SUITS, LA RECENSIONE: IL MAGICO MONDO DI HARVEY

Tangram
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4 min readAug 5, 2018

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Ho sempre voluto recensire questa serie tv.

Fin dalla prima stagione divorata l’anno scorso sul re Mida dell’intrattenimento streaming mondiale di nome Netlix. A lui dobbiamo vite sociali distrutte e intere notti di sonno perse, ma a essere sinceri, per prodotti come Suits ne vale decisamente la pena (o forse solo per le prime sei stagioni, ma andiamo con ordine).

Rischiando di esordire inizialmente con il titolo “A Legal Mind”, la serie si presenta al pubblico con il giovane Mike Ross, brillante non-laureato dotato di una sconvolgente memoria fotografica, trovatosi per caso in coda presso uno studio legale di New York, la “Pearson Hardman”, con in mano una valigetta piena di droga, in fuga da due poliziotti. Niente male davvero. Lo studio è in cerca di un nuovo associato da affiancare al socio senior Harvey Specter, uno dei personaggi più accattivanti degli ultimi anni.

La sua segretaria personale Donna capisce al volo la situazione e butta il giovane nella tana del lupo.

Harvey intuisce che si tratta di un bluff, ma stanco dei soliti laureati patinati che gli propina Harvard, decide di assumerlo a lavorare con lui nonostante non sia laureato, rischiando in prima persona il suo ruolo nello studio.

Un incipit di tutto rispetto che delinea nel corso degli episodi un universo fittizio destinato a entrare prepotentemente nell’immaginario di tutti gli aspiranti avvocati e non. Partiamo dal presupposto che pur non parlando di animali parlanti, hobbit, o dei tanto cari supereroi Marvel, Suits prende subito le distanze dalla realtà, talvolta ripudiando malamente la verosimiglianza degli eventi narrati. Ma noi non ce ne curiamo e passiamo oltre, premiamo in maniera compulsiva il tasto play, sempre pronti a un nuovo episodio. Viene da chiedersi se la droga nella valigetta di Mike non ce l’abbiano fatta provare sul serio. La serie, insieme ai suoi personaggi (Harvey, Louis e Donna su tutti), dà assuefazione, e provoca una dipendenza non scontata in un mondo dell’intrattenimento portato sempre più al limite da un’offerta esagerata di contenuti. La qualità della scrittura, tuttavia, paga sempre, e qui nulla è lasciato al caso dagli sceneggiatori.

Ogni singolo personaggio è stereotipato, ma quel tanto che basta a differenziarli dai protagonisti di un ”Sex and The City” o di un “Desperate Housewives”. Sono esagerati, ma non troppo, oscillando costantemente in una sorta di limbo che ha come estremi l’emotività da una parte e il cinismo feroce dall’altra.

Non si contano gli episodi necessari a capire quanto Harvey tenga a Mike a livello umano, oltre che sul piano professionale, arrivando a considerarlo un amico sincero capace di tirare fuori il meglio da chiunque gli stia vicino (guardando la serie, capirete che per uno come Harvey Specter sarebbe più semplice essere torturato piuttosto che ammettere una verità simile).

Chiariamo una cosa, le cause legali e i problemi societari stanno a Suits come gli zombie stanno a “The Walking Dead”. Per quanto intrecciati e studiati ad hoc dagli sceneggiatori, fungono da contorno, in certi casi giocano un ruolo prettamente marginale. Il fulcro della serie è incentrato sui rapporti e sui conflitti emozionali tra le varie personalità dello studio. Sotto la lente d’ingrandimento c’è il campo semantico della famiglia che si viene a creare all’interno della Pearson Hardman. Una famiglia che oggi si supporta e domani si fa la guerra in casa, dimenticando qual è il nemico comune. Le fragilità di personaggi tutti d’un pezzo come Harvey e Donna emergono a galla, destabilizzando il microcosmo emozionale di tutto lo studio, che crolla inesorabilmente come un castello di carte. È questo il vero segreto del successo clamoroso che ha ottenuto Suits negli anni, chiunque può specchiarsi nel proprio personaggio ideale, cucendoselo addosso come un vestito su misura.

Non è un prodotto esente da difetti e cali qualitativi (vedi la stagione 3, leggermente sottotono), ma sarebbe sbagliato non celebrarne l’impatto incisivo nei confronti del pubblico.

A livello personale, sono convinto che si potesse chiudere un mezzo capolavoro seriale con la sesta stagione, complici la mancanza di nuovi sentieri narrativi e l’abbandono di personaggi del calibro di Rachel (per chi non lo sapesse, l’ex attrice Meghan Markle è la neo consorte del principe Harry, ndr), ma si sa che ormai la tendenza a spremere un prodotto di successo è fortemente radicata nell’industria cinematografica.

Poco importa, perché il bel faccione di Harvey Specter sullo schermo, in fin dei conti, è un po’ come la… , non puoi dirgli di no.

Giorgio Rolfi

Originally published at www.tangramag.it on August 5, 2018.

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