Scrivimi ancora, Simon
C’era un periodo, non tanto tempo fa, in cui credevo che un libro dovesse essere complesso per essere bello. Non necessariamente difficile da leggere, ma ricco di dettagli e livelli di interpretazione, da leggere tutto d’un fiato e poi rileggere a bocconi per assicurarsi di non aver perso pezzi per strada.
Oggi, qui lo dichiaro ufficialmente, ho capito che certi libri hanno solo bisogno di essere giusti, ed è proprio questo il modo in cui definirei Non so chi sei, ma io sono qui di Becky Albertalli: un libro giusto, che non mira a essere più di ciò che è e che allo stesso tempo si rivela un’esperienza più grande di quanto ci si aspetti.
La storia si apre con Simon Spier, un liceale americano con un segreto: è omosessuale. Non lo sanno i suoi genitori, due adulti irriverenti e moderni che sicuramente non si farebbero sconvolgere dalla notizia, né il suo trio di migliori amici, Abby, Leah e Nick.
L’unica persona a conoscenza di questo fatto è Blue, un ragazzo con cui Simon ha cominciato una corrispondenza anonima online: anche lui frequenta la sua stessa scuola superiore e anche lui è gay.
Tra un’email e l’altra i due ragazzi iniziano a contare l’uno sull’altro fino a quando l’amicizia diventa qualcosa di più: nasce in Simon il desiderio di vedere Blue, di conoscerlo, e perché no, di baciarlo, anche se non sa ancora che faccia abbia.
E come se la questione non fosse già abbastanza complicata, si intromette Martin, un compagno di scuola che inizia a ricattare Simon dopo aver letto gli scambi di mail tra i due.
Io ricordo la vita prima di Simon.
Ricordo di quando si doveva scavare per trovare storie di ragazzi gay, storie che avevo bisogno di vivere per conoscere e comprendere una parte di me. Ricordo di quanto fosse difficile incontrare, nella letteratura o nel cinema o nelle serie tv, degli adolescenti gay che non fossero dipinti come stereotipi, deliberatamente promiscui o addirittura destinati già dalle prime comparse a morire tragicamente. Suicidi, omicidi, triste sesso non protetto, autolesionismo, tragedie: se cresci cercando dei personaggi gay nei libri o in tv e nessuno tra quelli che incontri sembra meritarsi un lieto fine, allora si insinua in te l’idea malsana che forse, forse anche tu che sei gay meriti l’infelicità. È un’idea difficile da sradicare e facilissima da innestare, supportata tacitamente da una società che vede il diverso come accessorio quando non lo vede come nemico. Ed è un’idea con cui molte giovani persone LGBTQ+ entrano in contatto.
Quando iniziai a leggere questo libro due anni fa, forse troppo abituato a quel tipo di narrativa, rimasi un po’ infastidito dalla leggerezza con cui veniva trattato il tema dell’omosessualità nei primissimi capitoli. Credevo ci volesse una sensibilità particolare, una dedizione e un’amore per la profondità con cui si sviscerano tematiche importanti per parlare di un adolescente gay, forse proprio perché io stesso ho passato gran parte della mia vita a fare a pugni col mio orientamento sessuale: due anni fa non riuscivo ad accettare che una cosa da me così sofferta potesse essere raccontata con una certa vivacità di fondo, in maniera colloquiale e con grazia.
La stessa leggerezza si riflette anche nel modo in cui è scritto il romanzo: la prosa è essenziale, dritta al punto, fresca e non calcolata, lontana da quella che preferisco solitamente. In questo il libro non eccelle, e probabilmente potrebbe fare compagnia a quelle numerose storie che solo qualche anno fa definivo troppo superficiali, prive di complessità e leggere.
Ma oggi sono contento di dire che qualche anno fa mi sbagliavo.
Mai come ora i ragazzi meritano e hanno bisogno di storie appassionanti, positive e soprattutto leggere, in grado di accogliere un ampio pubblico di persone e di dare l’occasione ai giovani di vedersi e ritrovarsi all’interno della letteratura grazie a modelli di tutto rispetto, senza una morale finale o una lezione da apprendere.
In questo, il lavoro di Becky Albertalli è ancora più rivoluzionario di quanto non sembri: Non so chi sei ma io sono qui avrà il potere, negli anni a venire, di regalare un sorriso e un po’ di coraggio a giovani ragazzi queer, di aiutare qualche genitore a comprendere le difficoltà del coming out o, semplicemente, di garantire una piacevole esperienza di lettura a tutti quelli che ne cercano una.
Se è vero che le storie che consumiamo ci influenzano e ci formano, allora questo romanzo potrà davvero rendere il mondo un posto migliore. Io me lo immagino già: grande, colorato, privo di stereotipi e pieno di accettazione, amore, tenerezza e sensibilità.
Abbiamo ancora tanti passi da fare come società; per i giovanissimi queer nel 2018 (e soprattutto quelli che verranno) Non so chi sei, ma io sono qui è sicuramente un piccolo passo, ma nella direzione giusta.
Ed è la direzione in cui voglio continuare a camminare.