Rifugiati mediorientali, creature robotiche e crescere maschi

Un novello Vonnegut racconta la storia dei nostri ragazzi

Marco Locatelli
The Book Girls
Published in
4 min readJan 12, 2016

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Lo so, lo so: definire un qualsiasi autore “erede di Kurt Vonnegut” è un azzardo. E io, che poco ho letto di Vonnegut (se Dio vuole recupererò nel 2016), e che raramente dono epiteti simili ad autori e scrittori, non ho mai nemmeno sentito il bisogno di trovare un suo erede.
Ma poco dopo aver iniziato a leggere The Alex Crow, ultimo romanzo YA di Andrew Smith, quelle parole già risuonavano nella mia testa. Vonnegut. Eredità. Vonnegut. Eredità. Vonnegut.

La premessa di The Alex Crow è riassumibile in poche parole (un ragazzo straniero viene mandato in un campo estivo a divertirsi), ma la sua realtà è incredibilmente sfaccettata e ricca di sfumature.
Per cominciare, appunto, c’è Ariel, narratore principale (ma non unico) del romanzo: è un adolescente sopravvissuto allo sterminio della sua città natia, in uno stato mediorientale non precisato. Soccorso da alcuni soldati americani, viene mandato negli Stati Uniti, dove conosce la sua famiglia adottiva. Parliamo della tipica famiglia americana, composta da un padre benevolo, una madre gentile e un figlio che farà non poca fatica ad accettare il nuovo arrivato come suo fratello.

Una parte della narrazione va dallo sterminio del paese originario di Ariel all’arrivo nella famiglia americana, seguendo le sue peripezie in una terra macchiata dagli orrori della guerra, mentre un altro filone segue gli eventi nel presente: Ariel e suo fratello vengono mandati in un campo estivo il cui obiettivo è quello di “far riscoprire la bellezza dell’essere maschi” (sì, è inquietante quanto sembra).
In questo posto assurdo, popolato da adolescenti dipendenti dalla tecnologia e adulti eticamente ambigui, Ariel e Max non solo saranno i protagonisti di avventure bizzarre, ma scopriranno di più sul loro passato e sulla loro natura.

Contemporaneamente (pensavate che fosse finita?), viene raccontata una spedizione al Polo Nord nel 1800 e la corsa contro il tempo di uno schizofrenico che pianifica una strage. Oh, e come dice la sinossi ufficiale, there’s also a depressed bionic reincarnated crow.

Il pregio principale di The Alex Crow è la sua versatilità. Se c’è un motivo per cui lodo Andrew Smith, è il suo essere eclettico. Al di là della natura palesemente frammentata del romanzo, dati i diversi punti di vista e filoni narrativi, Smith riesce a raccontare non solo quattro storie separate, ma a farlo in modo sempre diverso, senza mai stancare e tenendo il lettore sveglio e attento.
I punti di vista sono a volte contraddittori e allo stesso tempo aggiungono qualcosa gli uni agli altri. Le tre voci impiegate nella narrazione sono uniche e brillanti, così come i personaggi secondari, caratterizzati tutti nel minimo dettaglio (i compagni di chalet di Ariel e Max vi faranno schiantare dalle risate, con le loro dipendenze e i loro comportamenti al limite dell’ossessivo).
Brillante è la rappresentazione dell’adolescenza maschile, sì esagerata e a tratti allegorica, ma perfetta nei suoi simbolismi: i ragazzi presenti nel libro sono scalmanati o depressi, curiosi o totalmente distaccati dal mondo. Spesso, fissati con la masturbazione. Mai mi era capitato di leggere di ragazzi maschi (perché di maschi si parla) in maniera così colorata e personale, così vivida. Come scrissi nella mia recensione su goodreads, leggere The Alex Crow è esattamente come tornare adolescenti e farsi una canna al campo estivo.

In che modo mi ha ricordato Vonnegut? Nel suo essere delirante, ovviamente, ma anche nell’accuratezza dei parallelismi con la società odierna (americana nello specifico, occidentale in generale).
La violenza, ben presente per tutto il romanzo, viene utilizzata come mezzo per veicolare non messaggi, ma riflessioni — siano esse satiriche o di natura filosofica.
E nonostante questa vena Vonnegutiana, che ho apprezzato per tutta la durata del romanzo, Smith riesce a tessere una narrazione originale, priva di forti richiami o elementi già visti: ogni elemento pare calcolato, ma con occhio vispo e non manipolatore. Ogni singola frase, ogni momento, ha una sua necessità e un suo scopo.

“People naturally believe things they see. Nobody argues with the irrefutable postings on YouTube.”

The Alex Crow, è chiaro, non è un libro per tutti. Non è adatto a coloro che cercano l’immediata soddisfazione della narrativa, o a quelli che storcono il naso alla prima menzione bizzarra; è un romanzo coerente e coeso, ma a modo suo — e ci mette un po’ a ingranare, specie se non si è di scuola Vonnegutiana e non si è pronti ad accettare qualsiasi cosa.
Ma per i lettori più curiosi ed esigenti, quelli che non si fermano all’apparenza e vogliono indagare, quelli che compiono quell’enorme atto che è fidarsi dell’autore, The Alex Crow sarà una bellissima esperienza: un libro del genere, privo di sensazionalismi e trucchetti da quattro soldi, dice molto della realtà in cui viviamo.
È una dichiarazione d’amore alla vita, quella vera, quella umana, e un enorme punto di domanda nei confronti della mortalità. Ma è anche, a modo suo, una strana dichiarazione di guerra ai conflitti, e un inno all’autointrospezione e ricerca.

Insomma: è la lettura perfetta per chi ha un palato allenato e da uno YA (come da un qualsiasi libro) cerca qualcosa di più. Ma è anche ottimo per chi semplicemente si sente incuriosito, e vuole leggere qualcosa di diverso.
Fidatevi di me, questa volta: non avete ancora letto nulla di simile.

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Marco Locatelli
The Book Girls

26 anni, lettore compulsivo, amante del cibo cinese, procrastinatore professionista. Parlo di libri su Youtube e faccio maratone. Su Netflix.