Il giogo dell’Europa: la realtà dietro i coronabond

Nicolò Rovere
Tangramag
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5 min readApr 13, 2020

In molti, in questo periodo, hanno guardato all’Europa con sospetto, ritrovando, in virtù delle sue azioni politiche relative alla complessa situazione frutto del coronavirus, la risposta tanto ricercata.

L’identità della Nazione Europea ha avuto la possibilità, in queste settimane, di mostrare le proprie virtù, le proprie mancanze. Questo periodo ha permesso a tutti di disporre delle proprie ambizioni politiche, di essere liberi da costituzioni generaliste non troppo apprezzate ed infine ogni Stato ha avuto la possibilità, fra i potenti dell’Europa, di scegliere fra due possibilità.

La prima possibilità risiede, tutt’ora, nel cercare una via di intesa fra tutti gli Stati europei, una via che permetta alle nazioni più colpite dalla calamità di risorgere e di poter contare su solide basi economiche nonché su un sostanziale contributo dell’alta finanza. Questo percorso non è tuttavia semplice, dal momento che i cosiddetti Corona Bond comuni non appaiono essere la via preferibile per le nazioni che hanno patito meno effetti da questa tragedia economica ed umanitaria.

La seconda via non conta invece l’apporto evergetico che dovrebbe essere alla base della comunità Europea. I paesi meno colpiti, non è un segreto il fatto che fra questi vi siano diverse nazioni del nord come l’Olanda,che è stata al centro di numerosi dibattiti relativi ai Bond comuni, stanno combattendo per evitare l’accettazione dei fondi per i paesi che hanno sofferto a causa di questo virus. Durante gli ultimi tempi anche la portentosa guida della comunità economica europea, la Germania, ha fatto il suo ingresso in questo gruppo, nonostante quanto detto in prima battuta dalla cancelliera.

Nell’interesse di questi paesi è chiaro che sono molti coloro che, tenendo conto delle entità economiche, bancarie e popolari pro-nazionali, non nutrono interessi economici concreti nel ampliare il debito economico comunitario tramite la determinazione di un Fondo Europeo, per salvare coloro che da soli non sono in grado di sopperire alle loro mancanze.

Per alcuni di questi paesi, da un punto di vista finanziario, sarebbe un’opzione preferibile il famoso Mes, il fondo salva Stati. Un’opzione appartenente ad un emisfero totalmente altro rispetto a quello dell’emergenza umanitaria. Si tratta di un operazione economica stipulata nell’ ormai lontano 2010. Il fondo in questione si occupa di stabilizzare l’economia bancaria fra i paesi europei tramite una capacità di prestito massima dei 500 miliardi.

È evidente che un’operazione economica ad alto potenziale non sia adatta ad un periodo di crisi sociale e e di stasi dei fatturati come quella che stiamo attraversando ora. È anche vero che per tutti quei paesi, dove le vittime sono state poche e il sistema economico non è stato toccato o quantomeno l’impatto è stato limitato, il meccanismo europeo di stabilità, o mes, appare essere un’opportunità di maggior respiro, dal momento che metterebbe in sicurezza la situazione finanziaria di diversi paesi dell’Unione Europea e delle loro realtà bancarie.

Al di là della portata economica di questo meccanismo, quello su cui è importante soffermarsi appare essere la comprensione delle ragioni sottili che portano Paesi fondatori dell’Unione Europea, Nazioni rappresentanti come l’Olanda, la Germania ed altri paesi del nord ad abbandonare gli alleati ora che il bisogno grida dal profondo. Alcuni di loro hanno avuto, probabilmente con risvolti deprecabili, un linguaggio ambiguo rispetto all’istituzione dei coronabond, mutando la loro posizione in base alle fortunose correnti che dominano in Europa

La ragione è, a mio parere, facile da scoprirsi e altrettanto banale nell’identificazione. Per tutti quei Paesi dove gli effetti lancinanti del coronavirus non sono stati percepiti né dal punto di vista delle vittime, della sofferenza umana né da quello economico o della deflagrazione ospedaliera, la quale ha colpito l’Italia in modo particolare, l’interesse principale è la salvaguardia, soprattutto in questo momento, delle alte regole dell’economia europea.

A mio avviso la questione è culturale, il nodo principale, se vogliamo la causa madre di questa sconfitta umana dell’Europa, di questo tradimento sociale da parte di alcuni paesi nei confronti dei colleghi più deboli, si deve alla mancata identità di un effettivo ed efficiente Parlamento Europeo. Siamo rimasti soli come sono rimasti soli altri paesi in difficoltà? No, o almeno non a partire da questo momento, poiché la realtà effettiva dell’Unione Europea oggi non ha mutato la sua struttura cardinale. Al contrario, il coronavirus ha avuto senz’altro il merito di svelare gli obiettivi e l’attitudine politica dell’Europa, dei suoi politici e dei suoi Stati. Il perseguire gli accordi economici vantaggiosi, l’imperante finanza, la burocrazia acefala in seno a Bruxelles e la mancanza di una micro politica radicata e tesa alle peculiarità dei singoli paesi, ha portato a tutto questo. Non si parli di mancata sensibilità dell’Europa nei confronti dei paesi più deboli. Non c’è stato un voltafaccia o un tradimento, ma semplicemente la presa di coscienza di un sistema già affermato.

Il problema è culturale: anni di dominio della logica di mercato comune hanno portato ad un rafforzamento di forze politiche anti-unitarie, tese ora ad un ripudio del sistema stesso che le aveva costruite.

E che cosa ha fatto l’Italia mentre l’Europa si spezzava in potentati tesi ai loro singoli interessi, mentre lo Stato centrale badava ai grandi mercati e al rafforzamento dell’Unità burocratica ed astratta che è Bruxelles? Semplicemente, l’Italia è rimasta passiva, è stata a guardare dall’esterno, seduta ai lati della strada, senza conferire parola e non in grado né di fare i propri interessi nazionali, i propri obiettivi economici spiccioli, di salvaguardare le proprie infrastrutture, esattamente come stanno facendo gli altri paesi europei ora. A ben vedere, neanche è stata in grado di prendere posto a sedere con i grandi europei, avere voce in capitolo nel grande banchetto e prendere parte al sistema che adesso non è in grado di aiutarci.

Insomma, cerchiamo di non accusare l’Europa perché gli Stati più intelligenti hanno già capito da tempo che l’unico senso di questa Europa è nello sfruttare il mercato economico globalizzato che ella mette a loro disposizione ma sanno che ella non è in grado di supportare le difficoltà dei paesi quando queste giungono per davvero mentre il grande sistema bada ai conti delle sue grandi banche.

L’Italia non fa i suoi interessi ma neanche riesce a stare al passo con le esigenze europee. La corruttela italiana, la mancanza di piglio decisionale, una certa miopia politica ma, oserei dire, soprattutto il servilismo e la divisione disfattista e faziosa insita nella politica italiana e nella nostra deficiente cultura ci hanno reso inermi, senza armi tanto per far fronte a questa emergenza umanitaria quanto nel riuscire a garantirci l’appoggio dei potenti, il cui agire politico avrebbe dovuto essere la salvaguardia e il supporto salvifico nei confronti di ogni paese.

E invece, proprio i più deboli vengono lasciati indietro. Ma quei deboli sono stati vili nel voltar la schiena al proprio Popolo, nel non garantirgli alcun supporto teso ad un potenziamento nazionale della propria economia, al fine di seguire le orme di coloro che ora ci chiudono portoni e finanziamenti.

Ricordiamo le nostre vittime, perché gli europeisti e i loro alleati li hanno già dimenticati, senza neanche pagarne la sepoltura.

Nicolò Rovere

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Nicolò Rovere
Tangramag

Dottore in Storia, specializzando in Storia del Medioevo e Storia delle Crociate. Obiettivi nella scrittura: sinergia e approfondimenti fra storia e politica.