Le storie senza fine di Prabda Yoon

Il mondo dell’autore thailandese tra città, frustrazioni e feste in lacrime

Elisa Tasca
The Catcher
7 min readOct 17, 2018

--

(Illustrazione di Giovanni Gastaldi)

Immaginate di aver perso da poco un vostro caro amico. Non è piacevole, certo. Ma provate a farlo, per un attimo. Immaginate di farlo rivivere, un’ultima volta, nelle vostre abitudini, ripetendo qualcosa che facevate sempre insieme. Cosa fareste?

June è morta. Pare si sia ammazzata nel suo monolocale. Per Oh, Tae, Num e Atid (nome inventato) è stato un duro colpo. Spesso salutavano la loro amica dicendole “Ciao, June, adesso come minimo andrai a casa ad ammazzarti”. Lo dicevano per scherzo. Lei, alla fine, l’ha fatto veramente. La notizia li ha colti di sorpresa e non erano ancora pronti a lasciarla andare. Avrebbero gradito un minimo preavviso, almeno. Allora hanno organizzato una festa in lacrime, come quelle che facevano ogni domenica. Mangiavano peperoncini piccanti fino a piangere e si ubriacavano con cocktail creativi, che alla fine vomitavano sul tappeto verde conato del monolocale. L’idea era di June. Pare volesse imparare a piangere per divertimento. Ma quella volta, senza di lei, le loro lacrime non erano divertite.
Di questa storia non esiste un vero e proprio finale. Come non esiste una fine in Qualcosa nell’aria, dove una coppia viene interrotta, mentre fa l’amore, dal crollo di due enormi lettere rosse, di ferro, dal tetto del palazzo accanto. E nemmeno in Penna tra parentesi, la storia di un creativo che inventa campagne pubblicitarie ripescando tra i ricordi di un’infanzia trascorsa con i nonni. Nessuno dei dodici racconti di Prabda Yoon contenuti in Feste in lacrime (add editore, 2018) ha una vera e propria fine.
“Per me ogni racconto è solo un frammento di una storia molto più ampia”, dice Yoon. “Ogni racconto è solo un momento della vita. Non sappiamo come finirà la nostra esistenza. Sappiamo che moriremo, ma non quando, come, dove. Quando scrivo una storia voglio mostrare solo una parte di una situazione più ampia, non voglio svelare tutti i dettagli perché credo sia più interessante, per i lettori, avere spazio di immaginare cosa accade dopo. Mi piace il mistero, l’ignoto. Voglio lasciare il lettore con la sensazione che ci sia molto di più, o che ci sia un non detto. Così può scrivere il resto da solo”.
Prabda Yoon è nato e cresciuto a Bangkok, dove ha maturato la sua passione per la scrittura: già a 12 anni scriveva e pubblicava racconti. Per diverso tempo ha vissuto negli Stati Uniti dove ha frequentato la Cambridge School of Weston. Si è poi trasferito a New York per studiare alla Parsons School of Design e alla Cooper Union.
Yoon è un tipo strano. Parla il giusto, senza dilungarsi troppo. Per l’intervista ha scelto un tavolo rotondo sulla terrazza della Scuola Holden, con vista sulla mongolfiera del Balon, un rione multiculturale a pochi passi dal centro di Torino. Dice che gli piace viaggiare in luoghi lontani dove può alzare lo sguardo e vedere cose che solitamente non vede. Tipo la mongolfiera. È una sorta d’ispirazione.
Nella vita è scrittore, regista, editore, traduttore e grafico. Gli capita anche di scrivere canzoni. Sorge spontanea una domanda, soprattutto se, come dice lui, “I’m not a morning person”.

Come fai a fare tutto?

Faccio tutte queste cose in momenti diversi. Ad alcune do più importanza che ad altre. Per esempio, mi piace moltissimo disegnare le copertine dei libri, quindi non è un problema se per farlo rinuncio ad altro. Ma quando sto lavorando a un film devo sacrificarne molte altre. Dipende dal progetto che sto seguendo.

Semplice, no?
Subito dopo il diploma è tornato a Bangkok per la leva militare, obbligatoria per legge. Era il 1998. Da quel momento in poi è rimasto in Thailandia, dove ha continuato a scrivere e a disegnare le copertine dei libri: quelle degli altri e le sue. Ha uno stile astratto, difficile da cogliere. “Non mi piace vedere o disegnare dei volti nei quali puoi identificare i protagonisti dei libri. Mi piace interpretare la scrittura in modo astratto. E la mia interpretazione emerge dalle copertine che disegno”.
Ne ha fatte molte. Tra queste quella di จะเป็นผู้คอยรับไว้ ไม่ให้ใครร่วงหล่น, che in Italia conosciamo come Il giovane Holden.

Da sinistra: “Nine Stories” e “The Catcher in the Rye” di J. D. Salinger. A destra “Ugly Flowers” di Prabda Yoon (via)

Come ti senti a essere qui, alla Scuola Holden?

Non mi sarei mai aspettato di vedere una scuola chiamata Holden a Torino. Questa è la forza della letteratura, che viaggia ovunque. Che il libro ti piaccia o meno, penso sia incredibile che una storia possa mettere in contatto così tante persone di diverse culture. Ed è importante sapere che esiste una scuola che insegna storytelling. Perché non si tratta solo di letteratura. Lo storytelling è molte cose insieme. Io faccio film perché mi piace raccontare storie. Scrivo canzoni perché posso raccontare storie. Lo storytelling è alla base di molte delle attività che facciamo ogni giorno. Noi cerchiamo sempre di costruire delle storie.

Il giovane Holden, poi, l’ha anche tradotto. Insieme ad Arancia meccanica e a Lolita. “Nabokov è un genio. Il modo in cui scrive è così denso, il suo stile così inusuale, così atipico che nella traduzione è difficile rendere le frasi belle come lo sono nella versione originale. Tradurre Lolita è stato veramente difficile. A volte arriva a essere così doloroso che non ne posso più”.
In questo periodo Yoon si è preso una piccola pausa dalla traduzione, pur consapevole dell’importanza di far conoscere la cultura occidentale in Thailandia. L’atto di tradurre diventa allo stesso tempo una missione sociale e un’azione politica, un modo per conoscersi e capirsi, uno strumento capace di ispirare le persone e le loro azioni. Perché la traduzione non si limita alla lingua ma riporta tradizioni, modi di fare, memorie storiche: intere culture. “Molto di quello che facciamo si basa sul nostro passato”, dice Yoon. “Quindi credo che chi fa questo lavoro compie una traduzione del tempo”.
Leggere qualche storia di Yoon è un buon modo per conoscere più da vicino il mondo thailandese. Quasi tutti i libri che ha scritto sono ambientati in Thailandia, tranne il primo, Right-angled city, che ruota attorno a New York. I protagonisti spesso non sentono di appartenere alla società e al luogo in cui si trovano: per questo convivono con un continuo senso di frustrazione e di alienazione. C’è molta Bangkok nelle sue storie ma l’occhio e la penna dell’autore rimangono sulle persone. “La gente dice che le storie delle città sono storie di solitudine”, spiega. “Ma il mio interesse non sta nella solitudine, perché tutti ci sentiamo soli, spesso. Mi interessano di più le questioni legate al senso della vita, a come una persona si sente e si vede all’interno della comunità”.

Prabda Yoon (foto di Deun Chongmunkong, via)

Se fossi un protagonista dei tuoi racconti, come ti descriveresti?

Sarei un personaggio scettico, un po’ cinico. Non sarei sempre felice e contento, forse un po’ pessimista. Sarei costantemente immerso nei miei pensieri, nel farmi domande su tutto ciò che ruota attorno a me.

Yoon ha una relazione più personale che culturale con la città in cui è nato. La sua famiglia vive a Bangkok, quindi tornare in Thailandia è come tornare a casa, dai suoi genitori. Non gli manca quando viaggia, anzi. Stare lontano gli permette di trarre nuove ispirazioni. E tornare è un po’ come andare in ufficio, non è qualcosa che ama particolarmente. Lo fa e basta.
Ma ne parla e ne scrive. Ora in particolare affronta anche temi politici, perché le conseguenze della dittatura militare riguardano l’intera società e sono impossibili da ignorare. In Sonno Vigile, un racconto contenuto in Feste in Lacrime, Natee è ossessionato dal perdere i bottoni del suo pigiama e questo lo trascina in curiosi viaggi mentali sui sogni e sulla qualità dei pigiami rossi e gialli. Questo gioco di colori è un’allegoria della politica thailandese, divisa tra le camicie rosse (del Fronte Unito per la Democrazia contro la Dittatura) e le camicie gialle (del movimento monarchico-nazionalista).

Hai mai avuto problemi con le autorità?

Non ho mai ricevuto minacce dirette, ma alcune persone mi vedono come una figura troppo liberale, troppo progressista. E i liberali in Thailandia sono una minoranza. Tutti gli altri sostengono il regime. Io vengo visto come una persona influenzata dalle idee occidentali che non rispetta i valori tradizionali della propria cultura. Probabilmente non piaccio a molte persone. Per questo bisogna prestare attenzione a quello che si scrive. Se si criticano l’esercito, la famiglia reale o la religione si può finire in guai seri. È pur vero che i militari thailandesi non leggono molto.

Anche se dice di essere nel mezzo di una crisi esistenziale, Yoon parla già dei progetti futuri: vorrebbe lavorare a un nuovo film e per ora sta pensando di iniziare la sceneggiatura. Quel che è certo è che sta scrivendo un nuovo libro sulle città: come funzionano, come convivono le persone, le influenze culturali e politiche delle metropoli, il loro ruolo nella questione dei cambiamenti climatici. Forse uscirà il prossimo anno.

Ti piace la copertina italiana di Feste in lacrime?

Mi piace molto. È l’unica copertina che rappresenta Bangkok, le sue luci, le sue strade.

Come si dice buona lettura in thailandese?

E come si scrive?

Così.

“Buona lettura”

--

--