Considerazioni su Netflix e sullo streaming on demand

Luca Argenziano
Tasc
Published in
3 min readJul 6, 2015

Con l’avvicinarsi di Ottobre le notizie relative a Netflix si fanno sempre più dettagliate: sappiamo cosa ci sarà, cosa non ci sarà, quanto costerà ecc. Queste informazioni mi hanno fatto riflettere sul futuro della tv, sia dal punto di vista delle aziende che saranno protagoniste di questa rivoluzione, sia dal punto di vista nostro, degli utenti, che usufruiremo di questi servizi.

Partirei dall’intervista pubblicata sul Wired di giugno (ahimé, l’ultimo Wired), ora disponibile online a questo indirizzo, a Reed Hastings, il “grande capo” di Netflix. Due frasi mi hanno colpito particolarmente nell’intervista.

La prima, detta proprio da Reed, è:

oggi l’unico modo per controllare i diritti globali di un programma è produrlo.

La seconda è una citazione di Ted Sarandos, il capo dei contenuti di Netflix:

dobbiamo diventare HBO prima che HBO diventi Netflix.

Ciò che dice Reed è verissimo, i diritti tv sono una delle cose più difficili da uniformare: non ci riusciamo in Europa, figuriamoci per chi ha ambizioni globali. Questo può essere un vantaggio per Netflix, che finora ha prodotto ottime serie tv (Marco Polo, Daredevil, House of Cards solo per citarne alcune); è vero, non potranno trasmettere HoC in Italia (perché i diritti sono di Sky), ma di certo non cederanno altri diritti in futuro.

Ciò che dice Ted è altrettanto vero: qualsiasi produttore di contenuti può creare il proprio Netflix, allestendo un team ad hoc e dedicando un annetto allo sviluppo del servizio. In effetti, in America sta succedendo proprio questo: Fox e Disney hanno creato Hulu, HBO ha HBO Now, Showtime ha creato il suo servizio di streaming, disponibile da Luglio, ecc.

Tutto ciò è svantaggioso per noi utenti, che in futuro dovremo avere n-mila abbonamenti per poter guardare le serie tv che ci piacciono. È deleterio per i concessionari, tipo Mediaset, che non possono di certo sostenere i costi di produzione delle grandi case americane (Netflix ha speso 100milioni di dollari solo per strappare la produzione di House of Cards a HBO), e che si potrebbero ritrovare, presto o tardi, a corto di contenuti di qualità.

Infine, è dannoso per tutta l’industria dell’intrattenimento. Reed Hastings continua a sostenere, a ragione, che il principale rivale di Netflix è la pirateria; ci sono un sacco di utenti, secondo i dati che Netflix ha raccolto in questi anni, che fingono di risiedere altrove per poter accedere, per esempio, al catalogo americano dell’azienda. Questo dimostra due cose: la prima è che esistono un sacco di persone che sono disposte a pagare il giusto per poter accedere ad un catalogo amplio e quanto più completo possibile; la seconda è che l’unica via percorribile per sconfiggere la pirateria è quella di offrire un servizio migliore per qualità e comparabile per contenuti.

Il concetto stesso di “esclusiva” stona in questo contesto: se per poter guardare Daredevil, House of Cards e Orange is the new Black devo dare 10euro/mese a Netflix, 19euro/mese a Sky e 15euro/mese a Mediaset, è molto probabile che ricorrerò alla pirateria, perché spendere 44 euro al mese in pay-tv è davvero eccessivo. Cosa ci guadagnano i produttori? Nulla, perché avrò visto ciò che volevo senza che loro abbiano visto l’ombra di un centesimo.

Ciò che secondo me avrebbe molto più senso è spostare il campo di battaglia sulla qualità del servizio, invece che sui contenuti. Di servizi di streaming ne esistono parecchi, ma a parità di contenuti cosa sceglierebbe l’utente? Probabilmente il servizio più innovativo, che personalizza i suggerimenti in base a ciò che l’utente guarda, che è cross-platform, che non si blocca mai (non come Sky Online, che al contrario non funziona mai), che offre la qualità audio-video migliore, eccetera. Ma se i contenuti non ci sono, se American Sniper è solo su Mediaset e The Avengers solo su Sky, allora probabilmente l’utente non si abbonerà a nulla, aprirà Popcorn-Time e avrà ottenuto ciò che voleva lo stesso.

Per concludere, ritengo che l’analisi di Ted Sarandos sia sacrosanta, ma che il ragionamento sia sbagliato a monte: se è davvero la pirateria il peggior nemico dei produttori di contenuti, la frammentazione non vi aiuterà di certo a sconfiggerla.

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