Tra i fantasmi della rivoluzione

Viaggio a Santa Clara sulle orme del Che

Elisa Tasca
The Catcher
8 min readOct 30, 2017

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Una via di Santa Clara (tutte le fotografie sono dell’autrice)

Il bar del Teatro La Caridad è un posto come un altro. Ma è l’unico caffè non troppo affollato in cui si può prendere posto e ripararsi dai 38 gradi esterni che, insieme all’ 80% di umidità, fanno della città un bagno turco a cielo aperto. Tra le consumazioni, cervezas y refrescos nacionales (birre e bibite nazionali), perché la Coca Cola qui si trova raramente. Sono a Santa Clara, cuore della rivoluzione cubana.

Le ventole sul soffitto non bastano per rendere l’aria respirabile, allora mi armo del ventaglio che uso anche per scacciare la miriade di mosche onnipresenti nei locali dell’isola. Non posso però non notare gli occhi fissi su di me del ragazzo seduto al tavolo accanto. Si alza, indica la sedia libera vicino a me, chiede se può accomodarsi. Si chiama Yaral, ha ventinove anni ed è di Santa Clara.

Mi racconta che faceva il massaggiatore negli hotel e nelle spa. “Non ho mai avuto un posto fisso. Lavoravo a chiamata. Un po’ di qua, un po’ di là. Per un periodo mi sono spostato anche all’Avana ma non è durato molto”. Ora Yaral è tornato a casa. Non ha un lavoro e vive con la sua famiglia.

Gli chiedo se ha mai provato a trasferirsi all’estero. Abbassa gli occhi, accenna un sorriso e sospira. Mi racconta che in realtà uscire da Cuba non è così semplice. “Quattro anni fa ho conosciuto una ragazza svizzera. Era venuta qui in vacanza con le amiche. Ci siamo innamorati ma la distanza era troppa. Siamo stati insieme tre anni ma alla fine era insostenibile. Ho fatto richiesta più e più volte per raggiungerla in Svizzera, ma il governo me l’ha sempre negata”. Dopo una breve pausa continua: “Esistono tre modi per andarsene. Il primo è se hai un contratto di lavoro all’estero. Il secondo è se ti sposi con qualcuno che non sia cittadino cubano. Il terzo è tramite una carta de invitaciòn (una lettera d’invito) di un familiare che vive all’estero e che ti invita da lui. È valida sei mesi, e si può estendere di altri sei. Se sei fortunato e trovi un lavoro puoi rimanere lì. Sennò, back home”.

Quando scopre che sono italiana mi sorride. “Che bella è l’Italia, mi piacerebbe moltissimo visitarla”. E alla fine mi invita a ballare. “Ti insegno io a ballare la salsa. Non puoi venire a Cuba e non provarci”.

Il bar dà direttamente sulla piazza principale della città. Quando esco mi accorgo subito che Santa Clara è una città che guarda al futuro ma vive nel passato. Negozi di souvenir, agenzie turistiche, botteghe di rum e tabacco pregiati, una via dello shopping, per così dire, soprannominata Boulevard dagli autoctoni. Ma accanto all’apparente modernità e a una timida eleganza sopravvivono fatiscenza e povertà: bar con ben poco da offrire e con condizioni igieniche precarie, supermercati semivuoti, palazzi diroccati, negozi abbandonati, abitazioni microscopiche.

Il Boulevard di Santa Clara

La piazza, chiamata Parque Vidal, è il punto di ritrovo in città. Ad ogni ora del giorno, anziani signori con indosso la camicia guayabera chiacchierano e fumano puros (i sigari) sulle panchine all’ombra. Giovani e meno giovani suonano, cantano, ballano a ritmo di reggaetón, che se per voi è trash per loro è arte. Poi in molti, anzi moltissimi, si fermano nelle vicinanze del parco, l’unico luogo che dispone di wifi. Spesso smanettano a lungo con il telefono per chiamare e videochiamare amici e parenti, cercando di ridurre le distanze con paesi anche non troppo lontani, a cui loro però non hanno accesso. Nel frattempo, un anziano del posto intrattiene i più piccoli ogni giorno, facendoli salire a bordo di un piccolo carretto trainato da una capra che fa il giro della piazza, fino a quando non si stanca.

Il taxi per i più piccoli

Guardandosi attorno è facile incrociare lo sguardo con delle persone in coda. Le possibilità sono tre: la prima è che la fila sia per comprare un gelato dalla catena Coppelia, la più famosa e prestigiosa dell’isola. La seconda è che la gente sia in coda per prelevare, soprattutto la mattina presto o il venerdì.

L’ultima, quella più frequente, è la coda presso gli uffici ETECSA (Empresa de Telecomunicaciones de Cuba S.A.), dove è possibile acquistare una tessera per navigare in Internet al folle prezzo di 4 CUC per un’ora (circa 3,35 euro).

Parque Vidal

Ed è proprio al parco che incontro Raúl. Ha 24 anni, studia informatica all’Università di Santa Clara e gioca a baseball. Mi dice di non avere grandi prospettive qui, ma è legato alla sua città e non vuole andarsene. Del resto Santa Clara è un simbolo per l’intera isola e per la storia della rivoluzione. Mi indica il lato occidentale della piazza, dove si erge un edificio altissimo color verde acqua, perfettamente abbinato con le vecchie Cadillac che sfrecciano per le vie della città. “Lo vedi quel palazzo? Quello è l’hotel Santa Clara Libre. Se guardi bene la facciata è bucherellata. Sono i fori dei proiettili sparati durante la battaglia che ha liberato la città. Sicuramente uno sarà del Che”.

L’hotel Santa Clara Libre

Mi spiega che Santa Clara fu la prima tra i principali centri urbani dell’isola ad essere liberata dalla dittatura di Fulgencio Batista nel dicembre 1958. Fu proprio in quell’anno che Fidel Castro decise di dare una scossa decisiva alla rivoluzione spostando la battaglia armata dalle campagne alla città, schierando l’esercito su due fronti. Uno di questi era diretto alla città di Santa Clara ed era guidato dal giovane Guevara.

L’esercito governativo, più numeroso e decisamente meglio armato, era già pronto all’attacco, ma Batista commise un errore strategico. Per rinforzare le sue truppe, inviò un treno carico di armi e munizioni. Il Che, messo al corrente del fatto, ordinò ad un plotone rivoluzionario di sganciare alcune bombe a mano verso il mezzo, dirottandolo verso il centro città. Qui Guevara si impossessò personalmente delle ruspe, che si trovavano nella facoltà di agraria, e sollevò le rotaie, costringendo il convoglio a fermarsi. L’intero armamento venne sequestrato, gli ufficiali vennero arrestati mentre i soldati semplici passarono alle file ribelli.

“La rivoluzione è” e Fidel Castro

La città venne quindi conquistata dai rivoluzionari, che in breve occuparono anche gli edifici governativi: le forze anti castriste proclamarono la resa alle ore 12 del 1 gennaio 1959. Santa Clara era finalmente libera e aveva consacrato un nuovo eroe della rivoluzione: Ernesto Che Guevara.

Non è un caso quindi che le spoglie del Che si trovino in questa città, situata esattamente nel cuore dell’isola. “El Conjunto Escultorico Comandante Ernesto Che Guevara si trova a 2km da qui. Il modo migliore per arrivarci è a cavallo o con un taxi. Vale la pena vederlo”. Raúl aveva proprio ragione. Una volta arrivati ci si trova davanti a un complesso monumentale imponente, in pieno stile sovietico, sul quale si erge la statua bronzea del guerrigliero argentino. Sulla facciata principale si può leggere la versione integrale della lettera di addio di Guevara a Fidel, mentre su quella posteriore sono segnate le tappe della rivoluzione. Ed è proprio sotto alla statua del Che, accanto a un museo a lui dedicato, che si trova il mausoleo. Un luogo intimo dove riposano le spoglie dei 17 guerriglieri, compreso Guevara, caduti durante la fallita rivoluzione boliviana. Accanto alle nicchie brucia la fiamma eterna, accesa da Fidel il 17 ottobre 1997.

Conjunto Escultorico Comandante Ernesto Che Guevara

Ma il percorso sulle orme del Che non si ferma qui. Nel lato opposto della città, verso il Monumento a la toma del Tren Blindado (il museo sorge nel punto esatto in cui deragliò il treno), c’è un piccolo locale, il Cafe-Museo Revolución, che vanta reperti dell’epoca, foto inedite di Guevara e una vera e propria atmosfera rivoluzionaria. Qui, con un’offerta libera, si può acquistare un quotidiano. La scelta spazia da giornali locali all’unico giornale nazionale, il Granma, nonché il giornale del partito. Io ho scelto quello. Era il 9 agosto e si parlava anche dell’Italia.

Café-Museo Revolución

Santa Clara, come l’Avana, è la città delle mille contraddizioni. Parlando con la gente e incrociandola lungo le vie si percepisce una rassegnazione di fondo. Se per alcuni è una condizione naturale, altri invece ne sono pienamente coscienti e, pur non accettandola, hanno imparato a conviverci. Tra questi c’è Roberto, un insegnante di informatica presso l’Università di Trinidad. L’ho conosciuto durante il mio viaggio lungo la parte orientale dell’isola. “Molti ragazzi oggi decidono di non frequentare l’università perché hanno poche prospettive. Alcuni cercano lavoro anche se faticano a trovarlo, molti altri invece non fanno nulla, stanno a casa, escono con gli amici”. E continua: “Con l’aumento del turismo, molte famiglie affittano alcune stanze nelle loro case ai viaggiatori (casas particulares). Sono delle entrate importanti per noi, per riuscire a vivere degnamente visto che il nostro stipendio, spesso, non basta”.

È innegabile che personaggi come Ernesto Che Guevara, Camilo Cienfuegos, Fidel Castro rimarranno impressi nella memoria storica del paese e verranno ricordati come gli eroi della rivoluzione. Ma se da un lato Cuba è stata liberata da un regime di oppressione, dall’altro l’egualitarismo socialista ha contribuito a generare non poche disuguaglianze. Tuttavia, per capire lo spirito cubano è necessario immergersi totalmente nella cultura locale, abbandonando ogni sorta di pregiudizio, estraniandoci per un po’ dal mondo dal quale proveniamo. Altrimenti rischiamo di non capire l’essenza, la ricchezza di un paese meraviglioso. Di un paese in cui, nonostante le privazioni e le ristrettezze, cui è costretta la maggioranza della popolazione, molti sembrano vivere serenamente. Di un paese che crede fermamente nei valori di condivisione e solidarietà, capisaldi della sua cultura.

“Le cose che ci rendono felici, oltre alla famiglia, sono la musica e il ballo. Per questo devi imparare a ballare la salsa” mi ha detto Roberto prima che ci salutassimo.

E a proposito di musica, con lo sguardo rivolto verso il futuro ma una mano ancora tesa verso il passato, Santa Clara ti accoglie e ti congeda sempre sulle note di Hasta siempre, comandante, che risuonano nei locali e nei vicoli della città. Una canzone composta dal cantautore cubano Carlos Puebla, come risposta alla lettera di addio che il Che scrisse a Fidel prima di lasciare definitivamente Cuba.

Tu mano gloriosa y fuerte
Sobre la historia dispara
Cuando todo Santa Clara
Se despierta para verte.
Aquí se queda la clara,
La entrañable transparencia,
De tu querida presencia
Comandante Che Guevara

Famosa soprattutto per l’interpretazione di Compay Segundo, il testo cita Santa Clara, che deve molto al suo eroe della rivoluzione, il cui motto risuona ancora nella mente dei cubani, come un’eco infinito: Hasta la Victoria sempre, patria o muerte!

Alla fine non ho imparato a ballare la salsa. Ma ho comprato le maracas per suonare sulle note di Compay Segundo. O magari su quelle di Daddy Yankee.

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