Microeconomia

Un racconto di Andrea Verde

The Catcher
The Catcher
11 min readJan 11, 2018

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Non sempre il vento del cambiamento è soffiato da spirito di progettualità e ideologie. Al piccolo paese di questo racconto è bastato, al contrario, davvero pochissimo. Un omicidio. Mors tua vita mea: si aggiungano folle di curiosi, qualche giornalista, un nuovo espositore per patatine e una connessione wi-fi gratuita nel bar del centro ed ecco che una piccola località sulla SS Romea diventa una meta turistica. Un paesino tra tanti (tra il Polesine, la Bassa Ferrarese e la Romagna) come allegoria dell’Italia, la cui anima oscilla tra voglia di progresso, intraprendenza, casualità d’azione e pericolo di staticità.

Questo racconto è apparso su «inutile», è stato selezionato per Atlante Nazionale da Elisabetta Ceroni.

Zona: Emilia Romagna

La Chiarina aveva già convinto suo papà a lasciare sempre sul bancone un piattino di patatine gratis per i clienti, come fanno nei locali di Rimini, aveva detto, per far venir sete e invogliare a ordinare una coca invece che il caffè. Il bar Paradiso su corso XX Settembre non ha mai avuto così tanti tipi di patatine in vendita. C’è sempre stato un espositore di metallo tra il bancone e la porta a soffietto del ripostiglio, uno di quelli che i fabbricanti regalano ai gestori di bar, con la loro marca in cima e tanti gancetti.

La Chiarina cambia la disposizione ogni giorno. Dice che bisogna mantenere vivo l’interesse del cliente e diversificare l’offerta.

Carlo la lascia fare, d’altronde ha fatto un corso da vetrinista a Bologna e comunque passa lo straccio ogni sera senza lamentarsi, ognuno si diverte come può. Ora ci sono dei sacchetti piccoli, di un qualche materiale setoso che chissà se va nella plastica o nella carta, con su scritto “light”, che la Chiarina trova molto divertente voglia dire sia “luce” che “leggero” in inglese. È stata la Chiarina a insistere, Carlo trovava che il bancone fosse già troppo ingombro così, con i dispenser di tovaglioli, le bustine di zucchero e i salatini. Hanno dovuto togliere uno sgabello perché con l’espositore di chewing-gum, caramelle balsamiche e gommose, liquirizie, cioccolatini ripieni e mini tavolette di cioccolata lì davanti, un piattino con tazzina e cucchiaino non ci sarebbe più stato. Carlo urta sempre il dispenser con il gomito quando si gira dalla macchina del caffè con la tazzina in mano, e la confezione più in alto e più esposta di gomme all’eucalipto cade a terra ogni volta.

La Chiarina ha approfittato del momento per comprare delle tende azzurre da mettere alle finestre che danno su via Leopardi e un mobiletto vicino all’entrata sul quale sistemare i giornali, La Gazzetta sempre in cima, perché così rosa si abbina bene alle tende, la Nuova e il Carlino in fondo, sempre troppi colori in prima pagina, che stonano. Da quando hanno tutti questi nuovi clienti però, hanno dovuto aggiornare i loro accordi con la Luisa, e adesso hanno sempre a disposizione più copie del Corriere e del Sole di quante siano mai state necessarie, e anche qualche settimanale nazionale. Giornali e caramelle, però, sono arrivati dopo.

La vera fortuna del bar Paradiso è stata la connessione internet wifi che li aveva fatti litigare tanto, Carlo e sua figlia.

La Chiarina l’aveva spuntata, e il tecnico aveva finito per attaccare il modem al muro con lo scotch marrone, perché lì c’era l’unica presa utile a cui il filo arrivasse, e la slot machine era stata messa un po’ obliqua per far posto all’antennina.

Però funzionava, e la Chiarina aveva insegnato a suo papà a indicare una serie di numeri che aveva attaccato con lo scotch al registratore di cassa quando gli veniva chiesto quale fosse la “password”. Il bar Paradiso è l’unico locale pubblico con una connessione internet in paese oltre alla sala di lettura della biblioteca, che è aperta dalle 9.30 alle 12.30 lunedì, mercoledì e venerdì e dalle 15.30 alle 17.00 martedì e giovedì. I primi giorni Carlo vendeva tutti i panini e le brioches fresche prima delle undici, e nel giro di una settimana aveva finito le scorte di pane in cassetta, prosciutto sottovuoto, formaggio a fette a lunga scadenza, paste surgelate e tutti i pasti pronti da microonde che aveva comprato per far contenta sua figlia e che nessuno aveva mai ordinato, dato che nessuna strada statale passa per il paese e i clienti del posto possono trovare tagliatelle al ragù molto più buone a casa loro.

Carlo ci tiene a dire che se non fosse stato per sua figlia il bar non sarebbe stato capace di rispondere alla richiesta improvvisamente triplicata.

Senza farsi prendere dallo sconforto, la Chiarina si era messa d’accordo in fretta con la Coop di San Pietro, e ora la vetrinetta contiene vari tipi di panini e toast, ogni giorno diversi, e anche insalate miste confezionate con la loro forchettina e olio in busta tra le foglie. A distanza di mesi, Carlo e sua figlia non hanno necessità di disdire l’accordo con la Coop, e non è ancora successo che le scorte fresche non vadano consumate.
In quei giorni la Luisa, dal canto suo, aveva iniziato a scrivere una lista di marche di tabacco e sigarette che non teneva in negozio, ma che, assicurava ai nuovi clienti, avrebbe ordinato al suo fornitore quanto prima. Dopo anni, aveva buttato via le scatole in cartoncino delle cartine per tabacco, finalmente vuote. Tra i promemoria che annotava sul suo quaderno c’erano: “più copie di Corriere e Repubblica”, “più sudoku”, “accendini usa e getta quasi finiti” e un punto interrogativo di fianco a “cartine lunghe”.

Si sarebbe aspettata di vendere più articoli di cancelleria, ma non ci mise molto a notare l’espressione agitata dei nuovi clienti, che entravano nella sua edicola con un telefono di quelli senza tasti in una mano e il caricatore, con cavo penzolante, nell’altra.

Si procurò una presa multipla. Poi un’altra, che collegò alla precedente. Poi un’altra, più piccola, con l’adattatore a due poli e un bottone per accenderla.
La Luisa diceva che aveva il terrore di pestare quei rettangoli neri che coprivano il pavimento attorno alle ciabatte. Diceva che le portavano anche computer portatili da caricare e quegli aggeggi costosi che si vedevano sui cataloghi pubblicitari che mettono nella buchetta della posta. Tutti quegli sconosciuti che chiamano le cose di tutti i giorni con i loro accenti strani — parlano come la televisione — e le fanno sembrare strane anche loro, aspettavano che il loro cellulare si caricasse fumando una sigaretta dopo l’altra fuori dal negozio della Luisa, che si era trovata a dover svuotare la vaschetta del posacenere ogni giorno e a dover spazzare via i mozziconi dalla sua entrata, sciaf sciaf, giù nel tombino delle fogne. All’inizio si erano sforzati di essere affabili, attenti a comprare sempre una penna, un pacchetto di gomme, un gratta e vinci per compensare l’elettricità consumata. Le rivolgevano domande precise, curiose, al limite dell’impertinente.

La Luisa si sforzava di rispondere a tutti, quanto meglio poteva, ma a volte non sapeva proprio che dire. Ma quelli erano così insistenti che aveva finito per aggiungere particolari non veri, inventarsi dettagli.

Sembravano così contenti, quando si dilettava in aneddoti veri a metà, che le compravano un pacchetto di sigarette o una rivista di quelle spesse e piene di pubblicità, in segno di riconoscenza, per siglare la loro complicità. Volevano sapere tutto del paese, dei suoi abitanti, dei suoi ritmi e usanze, anche se erano tutte persone di città, abituate a grandi viali alberati, facce sempre diverse lungo i marciapiedi e tutti quegli oggetti e comodità che qui non pare possibile funzionino. L’edicola va talmente bene che il figlio della Luisa, Giacomo, o Gianni, come lo conosciamo tutti, è tornato da Ravenna, dove per due soldi faceva rendering e certificazioni ecologiche in uno studio di architettura, per aiutare sua mamma col negozio. In un mese avevano messo da parte abbastanza per fare i lavori di pulizia alle grondaie che continuavano a rimandare e aprire un franchising di scommesse sportive e videolottery. Tanto il contratto a progetto di Gianni stava comunque per scadere, e non ci vuol niente a subaffittare un posto letto in singola.

In molti cominciarono ad affittare le proprie stanze per gli ospiti. Poi le camerette dei bambini che si erano sposati e avevano avuto bambini a loro volta.

Poi i divani e le brandine. Infine gli spazi tra i tavolini e le credenze dove stendere il sacco a pelo. La maggior parte si era sistemata negli alberghi in città o nelle locande per camionisti lungo la Romea, ma ce n’erano comunque tanti che, vuoi perché sapevano di non poter contare su di un rimborso spese generoso, vuoi perché particolarmente dediti alla scoperta del paese, si erano accapigliati per aggiudicarsi i letti vuoti dei privati locali. Giovanni e la Marta ne avevano quattro in casa, la Pina due, i Magossi all’inizio solo uno, poi ne presero altri due. Nessun contratto formale, ovviamente, si facevano pagare ogni giornata in contanti, la mattina stessa: venti, trenta euro; l’Annetta addirittura quarantacinque, dato che faceva sempre trovare il caffè pronto sul tavolo della cucina e aveva ceduto il suo bagno personale, quello grande, con la doccia invece che la vasca.
Franco avrebbe voluto approfittarne come gli altri, e con una casetta affacciata su via Mazzini avrebbe potuto chiederne anche cinquanta o sessanta di euro, ma da quando era vedovo non era più stato in grado di tenere la casa in ordine e con una pensione sola non poteva permettersi niente di più ampio di un monolocale con angolo cottura al pianterreno.

Però aveva ritrovato nel cassetto delle bollette un pennarello nero, e, alitando di tanto in tanto sulla punta, aveva scritto su un foglio che poi aveva attaccato al vetro della finestra “WC €1. Suonare”.

In molti hanno lodato il suo spirito imprenditoriale e sono arrivati a consigliargli di sostituire la saponetta ocra che asciugandosi si riempiva di crepe con un flacone di sapone liquido, e gli asciugamani di cotone a nido d’ape che sua moglie Laura aveva bordato all’uncinetto con rotoli di carta Scottex.

Solo ora che le acque si sono un po’ calmate i vecchi riescono a finire le partite di briscola e canasta. Il giorno dopo il fatto, Franco e Giorgio vennero fotografati seduti al tavolino sotto la finestra piccola del bar Paradiso, separati dalla scacchiera e da un bicchiere di vinello per Giorgio e la tazzina da espresso per Franco. La loro partita a scacchi del mercoledì divenne “un simbolo di indifferenza” e “un chiaro sintomo del nichilismo che affligge la società italiana”. Non che i giocatori di carte volessero apparire più sensibili, ma avevano iniziato lo stesso ad alternarsi tra il salotto di Arturo, in via Genova, e il cucinotto con veranda della Gabriella, lì vicino in via Garibaldi. Le domande, le fotografie, le interviste in diretta con lo studio facevano perdere il conto degli assi e dei tre, interrompevano mani particolarmente fortunate e, passata l’euforia, distraevano e davano sui nervi. Scartino di bastoni, briscola di spade, cavallo di denari, tre di spade. Tredici punti, pesca.

Ora che i giornalisti e le camionette delle emittenti televisive hanno cominciato ad andarsene, lasciando indietro solo qualche reporter con telecamera a mano, hanno iniziato ad arrivare i tour operator e gli opinionisti esteri con gli occhialetti tondi e lo zaino da gita in montagna. Da circa un mese un’agenzia viaggi di Milano fa arrivare in paese un pullman a settimana. I passeggeri vengono scaricati sul sagrato della chiesa e muniti di mappa del centro fotocopiata su fogli A4 rosa e azzurri. Hanno disegnato a penna le vie del paese, linee anonime tranne che per corso XX Settembre, che ha un punto all’angolo definito “bar”, e via Mazzini, “servizi”. Poi ci sono due ics: una sta per “punto di raccolta”, la chiesa, l’altra sta sopra un quadrato, segnalato dalla punta di una freccia che passa per via Leopardi e via Genova.

Il quadrato dai lati storti ricalcati di nero sulla mappa corrisponde, in via Primo Maggio, a un parallelepipedo di cemento intonacato di verde, tagliato in diagonale dalla scala che porta al balcone, la ringhiera dello stesso alluminio dorato degli infissi.

I turisti si sporgono oltre il muretto, cercano di spostare i rami del tiglio, o del nespolo se preferiscono la visuale dal vicino numero 31, e aspettano. Le tapparelle sono state chiuse in modo da sigillare tutti gli occhielli che potrebbero far passare un po’ di luce. Sono abbassate da mesi.

Quando è chiaro che non verranno riavvolte per loro, i turisti tornano in centro, consumano qualcosa al bar, visitano i servizi igienici, fanno fotografie con i loro telefonini. Hanno mezz’ora libera prima di risalire sul pullman. Due chilometri prima dell’incrocio con la strada statale, una curva si allarga abbastanza da essere considerata uno spiazzo. In effetti fino a dieci anni fa si parlava di costruirci una pompa di benzina, ma nessuna compagnia ha mai trovato la posizione interessante. Lo spazio basta appena per parcheggiare il bus, gli autisti sono sempre costretti a fare manovre contorte e lente.

Le risaie scuriscono a stento il bordo del cielo bianco che copre tutto, campi di frumento, le frazioni vicine e i pochi alberi a lato della carreggiata.

L’idrovora non è più sotto sequestro da quando le indagini preliminari si sono concluse. I carabinieri avevano trovato il cadavere incastrato all’imboccatura della pompa, verde e a brandelli. Il corpo aveva galleggiato per tre giorni nel canale, i polsi ancora legati con i cavi per caricare la batteria dell’auto. Ancora non si è capito se sono stati i siluri a mangiarle la faccia così. Anche senza autopsia ognuno di noi avrebbe saputo chiamarla per nome.
E poi la sua pancia squarciata aveva confermato i nostri già solidi sospetti.
Che avremmo condiviso solo a certe condizioni.

ATLANTE NAZIONALE è una collana di racconti con un’ambientazione circoscritta e ben delineata, che si pone l’obiettivo di rappresentare, da nord a sud, l’Italia attuale.

Racconti apparsi negli ultimi anni su alcune delle più interessanti riviste letterarie indipendenti, riscoperti e selezionati dagli allievi del corso “Editoria per esploratori coraggiosi”, impreziositi dai collage di Andrea Falcone e dagli acquerelli di Alice Rebolino. Una collana a cura di Francesco Sparacino, per raccontare l’Italia di questi anni e approfondire il mondo delle riviste letterarie.

Andrea Verde vive in provincia di Rovigo e lavora in un ufficio, dal quale spesso esce per passeggiare.

«inutile» è una rivista e associazione culturale fondata nel 2005. Dal 2016 ha lanciato «No Rocket Science», una rivista che esplora l’intreccio tra cultura e tecnologia. Pubblica racconti italiani e stranieri tradotti. L’intento è quello di “fare cultura in maniera semplice”, senza dimenticare la professionalità e la serietà. Negli anni sono molti coloro che ci hanno lavorato, oggi se ne occupano Gloria Baldoni, Federica Bordin, Marianna Crasto, Francesca Massarenti e Matteo Scandolin.

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