Analisi del sangue e rischio cardiovascolare: markers particolari.

Nicola Pratesi
takevitamina

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Le malattie cardiovascolari (MCV) sono tra le principali cause di morbosità, invalidità e mortalità nei paesi industrializzati.

I principali fattori di rischio cardiovascolare sono classicamente suddivisi in non modificabili (età, sesso maschile, familiarità, genetica) e modificabili (ipercolesterolemia, bassi livelli di HDL-colesterolo, diabete mellito, ipertensione arteriosa) e stili di vita(tabagismo, obesità, sedentarietà).

Il rischio di evento cardiovascolare aumenta notevolmente quando più fattori di rischio sono presenti contemporaneamente ed è influenzato dal loro livello; se, invece, la malattia cardiovascolare è già presente, la correzione dei fattori di rischio ha un notevole effetto preventivo nella manifestazione di nuovi eventi patologici.

Studi recenti hanno messo in evidenza nuovi fattori di rischio che possono essere predittivi di disordini cardiovascolari. Tra quelli di recente identificazione abbiamo la lipoproteina (a) — Lp (a)responsabile del trasporto del colesterolo nel sangue. Elevati livelli di Lp (a) sono, infatti, associati ad un aumentato rischio per malattia aterosclerotica coronarica diffusa (CAD) ed ictus ischemico. Le linee guida europee 2016 sulla prevenzione delle MCV nella pratica clinica, suggeriscono come tale parametro può essere preso in considerazione nei pazienti a rischio intermedio nell’ottica di migliorare la stima del rischio o nei soggetti con anamnesi familiare positiva per MCV precoce.

Per molti decenni, l’acido urico è stato considerato un potente agente anti-ossidante in grado di svolgere azioni potenzialmente protettive sull’apparato cardiovascolare. Tuttavia, numerosi studi in letteratura suggeriscono che livelli moderatamente elevati di acido urico possono rappresentare un fattore di rischio cardiovascolare a causa della capacità di tale sostanza, quando supera determinate concentrazioni nel plasma, di determinare un’aumentata produzione di radicali liberi dell’ossigeno provocando, quindi, un aumento dello stress ossidativo e una serie di altre alterazioni che risultano potenzialmente dannose per la parete vascolare ed altri tessuti. Molteplici studi epidemiologici hanno dimostrato la presenza di una significativa associazione fra iperuricemia ed un’ampia varietà di patologie cardio-metaboliche, come l’ipertensione arteriosa, l’obesità, la dislipidemia, la sindrome metabolica, il diabete tipo 2, la cardiopatia ischemica, la pre-eclampsia e malattia renale cronica. Tuttavia, ad oggi, il possibile ruolo dell’iperuricemia nella patogenesi delle MCV rimane ancora oggetto di studio. In conclusione, possiamo dire che recenti dati sperimentali suggeriscono, che l’iperuricemia induce azioni di tipo ossidativo e pro-infiammatorio ma è anche vero che elevati livelli di acido urico possono danneggiare l’apparato cardiovascolare mediante molteplici altri meccanismi non ancora ben conosciuti.

Infine, una serie di evidenze epidemiologiche ha mostrato come l’iperomocisteinemia moderata possa essere associata ad un rischio elevato di cardiopatia ischemica e vasculopatia cerebrale e periferica. Il meccanismo per il quale l’omocisteina sia associata ad un aumentato rischio cardiovascolare non è ancora ben noto, ma sembra essere riconducibile ad alterazioni della coagulazione e a danno endoteliale. L’omocisteina è un aminoacido presente in quantità molto piccole nell’organismo. Essa deriva dal metabolismo della metionina, un aminoacido essenziale che deve essere introdotto con l’alimentazione (soprattutto carne, uova, latte, legumi). L’omocisteina è trasformata in altri prodotti grazie all’azione delle vitamine B6 e B12 e dei folati (acido folico). Un deficit di queste vitamine può essere evidenziato da un incremento dell’omocisteina plasmatica che si accumula nel sangue provocando possibili danni al sistema nervoso, cardiovascolare e osseo.

Cosí come è stato visto che bassi livelli di vitamina D sono associati a insufficienza cardiaca, pressione elevata e ictus.

La strategia migliore è quella di adottare uno stile di vita sano fatto di un’adeguata alimentazione, attività sportiva, ed eliminazione di tutti quei fattori di rischio modificabili.

Laddove ciò non fosse possibile o non bastasse per regolarizzare i livelli di tali vitamine, ecco che l’assunzione di integratori, in particolare, acido folico e vitamine del gruppo B possono rappresentare un valido supporto i cui benefici e la diminuzione del rischio cardiovascolare sono stati ampiamenti discussi e riportati in molteplici studi scientifici.

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Nicola Pratesi
takevitamina

Si laurea in Biotecnologie mediche e consegue il PhD in Biotecnologie endocrinologiche, molecolari e rigenerative presso l’Università degli Studi di Firenze.