Carry On: si può migliorare Harry Potter?

No, ovviamente no. Ma Rainbow Rowell crea un eroe sulla sua falsariga e compensa molti degli aspetti meno riusciti dell’originale.

Marta Corato
The Book Girls
Published in
5 min readJan 5, 2016

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You saved the day, you courageous fuck.
You absolute nightmare.

Qui a The Book Girls siamo fissate con Rainbow Rowell: Giulia ha amato Eleanor & Park, mentre un anno e mezzo fa io mi ero fissata con Fangirl. Di Fangirl avevo amato tutto, in particolare la contemporaneità della trama: la protagonista Cath scrive fanfiction ispirata dai personaggi della serie di Simon Snow, un eroico maghetto sulla falsariga di Harry Potter.

Ero meno convinta quando è stata annunciata l’uscita di Carry On, in cui Rowell avrebbe recuperato i personaggi della saga di Simon Snow, appena accennati in Fangirl, e avrebbe scritto un intero romanzo completamente dedicato a loro. Che senso aveva scrivere un libro che sarebbe stato, per il modo stesso in cui i personaggi erano stati creati, una scopiazzatura di Harry Potter e soci?

Ho mugugnato per le prime 30 pagine di Carry On, finché non ho capito che (tanto per cambiare) mi ero sbagliata del tutto. Per certi versi – e chi mi conosce sa che non lo direi con leggerezza – l’universo di Simon Snow è migliore di quello di Harry Potter. Soprattutto, è molto più soddisfacente per un lettore (giovane) adulto, in media un po’ più sgamato del target originario di JK Rowling.

Carry On è l’immaginario ottavo libro della saga di Simon Snow. Per anni il protagonista, che è anche The Chosen One (“il prescelto”, per chi non masticasse l’inglese), ha combattuto contro il cattivissimo The Humdrum (“il monotono”, sempre per chi come sopra), che sta facendo scomparire la magia dall’atmosfera del Regno Unito. A guidarlo c’è The Mage (il Silente della situazione), mentre al suo fianco ci sono la migliore amica Penelope, la fidanzata Agatha e l’arcinemico (è una lunga storia) Baz.

Dall’età di undici anni, Simon e gli altri frequentano la Watford School of Magicks; fuori e dentro della scuola, ad ogni modo, imperversa una guerra contro The Humdrum, ma anche una battaglia altrettanto violenta tra The Mage e le famiglie “nobili” del mondo magico, che non apprezzano il modo in cui sta riformando le loro tradizioni.

Il fatto che la storia cominci in medias res, dopo sette anni di avventure, ci risparmia tutta la costruzione del mondo e dei personaggi, una parte essenziale e spesso pallosa delle saghe fantasy; senza lunghi paragrafi espositivi, la storia si muove rapidamente e impariamo quello che ci serve sapere quando ci serve saperlo.

La magia del mondo di Simon Snow funziona in maniera affascinante: le formule magiche sono i luoghi comuni, gli slogan, i ritornelli di canzoni che ripetiamo in continuazione. Il venire ripetute dai “Normals”, cioè i non-maghi, rende queste formule ancora più forti. Ad esempio, l’incantesimo per mandare un messaggio a qualcuno è il corrispondente inglese di “Me l’ha detto un uccellino”; “U can’t touch this” di MC Hammer-iana memoria crea una barriera protettiva magica.

Questo non è l’unico collegamento con il mondo reale: i maghi hanno computer portatili e telefonini, usano la metropolitana, si preoccupano di come il riscaldamento globale stia decimando alcune creature magiche, frequentano università non-magiche e hanno addirittura professioni comuni, perché la comunità magica non può certo offrire abbastanza lavoro per tutti.

Ok, questa illustrazione è da Fangirl, ma è rilevante comunque.

Rowell è bravissima a conciliare il mondo magico e il 2015 come lo conosciamo: ad un certo punto, Agatha si lamenta di come sia inutile creare un incantesimo per attaccare dei fogli a un muro, visto che il nastro adesivo esiste già. Questo è il più importante dei limiti di Harry Potter, che l’autrice distrugge passandoci sopra con uno schiacciasassi di ironia e buonsenso.

L’altro è che non tutti i personaggi sono bianchi ed eterosessuali – la loro provenienza o preferenza non è sempre rilevante ai fini della storia, ma ha due risultati fondamentali. Innanzitutto, aiuta ad ancorare il testo nel nostro mondo; inoltre, forse in maniera ancora più importante, è un esempio di quello che vorrei il fantasy diventasse in futuro.

Questo è anche un forte cambio di direzione rispetto alle mancanze di Harry Potter, quelle che JK Rowling ha tentato – con risultati non del tutto soddisfacenti – di correggere con quelli che sono stati chiamati “post-canonical reveals”, ad esempio l’aver confermato a posteriori che Silente era gay e il recente casting di un’attrice nera nei panni di Hermione Granger perché “non deve essere per forza bianca” (ma va’?).

Non è un caso che Carry On sia il “romanzo nel romanzo” di Fangirl: Rainbow Rowell fa quello che molti di noi avrebbero voluto fare con altri libri, e usa i topos delle fanfiction e del fantasy in parti uguali per costruire una storia e dei personaggi divertentissimi e a cui è facile affezionarsi, resi ancora più interessanti e approfonditi dai costanti cambi di narratore.

I personaggi principali sono diciottenni e si comportano in una maniera sì eroica, ma anche non del tutto eccessiva rispetto alle loro età e capacità. Inoltre, perché il libro è YA e non per bambini, le relazioni sentimentali tra i personaggi possono essere trattate in maniera sensata e non fanno venire il voltastomaco (un saluto a Lavender Brown).

Anche nelle storie dei personaggi, Rainbow Rowell intesse aspetti della vita quotidiana, dalle tasse ai parenti antipatici. Simon Snow, in particolare, non è finito dagli zii middle class come Harry: è stato sbattuto da una casa-famiglia all’altra e ci è tornato ogni estate.

I miei personaggi preferitissimi sono Penelope, una versione violenta di Hermione Granger, e il cattivo della situazione Baz, il cui punto di vista è, almeno per me, quello che regala le citazioni migliori.

I can tell she finds me both loathsome and distasteful, but Rome wasn’t built on mutual admiration.

Al di là delle somiglianze di base (che poi sono le stesse per una miriade di personaggi, da Frodo a Luke Skywalker) Carry On diverge profondamente da Harry Potter.

La storia coinvolge fantasmi, goblin, tradizioni magiche, genitori vivi e morti, flashback, poteri misteriosi; mentre i personaggi sono sicuramente il punto vincente di Carry On, la trama è spassosissima e assurda al punto giusto.

Come libro conclusivo di una vera serie forse non avrebbe funzionato bene, e molti sarebbero stati delusi dal finale; come standalone, ad ogni modo, è perfetto. Da divorare, per poi andare a cercare un mare di fanfiction.

In inglese: Carry On, di Rainbow Rowell (St. Martin’s Griffin, 2015)

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