L’estate che conobbi il Che: l’uomo dietro al mito

Dopo il successo di “Per questo mi chiamo Giovanni” incentrato sulla figura di Giovanni Falcone, Luigi Garlando torna con un’altra sfida: raccontare Che Guevara.

Anastasia Quadraccia
The Book Girls
Published in
3 min readJan 21, 2016

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Trattare di figure come queste non è mai semplice: innanzitutto perché appartengono ad un passato sufficientemente prossimo da consentire a chi ha un certa età di potersene ricordare, ma non troppo remoto da permettere a chi è molto giovane di poterne sapere, considerando l’impostazione obsoleta dei programmi ministeriali.

È difficile poi per chi scrive e per chi legge: il rischio di annoiare e di annoiarsi è sempre dietro l’angolo. Siamo sommersi da biografie di personaggi mitici e storici, che davvero non sappiamo più dove mettercele.
Garlando, che di prima occupazione fa il giornalista sportivo ma ha anni di romanzi per ragazzi alle spalle, dribbla (per usare un termine che sicuramente lo farebbe sorridere) in scioltezza il problema.

L’estate che conobbi il Che è un caso di narrazione riuscita. A raccontarci del Che uomo, quello costantemente “al bivio tra rivoluzione e medicina”, “quello che sentiva sulla propria guancia gli schiaffi degli altri” quasi un novello Gesù, è la voce di nonno Riccardo, che, ricoverato in ospedale per un infarto, spiega al nipote Cesare perché si sia fatto tatuare il viso di Che Guevara su una spalla.
La storia a puntate del Che si intreccia con le vicende della CaMerate, il mobilificio appartenente alla famiglia di Cesare da tre generazioni, e che ora per via della crisi rischia di chiudere i battenti.
Cesare quindi, vissuto sempre coccolato e protetto, per la prima volta dovrà fare i conti con la realtà che lo circonda, uscendo tutto solo dalla meravigliosa prigione di cristallo dove vive.
Riusciranno l’esempio e la passione del Che ad aiutare Cesare a ricucire vecchie ferite e a sanare nuovi dolori?

Garlando ha un modo di scrivere che fa subito presa: leggero e spassoso, per niente ridondante. Non ci sono disegni, ma l’uso abbondante di similitudini sopperisce a questa mancanza, evocando nella testa del lettore le immagini che lo scrittore doveva aver presente.
I titoli dei capitoli, poi, sono tutto un programma: divertenti e inaspettati.
Al di là dell’aspetto stilistico, a colpirmi più di tutto è stato il messaggio che Garlando ha voluto trasmettere. Un messaggio del tutto inatteso, rispetto all’immagine faziosa con cui si è abituati a connotare il Che, veicolato grazie a dettagli semisconosciuti della sua biografia, come la sua cultura e il suo prodigarsi per insegnare ai giovani a leggere e a scrivere.
Suo infatti è lo splendido motto “Più libri, più liberi”: la rivoluzione è niente senza le idee.

L’estate che conobbi il Che è un libro delicato e divertente, altalenante emotivamente come lo sono i ragazzi. Appassionato come lo era il Che.

L’estate che conobbi il Che, Luigi Garlando (Rizzoli, 2015)

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