Diane Rodham Clinton nasce a Chicago nel 1947 in una famiglia fortemente conservatrice tanto che nel 1964 si impegnò come volontaria per la campagna presidenziale del repubblicano Barry Goldwater, poi sconfitto da Lyndon Johnson. Le convinzioni politiche di Hillary cambiano quando inizia a frequentare Wellesley College, lì si avvicina a posizioni più liberal e si iscrive al Partito Democratico. Nel ’68 si laurea in scienze politiche e nel ’73 prende la laurea in legge alla Yale Law School. Nel ’74 entra a far parte dello staff d’inchiesta per lo scandalo del Watergate mentre nel ’75 sposa Bill Clinton. Nel corso della presidenza del marito, Hillary presiede la commissione incaricata di redigere una riforma sanitaria, poi insabbiata dal Congresso. Nel 2000, mentre è ancora First Lady, si candida al Senato e viene eletta con il 55% delle preferenze. Sei anni dopo si ricandida e batte il repubblicano Spencer con il 67% dei voti. Dopo la rinuncia alle presidenziali appoggia Obama contro McCain e dopo l’elezione del senatore dell’Illinois diventa il nuovo segretario di Stato.

Con le presidenziali del 2016 Hillary ci riprova e ripropone un programma liberal ma aderente alla realtà delle cose, come amerebbe dire lei. Nel suo confronto con Sanders ha rimarcato più volte che la sua azione come presidente sarebbe improntata sul pragmatismo. ‹‹ Sono una progressista che ottiene risultati e sarò un presidente progressista che ottiene risultati›› ha dichiarato l’ex-first lady nel corso del dibattito del 5 febbraio scorso. A spulciare però nel programma della Clinton si trovano anche punti che di realista hanno poco, almeno in un paese come gli Usa. Per prima cosa c’è la volontà di lavorare sull’aumento del salario minimo anche se non è chiaro se si tratti di un progetto federale come quello di Sanders, oppure di un sistema che lasci ampio margine decisionale ai singoli Stati.

Quello che è certo è che la proposta della Clinton è quella di investire energie e risorse per gli small business, quelle imprese sotto i 60 dipendenti: ‹‹Le piccole imprese creano oltre il 60 per cento dei nuovi posti di lavoro americani. Per questo devono essere una priorità assoluta››, ha affermato in un comizio alla New School University. Ovviamente da molti è stata additata come il candidato, a sinistra, di Goldman Sachs ma stando a diversi interventi fatti nel corso della campagna l’obiettivo sarebbe quello di imbavagliare la finanza americana dando maggiori poteri agli istituti di vigilanza. In questo passaggio si nota la discontinuità con l’amministrazione Obama, forse troppo tenera nel perseguire gli autori della crisi finanziaria del 2008. Ma tra le proposte dell’ex-segretario di Stato c’è spazio anche per la parità di genere. L’obiettivo di Hillary sarebbe quello di eliminare il soffitto di cristallo che impedisce alle donne di avere gli stessi salari degli uomini. Su questo punto si gioca però la partita più difficile, attirare il voto delle donne. Sembra un paradosso ma Hillary fatica a unificare il voto femminile. Da un lato riesce a raccogliere il sostegno di quelle che sono convinte che solo unendosi si potrà avere il primo presidente donna; dall’altro fatica ad attirare le giovani che preferiscono guardare alle proposte radicali di Sanders. In mezzo c’è anche la questione del Sexgate e del perdono concesso al marito Bill Clinton, che molte donne non hanno dimenticato ma soprattutto non hanno digerito. Se le donne guardano a Sanders, sono gli afroamericani a correre in soccorso della candidata, come dimostrato nelle primarie in South Carolina. Il 61% dei votanti era di colore e di questi l’86% ha votato per la Clinton. C’è però un dato significativo, Hillary fatica ad attirare il voto dei giovani: sempre in South Carolina la fascia di età tra 17 e 24 anni ha voltato in massa per Sanders.

Tra tutti i candidati, democratici e repubblicani, che si sfidano per un posto, la Clinton è forse l’unica ad avere l’esperienza per guidare e amministrare un Paese. Trump sostanzialmente non ha mai fatto politica, Cruz e Rubio sono stati solo senatori così come Carson, l’unico con un po’ di esperienza è John Kasich, governatore dell’Ohio, ma ha scarsissime possibilità di vittoria.

Sulla campagna della Clinton però si allunga l’ombra di due scandali: quello relativo alle mail personali e quello sulla (mala) gestione dell’assalto al consolato americano in cui morì l’ambasciatore Christopher Stevens nel 2012. In entrambi i casi la Clinton si è scusata per quanto accaduto, ma ha di certo messo in luce alcuni limiti.

E’ probabile che alla fine possa anche vincere le presidenziali, sopratutto nel caso in cui Trump ottenga la nomination repubblicana e l’ex-sindaco di New York Bloomberg si candidi come indipendente. Ma prima di arrivare alla nomination dovrà faticare non poco contro Sanders che ha attirato il voto dei giovani e spostato l’asse del partito ancora più a sinistra.

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