La matura non fa paura

Cronaca di un’ex maturanda che è diventata prof

Paola Di Giovanni
The Catcher
4 min readJun 27, 2017

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Giorgio Caproni reloaded (Elaborazione grafica The Catcher)

L’ultima volta che ho fatto la maturità è stato dieci anni fa.
L’ultima volta che ho rifatto la maturità è stato una settimana fa.

La sera prima, per una strana coincidenza, mia madre cucinava tra i fornelli della mia casa torinese e mio padre guardava la TV, io sfogliavo il Baldi: un perfetto déjà-vu.

Aspetta, tu saresti…?

Sono una maturanda datata, almeno così mi sento, ma la mia aria da studentessa navigata non convince la presidente, che gelida mi accoglie chiedendomi se ho mai insegnato. Ho gli occhi di tutti questi Gollum dei privilegi statali puntati addosso.

Ecco che entra il professore di Storia dell’Arte. Sospiro di sollievo, non sono più oggetto di attenzioni. Questo sessantenne dalle punte dei capelli ossigenate si presenta come Omega e mi stringe la mano chiamandomi Alfa.

La burocrazia è dalla mia, inizia a fagocitare tutti i minuti da qui all'inizio della prova: firme di qua, firme di là, controllo dei vocabolari della fila di sinistra e poi di quella di destra.

Arrivano le tracce, la presidente le legge e al nome di Caproni i ragazzi alzano le spalle, si girano indietro interrogandosi con gli occhi. Nessuno lo conosce. Non intercettano il mio sguardo, per loro sono un’estranea da studiare. Ripeto mentalmente: “Per lei voglio rime chiare, usuali: in -are…”, la poesia scelta dal Ministero non l’ho mai letta.

Sfilo tra i banchi, mi sento in soggezione. Sono belli i ragazzi con la testa china, il cappuccio della penna mordicchiato, le loro mappe concettuali sui fogli protocollo, le loro domande intelligenti e timorose.

Il refrain di chi li considera tutti ugualmente indolenti non attecchisce neanche oggi.

Approdo alla cattedra accanto al professore di arte. La mia età crea quest’effetto di rewind personale, e così mi racconta dei suoi alunni nella Sicilia dei primi anni ’70, del mestiere dell’insegnante che è come quello di un attore, costretto a recitare sempre per un pubblico ostile. Si interrompe facendomi notare la maglietta di un’alunna: porta la scritta GAP, gruppi armati proletari, dice lui, non gli faccio notare che è un marchio inglese sull'orlo del fallimento.

La Ricreazione è morta, viva la Ricreazione!

Riprendo a sfilare tra i banchi, butto un occhio sui fogli e censisco il mio personale sondaggio: Caproni è andato oltre le aspettative, il protagonismo della natura sull'uomo ha preso piede, e questo “squisito minore” è riuscito a farsi strada tra le righe. La totalità dei ragazzi è andata di nuove tecnologie e robotica. Il tema sul boom economico ha avuto un solo adepto: i programmi di storia, per mancanza di tempo, continuano a non svelarne i lati oscuri, presta poco il fianco alla giusta tensione narrativa.

Sei ore sono tantissime per chi aspetta che qualcuno scriva qualcosa, e così do uno sguardo alle tesine che hanno preparato. Dieci anni sono bastati per salutare l’astrattismo di concetti quali “realtà e apparenza”, “l’oltre e l’infinito”, oggi è con “La fisica in Interstellar” e con “La violenza nel cinema tarantiniano” che si conquista la commissione: si preannunciano degli orali divertenti.

Houston, abbiamo un orale.

L’ultimo compito viene consegnato, è del proprietario del Huawei con la cover azzurra e la scritta “La matura non fa paura”: le strade del training autogeno sono infinite.

La mia giornata da infiltrata termina. Su di loro sta per arrivare una bicicletta dalle ruote quadrate da far rientrare nei ranghi di una funzione matematica, una domanda su quell'argomento studiato in un pomeriggio di fine aprile, quando a Torino sembra essere arrivata la primavera, ma l’estate è davvero troppo lontana con gli esami di maturità.

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