Qual è il DNA della tua azienda?

Irene Cassarino
Talk On Progress
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4 min readNov 9, 2016

Per me la Lean Startup Conference è come le Olimpiadi di Rio: un evento imperdibile, che accade dall’altra parte del mondo, e che faccio di tutto per seguire in remoto, nonostante il fuso orario. Non farti ingannare dalla parola ‘Startup’: protagoniste, quest’anno, sono state a tutti gli effetti le Corporate, anzi, le Big Corporations, che vogliono distillare il DNA delle startup e assumerlo come un elisir di lunga vita.

Nell’intervento di apertura del secondo giorno, Eric Ries, fondatore della conferenza e autore del best seller ‘Lean Startup’, ha detto:

“La domanda più importante in questo momento per ogni business è: come posso iniettare il DNA di una startup all’interno della mia azienda? Cosa significa? Una volta acquisito, come posso evitare di perderlo?”

“La velocità con cui il contesto socio tecnologico (quello che noi chiamiamo ‘Mondo’) sta cambiando”, dichiara Viv Goldstein — Director of Innovation Acceleration in General Electric, “è — in questo momento — la più bassa di quella che sperimenterete nel resto della vostra vita”. “Pensateci due volte” — aggiunge — “Se non impariamo a distruggere e ripensare il modo in cui facciamo business oggi, finiremo per essere spazzati via domani”. In un intervento denso ed appassionato, Viv Goldstein ha condiviso con il pubblico della LSC come in 4 anni il progetto GE Fastworks abbia radicalmente trasformato General Electric nella più grande Startup al mondo: cioè in un gigantesco motore di innovazione continua, in cui ogni giorno tutte le oltre 250.000 persone che ci lavorano sono in grado di ripensare sè stessi e i propri prodotti, attorno alla sola e comune ossessione di comprendere in profondità e soddisfare con pienezza i bisogni dei loro clienti.

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“Può sembrare scontato”, dice Guy Kawasaki — investitore, guru, imprenditore, che racconta della sua esperienza al fianco di Steve Jobs in Apple — “eppure una delle dure leggi dell’innovazione, è che accade sempre nella prossima curva tecnologica. La stragrande maggioranza delle aziende invece si ostinano a definire sè stesse nei termini di quello che fanno, e non nei termini del beneficio, del valore, che creano per il mercato. In questo modo non acquisiscono mai la capacità di saltare nella prossima curva, e muoiono in quella in cui si trovano.”

L’equazione in cui ogni azienda dovrebbe prosperare è “Business value = Customer value”, dicono all’unisono Jeff Gothlef, autore di Lean UX, e Phil Gilbert, direttore del design a IBM.

Cioè: Il valore dell’azienda (“business value”) non corrisponde al valore della produzione, ma a quello che crea per il mercato (“customer value”). Questa equazione è paradossalmente difficile da comprendere, e ancora più difficile è onorarne le conseguenze, che dovrebbero per esempio portarci a dare un maggior valore alla nostra capacità di apprendere, cioè acquisire conoscenza sul modo sempre nuovo di soddisfare il nostro mercato, rispetto alla nostra capacità di far arrivare a tutti i costi un prodotto / servizio, dice sempre Jeff Gothlef: “Value learning over delivery!”

L’esperienza di The Doers, nel cercare di aumentare la capacità delle aziende di trasformare sè stesse, per rimanere leader di mercato, dimostra quanto sia difficile per le persone che le governano “fare le domande giuste, senza conoscere le risposte giuste” (Viv Goldstein, GE), e allenare il muscolo dell’apprendimento umile dal mercato, con la stessa dedizione e concentrazione di quello della produzione. Occorre sviluppare virtù letteralmente ambidestre.

Sembrano principi astratti, finchè non decidi di metterli in pratica, e non ti confronti con la difficoltà a rispondere alla semplice domanda, sopra ogni cosa: che valore crea la mia azienda? In quanti modi diversi da quello che sta facendo adesso, lo potrebbe creare? Che cosa significa creare lo stesso tipo di valore, per altri mercati? (La tendenza invece è di “infilare a forza” quello che si sta già facendo in altri ipotetici mercati).

La risposta potrebbe essere già nelle mani di qualcun’altro. L’analisi approfondita del valore, e del bisogno realmente soddisfatto, fa emergere problemi inaspettati, sempre nuovi (cambiano le condizioni socio-economiche in cui il mercato fa esperienza del bisogno), e inaspettatamente difficili da risolvere. É questo il momento di saltare sulla prossima curva, in cui emergono possibilità disruptive, che solo un’azienda con un assetto — un DNA — da startup riesce a cogliere.

Una Grande Startup è un’organizzazione, dice Ries, in cui anche la figura dell’imprenditore è formalizzata come una funzione aziendale. Le corporate dovrebbero preoccuparsi di avvicinare imprenditori per includere sistematicamente la loro esperienza e la loro disciplina sperimentale nel tessuto vivente dei processi quotidiani, in modo che coinvolgano tutti — dirigenti, collaboratori, reti di vendita, partners — nella missione di trasformare l’azienda su base continua. By design, ci dice, e non by exception. Come stanno facendo IBM, General Electric, Microsoft, Cisco, Telefonica per citarne solo alcune che hanno condiviso la loro esperienza concreta alla Lean Startup Conference 2016.

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Irene Cassarino
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