Dall’altra parte

Andrea Massardo
Tangramag
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4 min readNov 19, 2018

Me lo aspettavo diverso, il mare intendo, più blu, più sereno, più buono; come nella foto che avevamo in cucina sopra il tavolo, l’aveva scattata papà prima di partire, con la promessa che ci saremmo visti dall’altra parte di quella distesa celeste, in un paese nuovo per ricominciare una nuova vita, senza più paura di uscire di casa, senza più esplosioni ne corpi caduti per le strade. Sono passati cinque mesi da quella promessa e io in quella casa non ci entro da un po’, è saltata in aria o meglio l’hanno fatta saltare. Senza nessun avvertimento, senza motivo; come se stessero giocando a battaglia navale e avessero indovinato le nostre coordinate. Bumh… e più nulla: i risparmi di una vita, quelle pareti che mi avevano visto crescere e tutti i nostri averi ridotti in polvere da spazzare via. Mamma era inginocchiata fuori, era riuscita ad uscire prima che la granata esplodesse, piangeva, silenziosa, senza parole; come se poi esistessero delle parole giuste, sensate da dire in questi momenti. Si può solo aspettare, pregare e cercare di scappare. Oggi parto o, meglio, scappo, dopo mesi passati a vivere in uno scantinato puzzolente e buio, vado via. Da solo.

Mamma non verrà, non ce lo possiamo permettere. Il biglietto è caro, troppo per tutti e due. Per pagare il mio, si è venduta ad un uomo, non lo conoscevo. So solo che aveva l’alito pesante, mani grandi, ruvide, denti gialli e occhi affamati. Sento ancora nelle orecchie il pianto della donna che mi aveva dato alla luce e che ha rinunciato alla sua vita per poter pagare la speranza di darmi una vita migliore, diversa, in cui possa realmente avere il diritto di essere vivo. Non l’ho più vista, ma da allora la sogno sempre, poi mi sveglio con le guance bagnate e la voce urlante che mi fa bruciare la gola. Chissà cosa dirà papà quando mi vedrà senza di lei, ma forse non lo vedrò nemmeno io, non so se sia arrivato e dove sia andato, non so più nulla da quando si è imbarcato, forse non mi riconoscerebbe nemmeno più.

Sto salendo su quella che hanno chiamato “l’imbarcazione della speranza”. E’ piccola, troppo per tenerci tutti e sulla superficie ci sono delle toppe, non è il primo viaggio verso il paese nuovo che fa questo gommone. Salgo con titubanza, ma in fondo è l’unico modo che ho per andarmene e provare a ricominciare. Mi chiedo come farò. Come si fa a ricominciare quando sono anni che vedi corpi dilaniati, arti spezzati, famiglie divise, case distrutte come paglia al vento. La chiamano guerra. Dicono che sia per una causa giusta e che sia giusto combattere. All’inizio lo pensavo anch’io… Ma cosa può valere così tanta morte e dolore? Un dolore che mi pesa ed è insopportabile. Sono un traditore, sto scappando dalla mia terra, dal mio villaggio, dalle mie persone care; solo perché mi fido dei racconti di questo Paese nuovo che c’è dall’altra parte. Con la speranza che sia davvero bello come dicono. Si è fatto buio e intorno a noi solo acqua e oscurità, sono seduto sul bordo di plastica di questo canotto, vicino a me c’è una donna che stringe a sé un neonato urlante, un urlo disperato, colmo di paura. La stessa paura che mi sta chiudendo lo stomaco, mentre la mia testa vola altrove. Penso a quella festa che avrei dovuto fare fra poco, l’aspettavo tanto, mamma mi aveva detto che per i miei dieci anni mi avrebbe preparato la torta Basbousa, è la mia preferita. Invece no, sono su un gommone che spero arrivi a destinazione, presto.

Si, avrei voluto che fosse stato più blu, più sereno, più calmo il mare. Ma non lo è. E’ freddo, arrabbiato e mi sta portando giù. Le mie braccia stanno cedendo, non riescono a portarmi su, la corrente è troppo forte e i miei polmoni troppo piccoli, mi credevo bravo a nuotare, ma forse non abbastanza. Sto cedendo, lo sento. Non so più da che parte cercare di andare, qual è il sopra? I miei polmoni cedono, il sale mi brucia la gola e infiamma le corde vocali. E’ troppo forte e io? Io cosa posso fare per fermarlo. Sono stanco e lui troppo cattivo. Mi sento come un palloncino che viene sgonfiato e trasportato via… Sono circondato da blu e poi basta. Buio. I pensieri si spengono, schiacciati da questo immenso blu, e con loro anche la pesantezza scompare. Si, sono un palloncino. Un palloncino sgonfiato e schiacciato.

Alice Garelli

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Andrea Massardo
Tangramag

Il destino ha due modi per distruggerci: negare i nostri desideri oppure realizzarli.