Paninaro 2.0, La recensione: il ritorno del Pagante

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3 min readSep 30, 2018

Se il vostro momento di presa bene personale viene accompagnato da quella leggera sensazione di essere costantemente presi per il culo, forse state ascoltando una canzone de Il Pagante. Il trio milanese più becero (e non) degli ultimi anni torna sulla scena musicale con il secondo album di inediti, Paninaro 2.0.

Già dal titolo si capisce che il target preso di mira siamo sempre noi, giovani dalle mille sfaccettature, pronti a venderci l’anima in cambio di visibilità e di un selfie con il giusto filtro, insieme a una bottiglia di Moet in mano.

Può sembrare curioso che un fenomeno socio-musicale come Il Pagante, nato quasi per scherzo come pagina Facebook nel 2010, possa aver suscitato così tanto clamore nel corso degli anni, ottenendo successi importanti in termini di pour parler generale. Curioso fino a un certo punto. In fin dei conti, dipende sempre da come viene gestito un determinato prodotto discografico, a prescindere dal contenuto artistico; i tre ragazzi milanesi finora ci sono riusciti egregiamente, mascherando (neanche troppo) messaggi e argomenti espliciti con un velo di Maya fatto di basi elettroniche dance e future house dal beat bombardante impacchettate a regola d’arte, pronte per la movida più trash della penisola. L’aspetto tragicomico della faccenda si può riassumere nelle critiche (seguite quasi sempre da insulti) dei cosiddetti puristi del settore. Orde di sedicenti intellettuali lobotomizzati dal loro stesso super io nietzschano che si ergono a garanti di una giustizia artistica considerata imprescindibile. Questi “prêt à penser” purtroppo non si sono mai davvero resi conto dell’obiettivo iniziale del trio di Milano, ovvero un violento sarcasmo nei confronti degli usi e costumi dei millenials, dai social network alle serate in discoteca, dai vlog in vacanza all’universitario fuori corso.

Come d’altra parte non ne sono resi conto i discotecari convinti che urlano i loro testi ogni sabato sera. Con il nuovo album, il trio formato da Eddy Veerus, Roberta Branchini e Federica Napoli rincara la dose di ironia raccontando una generazione che probabilmente ancora non ha capito quale direzione prendere.

Spiccano nella tracklist pezzi quali “Settimana Bianca” e “Radical Chic” ; ci raccontano i milanesi che stanno alle piste da sci come i merenderos stanno alla montagna in estate, o la ragazza di buona famiglia che per rinnegare le proprie “nobili” origini si mimetizza andando ai concerti indie vestendo cheap: “Sei piena di soldi ma ti vesti male /sempre con quell’aria da intellettuale”.

Insomma, stesso monaco con un abito musicale diverso, più maturo, cucitogli addosso da Big Fish e Don Joe, due fra i produttori più prolifici del momento, senza dimenticare il gran numero di ospiti nel disco (Emis Killa e Gemelli Diversi tra gli altri).

Un progetto discografico, il loro, che viste le premesse degli ultimi anni, può evolversi esplorando nuovi generi e target di mercato, come autodistruggersi per mancanza di spunti.

Nel frattempo, eviterei di insultarli aggratis, probabilmente nelle loro canzoni ci siete anche voi.

Giorgio Rolfi

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