EL HOMBRE QUE MATO’ A DON QUIJOTE

Tangram
Tangramag
Published in
4 min readOct 7, 2018

Il 27 settembre è uscito nelle sale cinematografiche l’ultima opera di Terry Gilliam The Man Who Killed Don Quixote.

Film molto ben riuscito, in pieno stile gilliano, onirico e fantasioso.

Come ben avrete intuito questa pellicola trae ispirazione dal primo romanzo mai scritto su questa Terra: Il Don Chisciotte.

Venne pubblicato nel 1605 per opera di Miguel de Cervantes Saavedra.

È considerata una pietra miliare della letteratura mondiale sia in qualità di primo romanzo della Storia, sia per le tematiche affrontate.

È appunto sui risvolti culturali del romanzo che voglio porre l’attenzione.

Il protagonista è un hidalgo spagnolo di nome Alonso Quijano che un giorno si imbatte in un manoscritto che narra le vicende di Don Chisciotte e dal quale rimane così attratto, rapito e coinvolto che finisce per assumerne l’identità, autoproclamandosi: “colui per il quale sono espressamente riservati i pericoli. Io sono Don Chisciotte della Mancia!”

Intraprenderà un viaggio errabondo, da ramingo e si farà accompagnare da Sancho Panza, un contadino del posto, a cui affiderà il ruolo di fidato scudiero.

Il suo vagabondare alla continua ricerca di avventure rivela una voglia di evasione che rappresenta lo spirito dell’intero romanzo. Un’evasione dalla realtà così attuale e moderna, nella sua disperazione e follia, che possiamo ritrovarla nei gesti quotidiani dell’uomo del XXI secolo.

Disperazione e follia sono dipendenti e legati l’uno all’altro: la disperazione del quotidiano di Alonso lo porta a crearsi una realtà al confine tra sogno e follia che gli permetterà di essere finalmente ciò che lui vuole: un cavaliere, un eroe, un nobile amante di dame, un avventuriero. Poco importa se i suoi nemici giganti sono in realtà mulini a vento, se la sua amata Dulcinea è la contadina vicina di casa e se il suo fedele alleato è un analfabeta che viene fagocitato dagli stessi sogni di gloria del suo hidalgo.

Non stupisce come Terry Gilliam abbia saputo arrangiare in chiave contemporanea l’intera storia, senza distorcerne gli elementi, i personaggi e soprattutto i temi. Infatti il nostro Chisciotte mostra ai lettori il problema fondamentale dell’esistenza umana: la delusione cocente che può provare l’uomo di fronte alla realtà. Una realtà dura, piena di preoccupazioni, sconfitte e delusioni. Una realtà scandita da regole scritte e non scritte, da norme sociali, da non detti. Una realtà dove ti senti osservato, dove sembra arrivare prima quello che ci si aspetta da te e solo dopo la tua felicità. Una realtà in cui dobbiamo dare spiegazioni: chi siamo, cosa facciamo, cosa pensiamo e cosa vogliamo. Una realtà in cui anche se non sono gli altri a chiedere, a volere e a limitare sei tu stesso che lo fai per loro, in un continuum fatto di aspettative e incertezze. Una realtà che rispecchia una crisi personale e anche collettiva, nella quale affondiamo ogni giorno: crisi finanziaria, disastri ambientali, incertezza politica.

A tutto questo Cervantes, Chisciotte e Gilliam rispondono con la follia.

Gilliam , Erasmo da Rotterdam del XXI secolo, sposa la visione delirante di Cervantes e criticando acutamente il cinico mondo del cinema delle grandi distribuzioni crea un mondo alternativo.

Sembra chiedersi che fine abbiano fatto le utopie giovanili, di gloria e amore. Si scopre mano a mano nella trama che il fine ultimo del Chisciotte altro non è che la felicità: “voglio restare qui, mi piace, sembrano tutti felici”. E anche se sembra triste e da perdenti rifugiarsi in un mondo parallelo pur di sfuggire alla realtà, altro non è che un meccanismo di difesa che abbiamo noi tutti. Tutti vogliamo essere felici e creiamo una realtà che possa avvicinarsi il più possibile a questo scopo. Ma più che uno sfuggire alla realtà penso sia questione di voler svelare un’ulteriore realtà, riuscire a non fermarsi a ciò che appare.

Lo scopo di Cervantes è sottolineare l’inadeguatezza della nobiltà dell’epoca a fronteggiare i nuovi tempi che correvano in Spagna. Chisciotte in primis è promotore di una visione tollerante del mondo: è rispettoso dei culti altrui, anche se pagani e guarda alla donna con spirito cavalleresco, rispettandola e amandola. Ai giorno nostri questi temi non possono che essere attuali e d’impatto.

Il romanzo, inoltre, mette in luce l’esigenza di far emergere la propria individualità, fuori da rigidi rapporti sociali cristallizzati, facendo emergere l’istinto, la follia, il sogno, l’ignoto.

La follia di Don Chisciotte è lo strumento per rifiutare la volgarità e la bassezza del reale.

Una realtà che alla fine il protagonista stesso riconosce e alla quale, sul letto di morte, decide di non sfuggire più.

Io sono nato per vivere morendo

Bianca Garelli

--

--