Intervista itinerante a Burhan Ozbilici

Il vincitore del World Press Photo 2017 si racconta fra le vie di Torino

Giovanni Barbato
The Catcher
10 min readNov 21, 2017

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Il richiamo dei giornali (foto di Giovanni Barbato)

Do your work.

In una semplice frase ci sono l’uomo, il giornalista e il fotografo.
Ma che nessuno parli di eroi. “Ho soltanto fatto il mio lavoro”, ripete Burhan Ozbilici, vincitore del World Press Photo 2017 e ospite all’inaugurazione dell’omonima mostra che fa tappa a Torino. Un passato da scrittore, quasi quarant’anni come fotografo per la Associated Press, Ozbilici ha raggiunto improvvisamente la fama mondiale (e ricevuto il prestigioso riconoscimento) grazie agli scatti che immortalano l’assassinio dell’ambasciatore russo Andrej Karlov, per mano dell’attentatore Mevlut Mert Altintas, avvenuto il 19 dicembre dello scorso anno all’interno di una galleria d’arte ad Ankara.

Questa foto (via)

L’appuntamento è per le 10.30 davanti al Mastio della Cittadella, luogo recentemente riaperto al pubblico situato nel pieno centro di Torino. Quando arrivo, Ozbilici è già davanti all’ingresso ad attendermi. Conversa con alcuni responsabili della mostra World Press Photo. Mi avvicino e mi presento.
È socievole, cordiale e sorridente nonostante le poche ore di sonno e il continuo sballottamento da una città all’altra. Naturalmente ha la macchina fotografica in mano. Ogni occasione è buona per alzarla e catturare uno sguardo, uno scorcio, un paesaggio.
Ho la possibilità di trascorrere una giornata con lui. Gli spiego il piano, che in fondo si basa su due semplici regole:

  1. Passeggeremo per la città fino a che ne avremo voglia;
  2. Gli consegnerò una macchina fotografica a rullino con la quale potrà scattare tutte le foto che si sentirà di fare.

Lui accetta, sembra divertito e incuriosito. Quando arriva Alessandra, la responsabile stampa, siamo pronti per partire.

Il video della passeggiata

Mastio della Cittadella — Piazza della Repubblica

Stiamo attraversando le strisce pedonali su via Cernaia. Ho visto che ha girato diverse città d’Italia per inaugurare la mostra World Press e gli chiedo un parere sul nostro Paese.

Sin dalla mia infanzia ho sempre avuto un grande rispetto per l’Italia. È il paese della cultura. Arte nel mondo significa soprattutto Italia. E l’arte è un valore così come la letteratura: sono fondamentali perché tramite loro tutti noi diventiamo più umani, possiamo comprendere meglio gli altri. E l’Italia in questi campi è estremamente ricca.

Ozbilici ha una vera e propria ammirazione per la nostra penisola che deriva anche dalle molte amicizie strette in zone di guerra con giornalisti e fotografi italiani. Mentre schiviamo pali, passeggini e automobili che ingombrano quasi per intero la strada gli chiedo come si senta a esser diventato una sorta di celebrità a livello mondiale. La risposta è immediata:

In realtà non amo essere famoso. Dovremmo stare attenti alla celebrità: ti taglia fuori dalla normale vita quotidiana allontanandoti dalla gente. Ho sempre avuto una vita abbastanza modesta e sono sempre stato orgoglioso della mia personalità, dei miei valori. Quelli che mio padre mi ha insegnato. Il lato positivo è che adesso le persone prestano più attenzione al mio lavoro.

Caldarroste fotografiche (foto di Giovanni Barbato)

Non vorrei parlare della storia dietro la foto vincitrice, poiché cercando sul web si trovano decine e decine di interviste in cui spiega ogni singolo dettaglio di quella giornata e di quei momenti. Ma cos’ha di davvero speciale quello scatto? Oltre il coraggio del fotografo che l’ha scattata, qual è il messaggio che quell’immagine vuole consegnare al mondo? È uno scatto sensazionalistico, che alimenta la propaganda terroristica, come è stato interpretato dai commentatori più severi?

Sono critiche totalmente ingiuste e permettimi di dire anche stupide: ero di fronte a un uomo armato e sarebbe potuto succedere di tutto. Io, come giornalista, avevo una sola scelta: rimanere e fare il mio lavoro. Non sono contro le critiche ovviamente, ma devono essere oneste e giuste. Primo: un giornalista ha rischiato la propria vita per catturare la verità. Era Storia, era un grande evento, ho pensato che potesse essere l’inizio di una terza guerra mondiale. Secondo: non era solo coraggio. Ho usato cervello e cuore per calcolare ogni possibilità.

Si vede che l’argomento gli sta a cuore e dopo qualche secondo di pausa, mentre ci avviciniamo verso il mercato di Porta Palazzo, riprende il discorso.

Capisco che una foto possa essere disturbante. A volte deve esserlo, altrimenti le persone non capirebbero che cosa sta succedendo nel mondo. Lasciamo che esistano delle foto così. La gente muore, la natura viene distrutta, la cultura sgretolata sotto il peso delle bombe, cerchiamo di essere più umani, più vicini alla sofferenza altrui.

Trasporti importanti (foto di Burhan Ozbilici)

Per strada il rumore si fa sempre più intenso e le persone con sacchetti e buste si moltiplicano. Il mercato non è lontano. Prima di portarlo fra il labirinto dei banchi della frutta mi rimane ancora una questione: qual è la differenza fra la sua foto e quella che qualsiasi altra persona avrebbe potuto scattare con uno smartphone?

Con gli smartphone non puoi fare smart foto! Quando sono arrivato alla conferenza ho visto molte persone con i loro telefoni…ma ancora una volta è la professionalità a fare la differenza e questa esperienza lo dimostra chiaramente.

Piazza della Repubblica — Largo IV Marzo

Nei suoi discorsi sembra esserci un leitmotiv molto forte. Un sottotesto che affiora spesso in superficie, che sostiene ogni sua singola parola: i valori. Così, mentre attraversiamo l’intricata rete di tende rosse del mercato, provo a chiedergli di più: quali dovrebbero essere i valori di un buon giornalista?

Sicuramente una buona educazione. Poi posso dire in generale valori umani, dobbiamo tornare a essere più umani. Ma più di tutti la libertà che è quella che permette a un giornalista di essere indipendente.

Si porta la mano al petto e continua:

Se sei sicuro nel tuo cuore e non hai niente di sporco nel tuo passato sei molto più forte. Questo fa di te un uomo libero, una condizione necessaria per chi vuole fare questo mestiere.

È un tema a lui molto caro e lo capisco dall’insistenza con cui riconduce la conversazione alle parole libertà e indipendenza. Il tutto diventa ancora più chiaro quando mi racconta alcune situazioni che lui stesso ha vissuto in prima persona: dai colleghi che improvvisamente si presentano al lavoro con orologi di lusso alle Mercedes che Saddam Hussein offriva ai reporter.

L’indipendenza è molto importante, noi giornalisti non dovremmo permettere mai che qualcuno ci corrompa. In molti paesi del Medio Oriente i politici fanno regali costosi per comprarti. Se tu li accetti perdi l’onore.

Interrompe spesso la conversazione per fotografare un passante, una statua o qualcuno di noi. Siamo in quattro. Con me ci sono Francesca e Isotta, due amiche che ci aiutano facendo riprese e fotografie, e Alessandra, l’addetta stampa. Tutti gli gravitiamo attorno attirando l’attenzione delle persone che ci incrociano. Lui non sembra accorgersene. Si diverte a coglierci nei momenti più disparati.

La squadra (foto di Burhan Ozbilici)

Stiamo attraversando la galleria Umberto I quando gli chiedo se abbia degli eroi ai quali si ispira e a tal proposito cerco di capire il ruolo che ha avuto il padre nella sua vita.
Mi si avvicina molto, assume un’aria decisa e, con l’orgoglio che gli gonfia il petto, mi dice che proprio il genitore è il primo modello di insegnamento. In Turchia il padre di Ozbilici è considerato a tutti gli effetti un eroe della Guerra di Indipendenza Turca. Mi racconta, con voce fiera e gesti determinati, come la giustizia e l’onestà siano stati i valori con cui suo padre ha condotto la propria vita.

Era un eroe rispettato non solo dalle persone, ma anche dai militari. Lui è sempre stato per la giustizia e soprattutto per la libertà. Quest’ultima è la cosa più grande che mio padre mi ha trasmesso. Mi ha insegnato ad usare sempre al massimo delle possibilità il mio cervello e il mio cuore non badando ai miei personali interessi. Il tuo cuore deve essere pulito e onesto nei confronti dell’interesse pubblico.

A un tratto il tono della voce si abbassa, si fa più intimo:

Ogni volta che devo affrontare delle difficoltà penso alle parole di mio padre e mi dico: no, non sono da solo. Lui è qui con me. Per esempio, il giorno dell’assassinio ho sentito dietro di me tutti i bravi giornalisti, dal Cile alla Corea del Sud, di tutto il mondo. Se loro avessero potuto vedermi, avrebbero detto: tu devi rappresentare il buon giornalismo. Non scappare, fa’ il tuo lavoro, sta’ lì, non ti preoccupare, noi siamo con te.

Guarda il cielo cercando qualcosa che io non vedo, ha gli occhi lucidi:

Con mio padre capofila, ho sentito tutti i miei amici giornalisti dietro di me, a sorreggere il peso del mio corpo. Ma c’erano anche molte altre persone: sicuramente Mustafa Kamal Ataturk, l’eroe dell’indipendenza turca e padre della Turchia moderna. Ho sentito davvero tutti, persino i miei gatti! Ho bisogno di immaginarmi tutto questo, mi aiuta. C’è sicuramente un po’ di romanticismo ma va bene, anzi, dobbiamo essere romantici.

Riporta gli occhi verso il mio sguardo e conclude:

Dobbiamo usare il potere dell’immaginazione, dobbiamo pensare in modo romantico. Ma poi, quando agiamo, dobbiamo essere realistici.

Largo IV Marzo — Piazza Castello

Ci sediamo attorno a due tavolini all’aperto per prenderci un caffè. Approfitto del momento più rilassato per chiedere dei suoi tre gatti. Avevo visto sul suo profilo Facebook alcune foto che li ritraggono in pose buffe. Gli esplode un gran sorriso sul volto e dopo qualche battuta mi racconta un episodio:

Come ogni anno ero stato invitato a festeggiare il 14 luglio presso l’ambasciata francese di Ankara. L’anno prima non ci ero andato e questa volta si erano premurati di chiamarmi per assicurarsi che non sarei mancato. Non è una cosa che ami particolarmente, ma sono quegli appuntamenti istituzionali a cui ogni tanto si è obbligati a partecipare. Pensa che c’è gente che pagherebbe per farsi invitare all’ambasciata. Insomma, era arrivato il momento di andare, ma ero sul terrazzo di casa mia, con due dei miei gatti sulle gambe. Stavano dormendo. Non potevo mica muovermi e svegliarli, ci mancherebbe. Così alla fine non sono andato alla festa.

Ride di gusto e proseguiamo la chiacchierata su questi toni. Gustiamo il caffè e prendiamo un po’ di tempo per rilassarci e distenderci. Quando arriva il momento di pagare, Ozbilici non vuole sentire storie: lui è l’ospite e lui deve offrire.

Le strade di Torino (foto di Burhan Ozbilici)

Ci alziamo e proseguiamo la nostra passeggiata verso l’ultima tappa. So che ha un passato da scrittore ed editore, ha studiato letteratura francese e in generale possiede una grande cultura umanistica. Gli chiedo se abbia qualche riferimento letterario che lo ispira e che lo stimola a vivere al meglio ogni giorno della sua vita:

La maggior parte dei miei scrittori e intellettuali preferiti sono classici, come Dante, i russi: Dostojevski, Gogol, Puskin. Ma anche molti tedeschi, turchi e iraniani. Gli iraniani sono davvero forti sulla poesia. Amo particolarmente Novalis o comunque tutti quegli scrittori che difendono i valori umani e che promuovono la speranza. Viviamo in un mondo in cui c’è bisogno di speranza, ma non come ultimo baluardo per non morire di disperazione ma come luce, come motore per cambiare le cose, per rendere questo pianeta un posto migliore.

All’opera (foto di Giovanni Barbato)

Ozbilici in quaranta anni da fotogiornalista ha seguito molti conflitti, dalla prima Guerra del Golfo alla crisi siriana. Morte, tragedia e distruzione le ha potute documentare in molte situazioni. Gli chiedo se ci sia stata qualche altra esperienza che lo abbia toccato particolarmente, oltre l’assassinio dell’ambasciatore russo:

Ovviamente l’attentato a cui ho assistito in prima persona è sicuramente l’esperienza più forte in assoluto. Ma, in generale, ogni tragedia mi ha sempre colpito. Mi sono sempre sentito coinvolto umanamente in ogni vicenda che ho documentato. Quando ho potuto ho sempre cercato di dare una mano, fornire qualche aiuto: trasportare feriti, portare viveri.

Mentre parla mi accorgo che ha un certo riguardo anche nei confronti dell’ambiente, cita spesso le migliaia di animali uccisi, la natura devastata e la cultura materiale che crolla sotto le bombe.

Purtroppo molti giornalisti limitano il loro lavoro. L’ambiente, gli animali, la natura, sono parte della nostra vita. Ovviamente se li ignoriamo non possiamo avere una buona vita e allo stesso modo nemmeno la pace nel mondo. Cita l’esempio della Siria: era un Paese altamente civilizzato, con molta storia e molta archeologia, e ora rimane poco o nulla. Bisogna essere sensibili nei confronti dell’insieme, non soltanto verso le persone che vengono uccise, che sono importanti è evidente; tutto intorno, però, c’è un mondo, in parte costruito da noi e in parte donatoci dalla natura. È il nostro habitat: distruggendolo non facciamo che distruggere noi stessi.

Arriviamo infine in Piazza Castello, il temine della nostra passeggiata. Ozbilici si guarda attorno e mi fa domande. Racconto qualche curiosità imparata in un anno di permanenza a Torino. Lui continua a scattare molte foto. Alla fine riprendo la macchina fotografica a rullino e chiedo a un passante di scattarci una foto nel bel mezzo della piazza. Sembriamo una scolaresca alla prima gita.
Penso di doverla sviluppare e stampare il prima possibile, per farmela autografare.

Dite “cheese”

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