I Cripto Dollari: il caso Tether (USDT)

gioacchino rinaldi
Tech Mood
Published in
6 min readOct 22, 2018

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Photo by Artem Bali on Unsplash

Nel variegato mondo delle criptovalute connesse, nei migliori dei casi, a progetti ambiziosi di brillanti developers che ambiscono a rivoluzionare il mondo; spesso, più realisticamente, a sprovveduti “smanettoni” pieni di buone intenzioni ma senza un progetto preciso alla base; e, nella maggioranza dei casi, a veri e propri truffatori che intendono avvantaggiarsi del nuovo hype che si è creato sul mondo digitale per poter rubare impunemente e anonimamente soldi a inesperti investitori, non manca una moneta del tutto speciale: Tether (USDT).

Così speciale che, ad oggi, riesce difficile individuare in quale delle categorie di cui sopra Tether vada effettivamente collocata. Un indizio da valutare è che Tether viene emessa da una società chiamata Tether Limited, costituita in Hong Kong ma i cui rapporti contrattuali con i clienti sono governati dalle leggi delle Isole Vergini britanniche. Quello che invece risulta chiaro è la sua natura di stablecoin, ovvero una moneta il cui valore è ancorato al valore di un altro asset, al fine — principalmente — di avere una ridotta volatilità e una più ampia appetibilità sul mercato.

Tether (USDT), infatti, è ancorato al dollaro US con un rapporto 1:1. Secondo il protocollo, dunque, a un Tether dovrebbe sempre corrispondere un dollaro US.

Questa peculiarità è estremamente importante se si pensa che la maggior parte delle criptovalute è totalmente decorrelata da qualsiasi altro bene, e dunque soggetta ad un’enorme volatilità che ne diventa vera e propria croce e delizia: caratteristica che ne impedisce un’adozione mainstream per scambi di valore, da un lato, e qualità sempre ricercata da investitori altamente speculativi, dall’altro.

Basti pensare che nei momenti di crollo del Bitcoin, gli investitori, invece che riconvertire i loro Bitcoin in moneta fiat tramite gli exchange — operazione non immediata e soggetta a rilevanti costi di commissioni, nonché all’alta probabilità di “down time” IT delle piattaforme di scambio — convertono l’“oro digitale” in Tether, eliminando così in modo immediato ed economico, con un’unica transazione “cryto-to-crypto”, il rischio di subire perdite a causa del mercato in picchiata.

Inoltre ci sono importanti vantaggi nello scambiare cripto valute con Tether, anziché con valute fiat, per quegli exchange che non posseggono le licenze necessarie per operare come intermediari finanziari tradizionali e/o non hanno una banca di appoggio, e pertanto possono offrire solo trading crypto-to-crypto, senza poter offrire lo scambio con, e il deposito di, moneta fiat. Pertanto accettare in deposito, e traferire, Tether risulta un’efficace opzione per gli exchange (cosi come per i trader), in quanto sono attività possibili senza alcuna restrizione legale per qualsiasi criptovaluta; la custodia avviene in cripto-wallet e il trasferimento si effettua, con un “click”, sulla blockchain.

Ciò che oggi ha fatto sì che Tether salisse alla ribalta delle cronache non ha però a che fare con le sue caratteristiche come moneta, bensì con la mancanza di chiarezza circa il fatto che la società che lo emette, Tether Limited, abbia effettivamente nei propri conti bancari un ammontare di dollari US pari al numero di USDT attualmente in circolazione.

Nel settembre scorso, Tether ha pubblicato un report preliminare confezionato dalla società di revisione indipendente Friedman LLP, sulla base del quale sembrerebbe che la società abbia effettivamente, sui propri conti, un ammontare di dollari US adeguato. Tuttavia i nomi delle banche presso le quali i conti sono detenuti erano stati anneriti in modo da non essere leggibili e, inoltre, la società di revisione stessa ha successivamente comunicato di aver interrotto i rapporti con Tether Limited relativamente al processo di audit.

Il timore più grande è che Tether stia, in realtà, operando ciò che si definisce una fractional reserve, ovvero che stia emettendo USDT in numero maggiore rispetto ai dollari effettivamente detenuti, che per tanto risulterebbero essere effettivamente presenti nei conti bancari della società soltanto in misura di una frazione rispetto al numero di USDT circolanti. In altre parole, vengono emessi Tether anche se non ci sono dollari a “coprirli”. Questo causerebbe un collasso dell’intero sistema nel caso in cui gli investitori di USDT Tether richiedessero in massa di riconvertire i propri token in dollari, come avviene nei più “tradizionali” bank run (corsa agli sportelli).

Un altro elemento che manca di trasparenza è lo strettissimo legame di Tether Limited con Bitfinex, exchange tra i più grandi al mondo. Quando Bitfinex inizia a vedere negarsi da molti istituti i servizi bancari d’appoggio (un esempio tra tutti il “no” ricevuto da Wells Fargo nell’aprile 2017) decide, contestualmente alla ricerca di nuovi istituti disposti a concedere aperture di conti correnti, di operare tramite Tether, di cui condivide il “management”. Inizia dunque a emettere Tether e a operare con questi token verso i propri clienti a cui non può inviare valuta fiat.

Gli USDT sono liquidissimi: passano di mano in mano frequentemente, anche più di una volta al giorno, e questo evidenzia come tale moneta sia fortemente utilizzata a fini di trading, essendo nei fatti la maggior risorsa di liquidità nel mercato delle cripto valute. E una grande liquidità è una caratteristica fondamentale per ogni mercato che possa assicurare un trading veloce e continuo, requisito importantissimo per gli exchange.

Nel novembre del 2017 — però — la settimana dopo che Tether aveva subito un hackeraggio che ha causato la perdita di 30 milioni USDT, la società ha emesso, in un arco temporale di circa 72 ore, un equivalente in USDT di 95 milioni di dollari, come se un finanziatore si sia sentito sicuro, nonostante l’hackeraggio, nel prestare ingentissimi fondi a Tether, al fine di assicurare il ratio 1:1 tra USDT e USD detenuti.

Inoltre, tra gli “addetti ai lavori” si è invece fatta strada un’altra eventualità, estremamente pericolosa per il sano sviluppo del mercato delle crypto valute. Tether avrebbe emesso USDT non collateralizzati da dollari fiat e, con questi token, Bitfinex avrebbe acquistato pesantemente Bitcoin, vendendoli poi per moneta fiat su altre piattaforme di scambio, e utilizzando i profitti così realizzati per “coprire” i Tether precedentemente emessi allo scoperto. Questa pratica, a dir poco fraudolenta, avrebbe inoltre contribuito al boom del prezzo di Bitcoin a cavallo tra il 2017 e il 2018.

Lo scorso marzo, una ricerca pubblicata da Bitmex Research indicava che Tether avrebbe avuto i fondi necessari per collateralizzare gli USDT in circolazione presso una banca del Puerto Rico, probabilmente la Noble International Bank. In Puerto Rico i depositi bancari sarebbero cresciuti del 248% nel solo trimestre terminato nel dicembre 2017. Questa spaventosa crescita sarebbe stata — secondo la ricerca — legata a grandi flussi di liquidità che si sarebbero, proprio in quel trimestre, riversati negli account di una o più banche del Porto Rico, verosimilmente proprio nella Noble International Bank. Si tratta di una banca di riserva non frazionaria (full-reserve banking), ovvero che non presta la liquidità che ha in deposito sui conti dei clienti (in quanto il suo business è invece incentrato su servizi di clearing & settlement di derivati OTC).

Questo ha in qualche modo “rassicurato” i mercati delle cripto valute fino agli inizi di questo mese di ottobre quando, a seguito di un articolo apparso sulla rivista di settore Modern Consensus, Noble Bank sarebbe “alla canna del gas”, prossima all’insolvenza. Ciò ha creato una forte preoccupazione per chi aveva fondi investiti in USDT e si è assistito a vendite ingenti di Tether, che — pur essendo correlato al dollaro nel rapporto 1.1 — è arrivato ad essere scambiato a 0.96 centesimi: non certo un segnale rassicurante.

Mentre le speculazioni sulla salute della Noble Bank continuano, Tether (e anche Bitfinex) sembrerebbero aver spostato i conti presso altri istituti, temendo un’imminente bancarotta della Noble.

Ma i problemi per Tether non finiscono qui: sul mercato sono da poco sbarcate nuove stablecoin: Gemini Dollar, Paxos Standard e USD//Coin, che stanno minacciando in termini concorrenziali proprio Tether.

Ciò perché queste tre nuove crypto sono tutte stablecoin approvate dal Dipartimento dei servizi finanziari di New York, mentre Tether sembrerebbe aver aperto un nuovo canale con una banca delle Bahamas…insomma: a voi la scelta.

E’ il mercato, bellezza.

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