Trattato di economia. Intervista a Roberto Castello e Andrea Cosentino

L’economia condiziona interamente la nostra esistenza, assegna un valore alle persone e determina le relazioni personali, affettive e professionali di ognuno, oggetti inclusi. Perché?
A questa domanda provano a dare una risposta Roberto Castello e Andrea Cosentino con il loro spettacolo dal titolo Trattato di economia, andato in scena mercoledì 15 giugno al Funaro di Pistoia nell’ambito della rassegna Teatri di confine, promossa da ATP — Associazione Teatrale Pistoiese e Fondazione Toscana Spettacolo.

L’argomento viene affrontato da angolazioni diverse e più punti di vista, partendo da una lucida e professionale trattazione fino a giungere a veri e propri comizi, inframezzati da esilaranti momenti cabarettistici e di danza, da una gestualità che strizza ironicamente l’occhio a un certo tipo di teatro e danza contemporanei. Lo spunto è già di per sé esilarante: il confronto economico fra due oggetti comuni, entrambi realizzati in gomma ma dal prezzo abbastanza diverso: una paperella e un pene. Il tutto è accompagnato da veri e propri pezzi accattivanti che ironizzano sui teatranti, i critici e il target degli spettatori, senza mai perdere di vista il punto di partenza.
La scenografia è semplice, un telo nero e una scrivania di legno con due sedie e due microfoni, ma Castello e Cosentino non hanno bisogno di altro. Lo spettatore è fascinosamente coinvolto dal duo, si ride, ci si sorprende, si riflette. I temi e gli spunti del resto non mancano, soprattutto quando si arriva a toccare i temi delle paure e dei desideri. E quando lo spettacolo è finito e ci si ritrova fuori dal teatro non si può non continuare a pensare alla paperella e al pene rosa (la costosa cosa rosa), due oggetti di egual fattura eppure universalmente riconosciuti di valore diverso, proprio come il capitale umano di ciascuno di noi.

Ma sentiamo i diretti interessati sulla genesi che ha portato alla messa in scena di questo spettacolo.

Roberto Castello: «Lo spunto è partito prendendo a esempio le dinamiche dell’arte contemporanea e il lavoro di Marina Abramovic, così come affrontato da Andrea Cosentino nello spettacolo Not here not now, presentato nella stagione di SPAM! del 2013. Da qui l’idea di fare uno spettacolo su una materia di cui non capisco molto, se non niente. In realtà è una idea che mi balena da sempre, da quando ero giovane e c’erano ancora le ultime code del movimento degli anni ’60. Sono infatti abbastanza giovane per aver perso il suo “pieno” ma abbastanza vecchio da averne preso le ultime code e non riesco a non vedere tutte le assurdità e le dinamiche del capitalismo, non in senso ideologico ma nell’ambito della vita quotidiana, per cui nel sistema teatrale spesso i lavori più brutti sono pagati meglio di lavori più belli.
Sono tutte cose che hanno a che vedere con il denaro, e che io ancora non riesco a capire del tutto. È come se secondo il pensiero comune fossimo talmente tutti abituati a essere dentro questo meccanismo che ci sfugge una riflessione dall’esterno. Erano anni che cercavo di dare forma a tutte queste riflessioni, pensieri e straniamenti, e diciamo che la modalità è stata quella di affrontarla in diagonale e non di petto, per non cadere nel moralismo.
Per quanto riguarda invece la seconda parte dello spettacolo, non volevamo parlare di teatro, ma alla fine abbiamo deciso di giocare sul ruolo dei teatranti e dei target in cui possiamo essere incasellati. Si tratta di un gioco e il colpo finale è un modo per rispondere alla domanda: come fai a parlare di qualcosa se ci sei dentro? Fa parte della modalità dello spettacolo, quella di procedere per digressioni».

[a sinistra Roberto Castello, a destra Andrea Cosentino. ph Ilenia Vecchio]

Si tratta quindi di una denuncia a meccanismi interni al mondo teatrale o relativi sempre al fattore economico?

RC: «Partiamo da una domanda: che cos’è l’economia? Dove finisce? Ciò che è relativo alla moneta è la finanza, mentre l’economia ha a che fare con le relazioni che le persone hanno attraverso le cose, ed è difficile separare il successo economico da quello personale. Il nostro plauso non ha un valore esclusivamente finanziario e si può essere onesti, caotici, confusionari e costantemente involuti, ma si può essere anche cinici.
Qui si parla di noi, è il nostro modo di svelare alcune furbizie ed espedienti usati da un certo sistema. Anche noi abbiamo le nostre strategie e furbizie, non c’è salvezza, ma è un modo di prendere posizione. Non si tratta di essere ingenui o falsi, ma anche stronzi, ne abbiamo la percezione. Non siamo migliori di chi stigmatizziamo ma forse siamo un po’ più autocritici».

Andrea Cosentino: «Dichiariamo quindi qualcosa di cui in realtà facciamo parte anche noi».

RC: «Nella caoticità del nostro lavoro avevamo capito che non sarebbe stato possibile fare ordine, ma isolare delle tematiche. Queste digressioni sono volontariamente un approccio e una forma per non portare lo spettatore ad adagiarsi dentro una prospettiva, ma essere invece costantemente spinto ad andare fuori. Si parla quindi del tema da punti di vista differenti».

AC: «La domanda che ci siamo posti e su cui ci siamo interrogati all’inizio di questo lavoro è stata: come faccio a parlare senza essere retorico? Proprio la stessa domanda posta da Roberto durante lo spettacolo. La risposta è stata quella di creare delle situazioni metafisiche dando spazio all’assurdo e al paradosso, come il parallelo tra il denaro e il tonno marinato (anche se in un primo tempo avevamo pensato a una salsiccia)».

RC: «La televisione ha molto mutuato lo schema di un certo tipo di teatro militante tardo-brechtiano, ovvero: se siete in tanti, vuol dire che abbiamo ragione noi, e se qualcuno non concorda è semplicemente perché nessuno è perfetto. Sul palcoscenico, secondo me, questo modo di pensare e gestire il rapporto di potere risulta scorretto, uno deve dire onestamente quello che pensa ma non ha nessun diritto di imporre, nemmeno in modo implicito, il proprio pensiero. Bisogna essere onesti.
Uno dei punti di partenza di questo spettacolo è stata la riflessione sulla scomparsa del denaro, di cui non ho trovato veramente la chiave. Quello che ci siamo chiesti è stato: quanti farebbero quello che fanno, la vita che fanno, se scomparissero il denaro o una prospettiva di economia? Voi vi alzereste senza avere nell’immediato o in prospettiva un ricambio in denaro? E quante delle azioni che facciamo sono determinate dalla nostra volontà e rettitudine morale e quanto invece dai rapporti strumentali di denaro? L’importante è esserne consapevoli, ma in definitiva non abbiamo trovato delle vere risposte che non scadessero nel moralismo e quindi alla fine sono rimasti in scena pochissimi elementi. Il tutto avrebbe dovuto essere molto più ampio.
Personalmente ho trovato molto istruttivo il modo di Andrea di affrontare la questione in una forma estremamente comica. Ad esempio il pene e la paperella erano cose che avevamo lì. Io avevo fatto un lavoro nel 2009 con duecento piselloni che piombavano in scena che poi erano rimasti lì da me, Andrea li ha visti ed è partito tutto».

Dato che si tratta di un ragionamento che rimane aperto, questo spettacolo potrebbe essere in divenire o è previsto come chiuso e concluso?

AC: «A lui [rivolto a Castello] piace perfezionare e cambiare. Gli spettacoli cambiano quando si inizia a rodarli, anche se la struttura dello spettacolo resta».

RC: «Ci sono passaggi che stanno prendendo forma sulla scena, parti a memoria (perché è una conferenza), ma ci sono anche dei margini di improvvisazione. Una parte sostanziale è precisa, mentre alcuni punti hanno trovato una strada più semplice. Da Andrea ho imparato a semplificare molto il linguaggio e non è molto facile come esercizio».

AC: «Poi non bisogna dimenticare che lo spettacolo non è una mai replica».

RC: «L’ultimo tema, quello del desiderio come panacea contro la natura del denaro, ad esempio è una porta che una volta aperta può portare a qualsiasi altra cosa e i prossimi miei lavori avranno a che fare con queste dinamiche».

Essendo uno un coreografo (Castello) e l’altro un attore (Cosentino), come avete combinato le vostre realtà e provenienze differenti?

AC: «Personalmente è stata un’apertura alla ricchezza che comporta collaborare con qualcuno che viene da linguaggi differenti, altrimenti con la mia copia esatta non avrebbe avuto senso. C’è la fatica di capire la logica che sottende al lavoro di ciascuno, è un gioco di compromessi ma è anche un arricchimento ed è stato interessante, anche se avrei voluto danzare meglio e di più [ride ndr]».

RC: «Per quanto mi riguarda è stato lo spiazzamento che cercavo. La cosa bella poi è che non ci sono state competizioni ma complementarietà, anche perché nessuno dei due vuole fare il figo in scena e fare effetto. Il terreno comune è stato lavorare per un risultato e, nonostante la fatica di capire, questo non si è mai perso di vista e ciò ha reso tutto estremamente più semplice».

a cura di Ilenia Vecchio

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Giornalisti di confine
Teatri e giornalisti di confine 2016, Pistoia

Canale del progetto di formazione su giornalismo-critica-comunicazione attivo durante la rassegna “Teatri di Confine”, dal 9 al 30 giugno 2016, Pistoia