Piccole donne e il femminismo antifemminista

Giulia Blasi
The Book Girls
Published in
4 min readJul 3, 2014

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Per l’epoca in cui uscì, Piccole donne di Louisa May Alcott — più specificamente, i primi due volumi di quella che diventò poi una saga — era veramente una bomba. Finalmente un romanzo in cui le protagoniste, tutte ragazze, lavoravano ma non ne morivano (al contrario di Lily Bart ne La casa della gioia di Edith Wharton, una signora-bene che aveva presente quanto fosse difficile per un’altra signora-bene adattarsi a fare altro che la signora-bene), erano allegre, operose, non fissate con il matrimonio, e almeno in un caso non molto aderenti agli standard di femminilità correnti. Jo, la sgraziata Jo, l’impetuosa Jo che voleva fare la scrittrice, era un’eroina alquanto poco convenzionale, con un parallelo solo nella sognante (e forse lesbica?) Anne Shirley della serie di Lucy Maud Montgomery. Una lettura molto all’avanguardia per le ragazze dell’800, che in generale dalla vita potevano aspettarsi solo due cose: fare le mogli, o fare le zitelle.

E infatti poi è quello che succede anche alle sorelle March, più o meno.

Piccole donne, pur rimanendo una lettura meravigliosa, va preso un po’ con le molle. Perché dopo una partenza straordinaria nel primo volume, con quattro protagoniste, una madre capofamiglia e una possibile storia d’amore di fine di mondo, la vicenda tira le briglie sulle sorelle e già in Piccole donne crescono le riconduce nei ranghi della vita domestica. Meg, che fino a quel punto faceva l’istitutrice ed era rispettata e in grado di contribuire al ménage familiare, si sposa e fa la moglie (e molte pagine sono dedicate alla sua inettitudine come casalinga). Beth, com’è noto, muore prima di riuscire a evolversi in altro che una tenera ragazzina. Jo, terrorizzata dall’idea di un matrimonio passionale, respinge Laurie con la scusa più cretina di sempre (una cosa sul fatto che finirebbero per litigare, anche se questa supposta conflittualità fra loro non ha grandi basi di realtà) e finisce per sposare una versione più noiosa di suo padre, uno che le dice “I tuoi racconti fanno schifo” e la schiaccia sull’asse del matrimonio e dei figli. Su tutte trionfa l’antieroina Amy, egoista e anaffettiva, da sempre nemesi di Jo, dal momento in cui ne distrugge la carriera di scrittrice buttando il suo libro nel caminetto a quando si prende il suo unico grande amore. E Jo, invece di fargliela pagare per il resto della vita, la perdona per il rogo del libro e benedice l’unione, una mostruosità inverosimile che rende più evidente come Amy sia l’archetipo della donna di successo. Ovvero una stronza senza cuore capace di mantenersi al di sopra di qualsiasi critica.

Una ragazza che si approcciasse oggi alla storia delle sorelle March potrebbe uscirne con un’idea romantica e normativa della femminilità, fatta di abiti vaporosi e mariti che svolgono funzioni educative nei confronti delle mogli, creando un precedente insormontabile per le figlie. Se Jo fosse stata una donna moderna, sarebbe finita in analisi per decostruire e rimuovere dalla sua psiche il danno fatto dalla storia della madre: che aveva un carattere simile al suo ma è stata riportata nei ranghi dal marito, che le ha insegnato a reprimere e tenere a freno le emozioni negative. Jo, essendo femmina, non ha diritto a essere tempestosa, non può arrabbiarsi e non può darlo a vedere: per essere una brava donna, deve annullarsi in una condizione di costante dolcezza materna. Non ci riuscirà finché non incontra quello che sarà poi suo marito, Bhaer, un mostro di paternalismo che completa l’opera di paziente e progressiva distruzione della sua personalità avviata dai genitori. Il matrimonio di Jo e Laurie, noi lettrici più vecchie ne abbiamo il sospetto, sarebbe stato fatto di libertà, battibecchi e risate: Laurie sostiene Jo, non le dice mai che non è capace, non prova a metterla al suo posto. E se lei non respingesse questa libertà perché troppo diversa dal modello familiare che ha assorbito, lui non finirebbe per accontentarsi della sorella biondina. Per fare il parallelo con un altro celebre triangolo amoroso della storia della letteratura, Jo al suo stato naturale è Ellen Olenska: indesiderabile e inadatta. Amy è May Archer, insulsa ma inattaccabile, quella che tutte le comari (zia March in testa) difendono perché più simile a loro.

Se pensate che sia tutta roba inapplicabile alle ragazze di oggi, pensate a quante volte negli ultimi tempi avete sentito parlare delle seguenti cose come positive e desiderabili:
— essere una vera signora
— non rinunciare alla “femminilità”
— fare la mamma (nel senso di: non lavorare per badare ai figli)
— un uomo che ti completa.

Piccole donne, in breve, è un manuale di antifemminismo per signorine. Avvicinatelo con cautela.

Piccole donne (Little Women), Louisa May Alcott. Edizioni varie.

Questo articolo è già apparso su blog.pianetadonna.it il 3 luglio 2014. Se ti è piaciuto, clicca su “Recommend” qui sotto!

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Giulia Blasi
The Book Girls

Writer, teacher, public speaker, in that order. Nerd when it wasn’t cool. Bookworm.