The brain is deeper than the sea

Un magazine sull’orlo

Martino Gozzi
The Catcher
3 min readJan 28, 2017

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The Catcher in the Rye (elaborazione grafica a partire dall’illustrazione di Levente Szabo).

Nel 1961, quando Einaudi diede alle stampe Il giovane Holden di J.D. Salinger, qualcuno in casa editrice sentì il bisogno di rendere note le ragioni di un titolo così lontano dall’originale, The Catcher in the Rye.
Finezze d’altri tempi.

Secondo la leggenda, fu Italo Calvino a prendersi la briga di spiegare ai lettori perché il titolo dell’edizione americana era intraducibile in italiano. Il titolo — si legge nella nota non firmata — allude al verso di una canzone scozzese di Robert Burns che Holden Caulfield, protagonista del romanzo, sente canticchiare per strada e ricorda con qualche storpiatura:

L’immagine che questo verso storpiato gli chiama alla mente è quella di una frotta di bambini che giocano in un campo di segale, sull’orlo di un dirupo; quando un bambino sta per cascare nel dirupo c’è qualcuno che lo acchiappa al volo: the catcher in the rye, che potremmo tradurre: l’acchiappatore nella segale, il coglitore nella segale, il pescatore nella segale.

Titoli improbabili, in effetti. Ma non è tutto:

Un titolo come The Catcher in the Rye non evoca solo idilliche immagini agresti all’orecchio dei lettori americani, per i quali sia la parola catcher che la parola rye sono molto familiari con un significato del tutto moderno. Catcher è chiamato uno dei giocatori della squadra di baseball, il “prenditore”, cioè colui che, munito di guantone, corazza e maschera, sta dietro il batsman (battitore) per cercare di afferrare la palla lanciata dal pitcher (lanciatore) se il battitore non la respinge con la sua mazza.

Ecco. Dalla prima pubblicazione in Italia del romanzo di Salinger sono passati più di cinquant’anni, e in questo mezzo secolo il catcher è divenuto familiare anche a noi. (Per tutti coloro che attivamente si disinteressano di sport: il catcher è quel personaggio buffo, travestito da scarafaggio, che avrete visto almeno in una dozzina di film, accovacciato davanti all’arbitro e dietro al battitore, appunto). È per questo che abbiamo scelto proprio lui, il catcher, per la testata del nostro primo magazine online: perché qui, in questo spazio, vorremmo acchiappare — e quindi fermare, fissare, esplodere — tutto ciò che passa dalla Scuola Holden, il flusso incessante di energie e idee e storie che la rende un formidabile acceleratore di esperienze.

Se vi ricordate, a un certo punto del romanzo, Holden racconta che Allie, il suo fratellino morto di leucemia nel 1946, possedeva un guantone da catcher. Un guantone sinistro, perché era mancino. E su quel guantone aveva trascritto, in inchiostro verde, una serie di poesie: sulle dita, sul palmo, dappertutto. Evidentemente, anche lui aveva un talento per acchiappare le cose. E voleva avere qualcosa da leggere, quando stava ad aspettare e nessuno batteva.

Ecco, allora. In inchiostro verde, la prima annotazione che fissiamo qui.
È una poesia. (Poi arriveranno i video, le interviste, i podcast, le playlist, le infografiche, le anticipazioni, le gif e tutto il resto, promesso.)
Si tratta, per la precisione, di una strofa di Emily Dickinson. Anche lei, a modo suo, affezionata a quest’arte di acchiappare le idee, e tenerle strette:

The brain is deeper than the sea,
For, hold them, blue to blue,
The one the other will absorb,
As sponges, buckets do.

via Emily Dickinson Archive.

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