Il referendum del 17 aprile è la fine del dibattito in Italia

Michelangelo Caruso
Tasc
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11 min readApr 6, 2016

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Il 17 aprile è la data in cui l’Italia sarà chiamata ad esprimere il suo parere su un referendum riguardante delle concessioni per le piattaforme installate entro le 12 miglia dalla costa. E nonostante i complottismi che vogliono i “media di reGGime” o tacere o essere asserviti a questa o a quella fazione in gioco, dell’argomento si discute ampiamente ovunque: giornali, social, baretti, piazze, scuole, e chiunque si è fatto una propria opinione in merito all’argomento sente l’irrefrenabile bisogno di esternarla.

Il problema è che purtroppo di questo referendum, se ne discute male, malissimo. E non perché una fazione o l’altra sia nel giusto o meno, anzi. Per la prima volta da quando ho memoria entrambe le parti sono ugualmente ignoranti e maliziose nel cercare consensi. Perché o nessuno ha letto per davvero il quesito referendario, o tutti semplicemente stanno distorcendo la realtà a proprio uso e consumo.

Ma attenzione: pur avendo anche io una mia opinione in merito, non ho assolutamente intenzione di sponsorizzarla in questo ambito. Il mio intento è del tutto diverso, e scaturisce dalla frustrazione nel vedere svilito un quesito referendario per l’ennesima volta ad una questione di posizioni, per giunta basate su tutto ciò che di più scorretto e malevolo si possa usare per ottenere consenso. In questa sporca partita ci sono tre protagonisti: le istituzioni in causa, l’informazione e dei campioni scelti del “popolo”. Passarli in rassegna, analizzando opinioni e lacune, è forse il modo migliore per argomentare la mia tesi.

Organizzazioni ed istituzioni

Le associazioni ambientaliste

Forse le parti in causa più pericolose tra tutte. Abbiamo diversi attori sulla scena, tutti ben schierati e catalogabili. La prima fazione è sicuramente quella che ha “scatenato” il dibattito, ovvero quella delle associazioni ecologiste come Greenpeace e Legambiente. Fin dal principio lanciano una serrata campagna contro l’inquinamento causato dalle piattaforme, a favore della difesa del nostro bellissimo mare, delle nostre bellissime coste, delle nostre bellissime bellezze. E su questo, nessun italiano credo possa essere in disaccordo: chiunque osi dar contro premesse tali, risulterebbe come un mostro capace di affogare un batuffoloso coniglietto nel petrolio.

greenpeace

Il problema è che le associazioni ambientaliste, pur portando dati reali e verificati, ammessi pure dalla stessa ENI, lo fanno in maniera totalmente strumentale, omettendo un dato basilare: il referendum non è sulla possibilità di concessione di nuovi impianti, ma sulla proroga di alcuni già esistenti entro il limite delle 12 miglia dalla costa: le cose per come sono realmente non sembrano così allarmanti, e a voler essere maliziosi viene da pensare che omettere e mistificare per ottenere un impatto emotivo più deciso possa essere stato un approccio voluto dalle associazioni ambientaliste in causa. Oppure che in realtà il quesito referendario le suddette associazioni, non lo conoscano se non per sentito dire. In entrambi i casi tutto questo ha portato involontariamente acqua ai “razionalisti”, che hanno ovviamente sfruttato questa mancanza come strumento per far breccia nel dibattito.

I “razionalisti”

E poi ci sono i cosiddetti razionalisti: fanno dell’anti-allarmismo e del dato tecnico il contraltare della propaganda emotiva degli ambientalisti. Si tratta in realtà non di vere e proprie associazioni, ma di unioni spontanee di persone; tra tutte primeggia Ottimisti e Razionali, contenitore di gente che conta pronta a rispondere con razionalità a quegli ambientalisti col megafono ed il cappello di stagnola che gridano in strada che “la fine è vicina”. La verità è che però dietro al dato preciso, anche qui si nasconde una strumentalizzazione atta solo a smuovere il consenso. Quando va bene, si parla di cifre snocciolate con sicumera ma a sproposito. Quando va male invece si tratta di dati piegati all’emotività, per garantirsi una narrazione razionale di facciata, ma guidata anche qui da una sorta di terrorismo psicologico, come dimostrano le immagini di seguito:

(Se voti ‘SI’ l’Italia perderà soldi, posti di lavoro, indipendenza, ci sarà una pioggia di meteoriti, i gattini scompariranno e sarà l’inizio di una inarrestabile apocalisse zombie.)

Accompagnato da grafiche di grido minimal, Proxima Nova come se piovesse ed hashtag tanto inutili quanto falsi, gli Ottimisti e Razionali condividono coi loro rivali lo stesso identico stile apocalittico. Da cui un vero ottimista e razionale starebbe più che alla larga.

La politica

Altro immancabile attore in campo è ovviamente la politica. E immancabile è ovviamente anche qui la confusione, strumentale o meno che sia. Per semplicità casserò la rassegna stampa di posizioni superflue dei vari partiti. Qui l’unica parte interessante è lo scontro tra Renzi e le nove regioni che hanno proposto i sei quesiti referendari (ora ridimensionati ad uno con la recente modifica alla legge di stabilità). La chiave di lettura più credibile è quella di un braccio di ferro tra i 9 consigli regionali in causa (Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise: tra queste vi era anche l’Abruzzo che ha poi ritrattato) ed il governo Renzi, per una questione di competenze scaturite per l’appunto dallo Sblocca Italia. E mentre le regioni spingono per un si (che comunque conterebbe qualcosa più di un goal della bandiera, dato che di fatto sugli altri cinque quesiti il governo è venuto a più miti consigli) Renzi ed il suo estabilishment spingono per una pratica sul filo dell’illegalità e vergognosa a prescindere: l’astensione.

Temendo l’insuccesso dei “no”, si punta a rendere nullo il referendum attraverso il non raggiungimento del quorum, portando di fatto gli italiani non a votare no, ma a non votare affatto. É una manovra propagandistica non insolita, ma che altrettanto spesso ha toppato: Craxi ad esempio nel 1991 invitava gli italiani ad andare al mare piuttosto che votare il referendum sui voti plurimi di preferenza, o più recentemente ricordiamo l’invito all’astensione di Berlusconi sul referendum sull’acqua pubblica.

L’informazione

In questo guazzabuglio di soliloqui, dove ogni fazione espone la propria senza però ascoltare quella degli altri, i giornalisti avrebbero dovuto giocare un ruolo fondamentale che purtroppo in Italia è dimenticato da tempo: fare informazione.

Nell’epoca delle colonnine di destra sui siti dei giornali piene di gossip, e delle condivisioni massive di contenuti acchiappa-like piuttosto che delle notizie vere e proprie, su un argomento come questo l’informazione ha preferito raccogliere le varie dichiarazioni e riportarle senza un minimo di fact-checking, eccezion fatta per qualche testata dedita più all’approfondimento che alla mera cronaca o ancora peggio al pettegolezzo: destreggiarsi tra le mille frottole dei vari contendenti sicuramente deve essere stato un lavoro estenuante, ed è per questo che apprezzo articoli come quelli di VICE News, de l’Espresso e di Internazionale (di cui è anche apprezzabile il poter leggere gli altri articoli correlati immediatamente, senza doversi perdere in mille ricerche) inseriti per poter vedere voi stessi di cosa sto parlando, e -perché no- poter approfondire meglio la materia.

Ma articoli di questo calibro sono diventati ormai rarità, non solo sul referendum del 17 aprile ma anche su tutto il resto: non voglio abbassarmi a citare Libero ed il Giornale, ormai note fabbriche di bufale e sondaggi pruriginosi, ma anche le altre testate più blasonate fanno fatica a mantenere l’obiettività. Una prova? Fate pure una ricerca con le parole chiave “trivelle” e “referendum”: vi verranno restituiti almeno un paio di risultati per ogni testata giornalistica italiana. Tralasciando l’incongruenza della parola “trivella”, dato che le piattaforme sono il vero oggetto del quesito referendario e sono tutt’altra cosa rispetto ad una trivella (ma passiamola come una sineddoche, per semplificare), noterete come ogni testata prediliga dare spazio sempre o a posizioni cerchiobottiste, o ad articoli sempre tendenti verso la stessa opinione. In definitiva mai nulla di obiettivo e documentato, solo parole riportate, sulle quali i giornalisti non devono neppure assumersi la responsabilità, pur facendosi megafono per colui che le ha pronunciate. Ed è ovvio che, in un clima come questo, ottenere un’informazione completa o quantomeno vera risulta difficile ed i mostri che si generano tra il popolo non sono altro che la degna prole di questa filiera.

La “GGente”

I termini “gente” ( o “ggente” con due ‘g’, rafforzativo) e “gentismo” sono diventati di uso comune per rappresentare lo step successivo al populismo spiccio. Chi frequenta i social si sarà sicuramente imbattuto in questa parola, definizione di chi, rifuggendo qualunque argomentazione logica, si affida alla propria ignoranza ed alla propria rabbia per mettere bocca su qualunque argomento. Quasi del tutto ascrivibili a quegli idioti che grazie ai social hanno ottenuto la visibilità di cui parlava Umberto Eco. Beh, in questo caso il gentismo è stato molto più che trasversale, ed ogni fazione può vantare i propri “campioni” di gentismo: partirei dallo splendido lavoro fatto da BeShaped, agenzia di comunicazione pugliese che affronta l’argomento con eleganza e profondità:

#trivellatuasorella

E francamente, anche se mirassero al “purché se ne parli”, difficilmente una persona si affiderebbe alla comunicazione di questi professionisti. A meno che fosse Salvini.

(Va anche detto che da BeShaped si sono poi giustificati, spiegando #trivellatusorella era già stato utilizzato nel caso di Ombrina e che in giro c’era anche un indocumentabile #trivellamammt: che colpaccio attirare l’attenzione su di sè con tale cafonata e poi ammettere di non essere stati nemmeno i primi a pensarla.)

Mentre invece tra i “razionalisti” troviamo una sconosciuta pagina facebook dal titolo più che ossimorico, “Nucleare e Ragione”, che preferisce invece argomentare così:

post ironico sul referendum

Che sagacia, che ironia! Sfruttare un meme obsoleto, per collegare due concetti che non solo non hanno alcuna attinenza, ma che ancora una volta sono illogicità. E se questa è la voce della ragione, figuriamoci le altre.

Spazio a parte poi mi piacerebbe dedicarlo a Michela Costa, geologa. Pur non essendo di fatto una “gentista” ma soltanto una ragazza che ha espresso la sua opinione pubblicamente, è purtroppo diventata la bandiera di tutti coloro che sui social, non sapendo come argomentare le ragioni del proprio astensionismo, hanno scelto di condividere la nota facebook di Michela, portandola a venire pubblicata anche da alcune testata locali e diversi blog. Nota che però, va detto, è piena di inesattezze e salti logici, e che sicuramente può andare bene come sfogo contro certe vere stupidità che hanno costellato questa campagna di (dis)informazione da parte degli ambientalisti, ma che è assolutamente inaccettabile sia come manifesto razionalista sia astensionista , specie quando inizia stabilendo un punto esatto sulle percentuali delle piattaforme in ballo, di cui l’80% estrae gas e solo il restante 20% petrolio, ma poi paventa scenari apocalittici fatti di importazioni petrolifere massive. E lì le domande sorgono spontanee: ma non parlavamo di gas? Per quale motivo bisognerebbe immotivatamente importare tutto questo petrolio? Ma soprattutto, la domanda che più mi preme: perché questo astio, questa difesa a spada tratta quando a conti fatti, l’Italia rinuncerebbe al 3% di fabbisogno nazionale di gas, ed allo 0,8% di petrolio? Cifre sulle quali si può e si deve discutere certamente, ma che sono assolutamente ben lontane dagli scenari catastrofici immaginati dai razionalisti e da Michela stessa. Senza contare infine che presumere che un cittadino non possa esprimersi su un argomento perché non di sua competenza, è stato veramente il fondo. Se è così, come una geologa può esprimersi su un argomento tanto complesso e non di sua competenza? Semplicemente perché si è informata, mi si risponderà. Ed è la stessa possibilità che ha ogni italiano che ne ha volontà. Certo, se solo non perdesse tempo a difendere strenuamente la propria posizione.

Un referendum per sancire la morte del dibattito

Insomma, è una situazione oscena ed insostenibile. Di fatto ci troviamo in un clima di scontro aperto, destinato a crescere fino al fatidico giorno, e tutto questo perché la discussione è sicuramente viziata all’origine, ma anche perché ormai, siamo abituati a non recedere ed a non confrontarci. Quella del quesito referendario del 17 aprile, non è una questione particolarmente complessa in realtà, se solo si avessero i giusti dati di partenza e la voglia di discuterli apertamente, pacificamente. Per esempio parliamo dalla gigantesca omissione di chi non spiega che il referendum non parla assolutamente di chiusura in toto delle piattaforme, né tanto meno di quelle entro le 12 miglia dalla costa: l’argomento del quesito è la possibilità di rinnovare o meno le concessioni a queste piattaforme, al presentarsi della scadenza, che potrebbe anche essere fra qualche anno. Ogni posizione qui è legittima; votare si o no scaturisce da una propria visione delle cose, a patto che sia ragionata e documentata. Altrimenti si rischia di partorire castronerie come questa:

blogger sul referendum

o ancora peggio, questa:

destroy renzie

Ma in un’era dove su un dato argomento è possibile recuperare praticamente ogni informazione necessaria, siamo diventati così pigri da non riuscire più ad informarci, ma ad aspettare che qualcuno pre-mastichi la notizia, per poi passarcela attraverso la sua visione. E di fatto abbiamo visto che, con questo referendum, nessuno ha avuto l’onestà intellettuale di raccontare le cose per come stanno sul serio. Tra dati falsati o piegati a dimostrare effetti con cui nulla ha a che fare questa questione, previsioni tanto apocalittiche quanto aleatorie, campagne basate più sul fattore emotivo che su quello razionale, abbiamo tutti recepito una visione totalmente distorta e falsata di quello che è davvero questo referendum. E questo ci ha fatto vedere chi la pensa diversamente da noi attraverso un filtro altrettanto distorto: da un lato vediamo furiosi ambientalisti incapaci di raziocinio, dall’altro pericolosi servi dei lobbysti assoggettati da chissà quale controllo mentale, mentre la realtà è completamente diversa.

Il punto è che questo referendum è stato una prova importante per il dibattito italiano, e l’abbiamo miseramente fallita. In queste condizioni abbiamo solo due scelte: o capire dove e perché abbiamo sbagliato e fare marcia indietro, o scendere ancora più in basso, sancire definitivamente la fine del dibattito in Italia rinchiudendoci nelle nostre roccaforti della ragione, dove ascolteremo solo ciò che ci piace, anche se si tratta di pure falsità. Ma arrivati a questo, non ci sarà più nessun politico o nessuna istituzione da incolpare; non ci saranno “pennivendoli di regime” né “media servi del potere”: la colpa sarà unicamente nostra, perché ci siamo bevuti ogni castroneria proposta senza metterla in dubbio.

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