A novant’anni dalla Crisi del ’29, un nuovo “New Deal”?

Federico Panisi
Tech Mood
Published in
5 min readFeb 19, 2019

Per i consumatori digitali, questa volta

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Come noto, il 1929 fu un anno nefasto per l’economia mondiale. All’euforia speculativa degli anni ’20 seguì, nell’ottobre di quell’anno, il crollo delle valutazioni azionarie quotate presso la NYSE. Negli anni a seguire — durante la Grande Depressione — il Presidente USA Roosevelt avviò il piano di riforme economico-sociali denominato “New Deal”, per evitare che quanto accaduto potesse ripetersi. Il New Deal si fondava sul seguente principio: gli intermediari finanziari sono liberi di scegliere come meglio allocare le risorse nei limiti stabiliti dalla regolamentazione di settore e dall’autorità pubblica, a cui spetta il compito di prevenire (o, quantomeno, limitare) ogni abuso di questa libertà, a tutela del risparmio privato e dell’intero mercato.

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Al pari di quanto lo sviluppo del capitalismo finanziario fu per gli intermediari bancari e finanziari, la diffusione di Internet e del World Wide Web hanno determinato la nascita di nuovi intermediari on-line, le società dell’informazione che permettono a domanda e offerta di incontrarsi all’interno di mercati virtuali e di contrattare direttamente l’una con l’altra. Gazie a questi intermediari — più comunemente, “piattaforme” — professionisti e consumatori possono oggi agevolmente scambiarsi beni e servizi a costi di transazione ridotti, beneficiando, peraltro, degli “effetti rete” che l’utilizzo da parte degli utenti dei servizi offerti da ciascuna piattaforma genera nei confronti di tutti gli altri. Contestualmente, chi gestisce la piattaforma può trarre vantaggio dalla sua interposizione tra domanda e offerta per accedere e controllare i dati relativi alle attività svolte al suo interno dai fruitori dei servizi, senza che le asimmetrie informative e i costi da esse generati siano d’ostacolo a ciò. Certamente, questo consente al gestore il continuo miglioramento dei servizi offerti dalla propria piattaforma, a beneficio dell’incremento del surplus totale di ciascuna transazione. Tuttavia, la libertà d’azione che questo vantaggio informativo permette di conseguire può dar luogo anche a molteplici abusi da parte del gestore, ossia a pratiche commerciali scorrette quali, ad esempio, una gestione discriminatoria dei sistemi di retribuzione dei servizi per commissione o dei sistemi di posizionamento degli utenti nelle liste di ricerca.

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È proprio per questa ragione che la Commissione Europea ritiene opportuno riprendere il principio sancito nel New Deal (libertà di scelta-limitazione degli abusi) per predisporre un “New Deal per i consumatori” con cui emendare precedenti direttive volte alla loro tutela: in particolare, la Direttiva 2005/29/EC relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori e la Direttiva 2011/83/EU sui diritti dei consumatori. Così, lo scorso maggio la Commissione ha presentato la Proposta di Direttiva 2018/0090, al fine di incrementare la trasparenza delle relazioni professionista-consumatore attraverso nuovi obblighi informativi rispetto a quelli previsti nella Direttiva 2011/83/EU (ad esempio, quello di indicare i principali parametri per la determinazione del ranking delle differenti offerte oppure quello di specificare il professionista responsabile della garanzia dei diritti del consumatore correlati al contratto). In più, poiché i dati stanno sempre più diventando un vero e proprio mezzo di scambio, la Proposta intende estendere l’applicazione della Direttiva 2011/83/EU anche ai casi in cui i consumatori usufruiscano di servizi digitali verso il rilascio di dati personali. Con riguardo alla disciplina relativa alle pratiche commerciali sleali, la Proposta mira a predisporre un sistema normativo che agevoli i consumatori a comprendere la pertinenza dei risultati delle ricerche alle loro richieste. Ciononostante, un New Deal che si preoccupasse di regolare solo la domanda di servizi on-line — i rapporti platform-to-consumer — ma trascurasse la loro offerta — i rapporti platform-to-business — sarebbe incompleto. Così, con la Proposta di Regolamento 2018/0112, la Commissione Europea intende predisporre un’apposita tutela agli utenti commerciali che si servono degli intermediari digitali per svolgere la propria attività con i consumatori, limitando, anche nei loro confronti, i potenziali abusi delle piattaforme. Ancora una volta, la Commissione fa leva sulla disciplina di trasparenza circa: (1) le condizioni e i termini dei servizi offerti, (2) le eventuali differenziazioni di trattamento e (3) l’accesso da parte degli utenti commerciali ad ogni dato che i fruitori della piattaforma rilasciano per l’uso dei relativi servizi oppure che sono prodotti in seguito al loro utilizzo. Infine, la Proposta intende fornire a questi utenti efficaci sistemi di risoluzione delle controversie, che, al contempo, possano anche ridurre costi e difficoltà operative a carico degli intermediari on-line in ragione dell’attuale frammentazione giuridica.

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L’iter legislativo relativo a entrambi gli interventi è tutt’oggi in corso di definizione, dunque si dovrà ancora attendere prima che questo New Deal per i consumatori digitali venga completato. Intanto, però, le Proposte qui illustrate sembrano far traslucere, mutatis mutandis, chiare assonanze con l’impostazione regolamentare propria del settore finanziario, nel quale — al pari di quello digitale — l’intermediazione è fattore costante, a prescindere dalla fisionomia tecnologica che esso di volta in volta assume. Se ciò non bastasse, un ulteriore elemento può aiutare a chiarire questo punto. Per ragioni di efficienza, in ambito finanziario, da tempo ormai i regolatori si servono — attraverso la c.d. compliancedel giudizio degli stessi soggetti che regolano per il raggiungimento di finalità di carattere pubblico. Ciò si sta sempre più verificando anche nel contesto dell’industria digitale, nel quale i regolatori si stanno crescentemente affidando alle piattaforme quali intermediari regolamentari, mutuando così le loro maggiori capacità informative ed operative. A questa strategia sembra ascriversi anche l’art. 13 della Proposta di Direttiva 2016/0280 in tema di diritto d’autore, secondo cui i prestatori di servizi delle società dell’informazione che «memorizzano e danno pubblico accesso a grandi quantità di opere o altro materiale caricati dagli utenti [devono adottare] misure miranti a garantire il funzionamento degli accordi […] conclusi [con i titolari dei diritti] per l’uso delle loro opere o altro materiale ovvero volte ad impedire che talune opere o altro materiale identificati dai titolari dei diritti mediante la collaborazione con gli stessi prestatori siano messi a disposizione sui loro servizi». Anche questo, ultimamente — si precisa nel testo di questa Proposta — a beneficio di tutti noi, insaziabili consumatori digitali.

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