Golgota

Tangram
Tangramag
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2 min readOct 7, 2018

Mi contorco nel pensiero che ancora

resiste e non muore: che fosse fango,

che fosse una vita a raccogliere

avanzi — o solo una vita votata

[ al silenzio.

Domando a te, Pòzdnysev, se non fosse

forse il caso di lasciare passare

quell’acqua sporca sotto i ponti in ferro,

sotto Mirabeau, sotto la squallida

[ miseria.

Suonava intanto la nona campana.

Che stupida voce avevo, e puerile,

come le note di rabbia nei versi

francesi. Mi cullavo nel profumo

[ del mirto.

Nei giorni migliori parevo stanco,

assuefatto alle gambe e ai seni caldi

di venere — che se Venere avesse

saputo, che fulmini e quali violenze!

[ Respiro.

Che facile il gesto pittorico

nei giorni di luna e di vento caldo.

Anche allora, pretendevi la scienza

che non ti appartiene, ed io che morivo

[ tra il pubblico.

Di tutti i presenti al calvario, solo

un pagano che osava soffrirne,

di voi mi ricordo i silenzi e le

piccole, piccole voci di vago

[ lamento.

Tra le spine io — idiota e balordo -

scusavo gli abusi e gli sputi, marci

bastardi che avete lasciato la luce

morire! Se solo capiste

[ le pene

del buio e del vino, azzardarne il pianto

sarebbe più d’uso e — freddi — tra i muri

del nulla sareste bloccati, con

questa mano eterna che vi scolorisce

[ le arterie.

Così — pensando e raccogliendo cocci -

che farmene del vecchio dolore? Che

farmene dei molti, lunghi rancori?

Costruirne orologi che sprecano

[ il tempo?

Con quale vantaggio? La vecchia, dolce,

materna morte — del poeta amica

d’immemorabile data — che, all’ora

stabilita, non si è presentata?

[ Silenzio.

Per quanti innumerevoli scopi

abbiamo cantato, noi lo sappiamo

e siamo attenti, gelosi, pensosi.

Schivo è ormai lo sguardo, la testa

[chinata.

Calmato è il canto e il tediato lettore,

smarrito, ci accarezza con percosse

fresche di fango. Pare che dormano

i figli impauriti di vecchie troie

[ annoiate.

S’io fossi la mezza parte d’un fiore

appassito, mi appagherebbe la

morte. Ma vivo, canute le mani

sottili, e fredde le labbra senza più

[ sorrisi.

Le urla in viso di un Cristo tradito,

che, persa la meta, si fa metà di

sé. E perde le foglie e ne muore.

Se in croce lo vedeste sorridere,

[ fingeva.

Il decimo tocco mi stringe il sangue,

ne fa brodo per i miserabili

che si truccano d’oro, che vagano

cercandomi in vecchi, sporchi saloni.

[ Mi trovano.

Paolo Rolfi

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