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Caffè in vetro

SVIX
Published in
4 min readFeb 16, 2018

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di Vira Rambone

Il Signor Angelo si sveglia ogni giorno alle sei in punto. Da quarant’anni dorme sul lato sinistro del letto, vicino alla porta per entrare in camera, così sua moglie si sente al sicuro. “Se vengono i ladri vedono prima a te”, dice. Il percorso che Angelo fa per arrivare in cucina è stampato nella sua mente come il viso dei suoi figli: conosce ogni mattonella che calpesta, il numero dei passi necessari, il rumore delle porte che apre, il click dell’interruttore per accendere le luci al suo passaggio, quante gocce d’acqua cadono da quella maledetta perdita del rubinetto che rimprovera a se stesso di non aver ancora riparato. Conosce perfettamente il momento esatto in cui il suo respiro si fa meno denso, sollevato dal peso di non poter svegliare più nessuno.

“Se vengono i ladri vedono prima a te”, dice.

Inizia così la giornata del Signor Angelo: dimostrando il bene che vuole alla città di Napoli e, prima fra tutti i napoletani, a sua moglie. Si, perché è a lei che prepara il primo caffè. L’unico della giornata in cui i suoi movimenti non sono meccanici, non sono veloci, e in cui il suo cuore non batte per la fretta, ma per l’orgoglio di sapere esattamente qual è la quantità giusta d’acqua che permette a quel primo caffè del giorno di essere così speciale. A lei piace amaro. E allora le cose si complicano. Perché questo significa che niente potrà migliorare quella miscela, una volta salita nella moka. Bisogna spegnere in tempo la fiamma dopo averla tenuta viva al punto giusto, contare i chicchi di quella polvere scura uno ad uno affinché si mescolino perfettamente all’acqua che non deve essere né troppa, né troppo poca.

“…contare i chicchi di quella polvere scura uno ad uno…”

Il rumore: quello sfrigolio suadente e allo stesso tempo rude del caffè che sale, suggerisce al Signor Angelo quando è il momento di tirar via la macchinetta dal fuoco. È una questione di tempistica, la vita. E fare il caffè ti insegna esattamente qual è il momento giusto. Un attimo prima o uno dopo e rischi di rovinare la giornata alla persona che ami da quarant’anni. Perché il caffè è una cosa seria, a Napoli. Conta come lo si fa, come lo si serve, come lo si beve e, soprattutto, chi lo fa. È per questo che siamo diffidenti quando entriamo in un nuovo bar; è faticoso spiegare come lo vogliamo questo caffè, farci capire, comunicare bene le nostre volontà. Ci piace parlare con il mezzobusto dietro al banco se siamo soli a solcare la porta. Vogliamo parlare con il nostro interlocutore se siamo in compagnia.

Ci rende sinceri, il caffè. Dice agli altri chi siamo, come affrontiamo la giornata, qual è il nostro approccio alle cose. Perché è come mantieni la tazzina a dire chi sei. È come bevi la miscela a parlare di te, prima di te. No, non deve essere semplice fare un perfetto caffè amaro, anche se si parla di chi ne mette in tazza oltre duemila al giorno. Perché è esattamente questo che fa il Signor Angelo: ogni giorno prepara uno dei migliori caffè di Napoli. Angelo non ricorda la prima miscela che ha preparato allo Chalet Ciro, dove lavora da sempre: un fabbricato fatto di semplici vetrate su un marciapiede tra due strade, nel clou del traffico della città. C’è solo un piccolo dettaglio che rende lo Chalet speciale: è sul porto, con la città che rotola alle sue spalle e il mare che vi si distende davanti, come un gatto al sole che si è appena svegliato. Le barche pigre a cullare i primi pensieri del mattino, la quiete prima del sacrosanto rito.

È come bevi la miscela a parlare di te, prima di te.

Al contrario di quella volta in cui ha preparato il suo primo caffè, Angelo ricorda chiaramente i pensieri fatti quel giorno ormai lontano. Un giorno perpetuo. Ma che importa a cosa pensa? Lui li spegne quei pensieri quando indossa la divisa bianca e gialla sbiadita dal tempo e dai vapori, quando le sue mani diventano tentacoli per afferrare e spingere e tirare e servire ed eseguire gli ordini di chi chiama le comande. Ed è così che si prepara un buon caffè, pensando solo a farlo. Ci vuole la persona giusta, un Angelo per ogni napoletano. E l’espressione è sempre la stessa: seria. Non c’è rabbia, né gioia, solo concertazione per quei gesti così introiettati, ripetuti centinaia e centinaia di volte in un solo turno. Un turno che dura da una vita. Una vita che torna indietro ogni sera quando, con gli stessi passi di sempre, il Signor Angelo si dirige verso casa e poi in camera da letto da sua moglie, passando per la stessa cucina che sa di lei, dei suoi movimenti, dei suoi pensieri.

Con gli stessi passi e gli stessi movimenti, Angelo si sdraia sulla parte sinistra del letto, la sua, quella che fa dormire serena sua moglie. Così, a chiusura di un’altra giornata, porta le mani al naso e annusa forte l’odore che la polvere bruna ha lasciato sulle sue dita. Come se quel profumo fosse nuovo, inaspettato, scoperto per la prima volta. L’odore di Napoli. Non ha avuto tempo di pensare a quell’odore che lo ha circondato tutto il giorno, tutta la vita, il Signor Angelo. Ora però lo sente e per un attimo ricorda un frammento di quel primo giorno che ha iniziato il suo servizio allo Chalet Ciro, e alla città di Napoli. Quella prima volta che ha fatto il caffè. Pensa. L’unica cosa che gli viene in mente è che, dopotutto, non vede l’ora di riaprire gli occhi, domani, e iniziare la giornata come sempre: trasformandosi nel mezzobusto che sorride al di là del bancone. Volendo bene a sua moglie, volendo bene a Napoli con il suo, il nostro, caffè.

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