Raccontami di un giorno perfetto: Jennifer Niven e l’ineluttabile

Anastasia Quadraccia
The Book Girls
Published in
5 min readNov 20, 2015

Di solito quando vado in libreria, so già cosa porterò a casa, ma stavolta sono entrata alla cieca, senza idee. Di solito mi tengo alla larga da libri come quello di Jennifer Niven, perché li reputo assolutamente prevedibili: so già cosa leggerò, come la storia si articolerà e che poi alla fine mi farò dei gran pianti — eh sì, anche noi donne tutte d’un pezzo piangiamo.

La seconda e la terza di copertina di Raccontami di un giorno perfetto recitano:

“È una gelida mattina di gennaio quella in cui Theodore Finch decide di salire sulla torre campanaria della scuola per capire come ci si sente a guardare di sotto. L’ultima cosa che si aspetta però è di trovare qualcun altro lassù, in bilico sul cornicione a sei piani d’altezza. Men che meno Violet Markey, una delle ragazze più popolari del liceo. Eppure Finch e Violet si assomigliano più di quanto possano immaginare. Sono due anime fragili: lui lotta da anni con la depressione, lei ha visto morire la sorella in un incidente d’auto […]”

Prevedibile il seguito, no? Allora cosa mi ha spinto ad acquistarlo lo stesso? Ovviamente una sfida. Cara Jennifer, mi sono detta, le cose sono due: o tu mi racconti una storia mai sentita, e non è il tuo caso, oppure tu questi temi abusati me li devi raccontare in un modo indimenticabile, perché le tue premesse non mi bastano. Non mi basta che tratti di grandi temi (il disagio giovanile, la depressione, l’amore) per convincermi che il tuo libro sia un libro che valga, se poi la tua scrittura non è all’altezza degli argomenti.

Quando compro un nuovo libro, oltre a intavolare improbabili conversazioni con l’autore mi pongo anche un sacco di altre domande, in particolare c’è un aspetto che mi incuriosisce. Perché per me un libro non sono solo pagine di carta stampata, ma è un po’ come l’armadio che porta a Narnia, apri la porta e vieni catapultata in un’altra dimensione, nel mondo che l’autore crea per te. Ecco, mi chiedo sempre quanto di quel mondo sia frutto della fantasia e quanto invece sia debitore alla vita dello scrittore stesso: facce che ha incontrato, persone di cui si è circondato, luoghi che ha visitato. E questa domanda non posso non farmela con ancora più intensità quando penso a Finch, al co-protagonista di questa storia. Finch è talmente reale, talmente vero che non può non essere esistito. Se si riesce ad inquadrare così bene un personaggio, a proiettarlo nella mente del lettore con tanta forza, non può che aver fatto parte della vita di chi ne ha scritto — e infatti alla fine del libro l’autrice racconta che c’è dell’autobiografico.

La copertina originale

La storia è a due voci, ma la sola voce che si percepisce non è quella di Violet, seppur effettivamente sia lei a rimanere alla fine come unica narratrice. Finch sbuca ovunque, si impone con la sua stravaganza, con ironia e con tenerezza. Finch è l’equilibrista, il “fenomeno” che cammina sempre sul filo e che in qualsiasi momento potrebbe saltare. Si percepisce la cura e l’attenzione messa nel delinearne il carattere: emblematico il parallelismo tra il nome Finch, “fringuello”, e il cardinale rosso della storia, con la condizione del quale il protagonista si identifica.

Questa stessa cura, però, io non l’ho riscontrata da parte dell’editore. Se io fossi Jennifer Niven, e avessi modo di vedere la traduzione italiana della mia opera, mi arrabbierei un bel po’. Ma come, io mi scervello per creare un personaggio al quale il lettore riesce ad affezionarsi, invento una storia che funziona e che coinvolge e tu, editore dei miei stivali, mi riempi le pagine di refusi? Meno male che c’è Finch che richiama l’attenzione su di sé e riesce a far sorvolare su errori non suoi.

Dicevamo? Ah sì, della sfida tra me e Jennifer.

Quando cominci a leggere, quel senso di catastrofe imminente si avverte subito, pende sopra le teste dei protagonisti come un rametto di vischio a Natale. Leggi e ti dici, dai Jen, non puoi farlo sul serio. C’è un concentrato di sfiga fin dalle prime pagine da bastare per tutto il libro. Non può essere così, Jen. Non puoi farlo.

Jennifer Niven va dritta al punto, non indora la pillola a noi inguaribili romantici, perché la vita, la vita reale intendo, non fa sconti a nessuno. Ci illudiamo sempre che l’amore sia la panacea di tutti i mali, che basti da solo a risolvere tutto il resto, mentre invece è solo un momento, un giorno o un luogo, appunto, più o meno lungo, più o meno incantevole, che rende più sopportabile il viaggio. L’importante, come afferma Finch, è saper approfittare di quei momenti di felicità ora, adesso, subito: “Dipende, tutto è relativo. Io non direi che è per forza tardi. Anzi, è presto. Siamo agli albori della nostra vita. Agli albori della notte. Agli albori del nuovo anno. Se ci fai caso, ti accorgi che sono più le volte che è presto di quelle in cui è tardi.”

Raccontami di un giorno perfetto (uscito in Italia a marzo di quest’anno e presto sul grande schermo), è una storia che nella sua ovvietà riesce a rendersi verosimile e non banale, è un invito a considerare con sensibilità e solidarietà coloro che percepiamo come diversi. È l’auspicio che esistano giorni perfetti, è la speranza che esistano posti luminosi, dove ciascuno di noi possa sentirsi a casa, anche se per poco.

Raccontami di un giorno perfetto, Jennifer Niven (trad. Simona Mambrini, DeA, 2015)
In originale: All the Bright Places (Knopf, 2015)

Questo articolo è già apparso su blog.pianetadonna.it il 20 novembre 2015. Se ti è piaciuto, clicca “Recommend” qui sotto! E ricordati di seguire The Book Girls, la casa della Young Adult su Medium.

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