Lavorare per il futuro: intervista a minimum fax e add editore

Chi fa i libri (E10): intervista a Giorgio Gianotto e Francesca Mancini

The Catcher
The Catcher
13 min readMay 24, 2017

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Collage di Kevin Dowd / Elaborazione grafica The Catcher

Chi c’è dietro i libri che leggiamo? Com’è fatto il mestiere dell’editore? Come vede il mondo chi è abituato a leggerlo attraverso i libri? Siamo andati a bussare alla porta di chi per mestiere li pensa, li progetta e li mette al mondo (i libri). E abbiamo fatto un po’ di domande. L’idea è quella di disegnare una mappa (più o meno sentimentale) dell’editoria italiana. Partiamo.

GIORGIO GIANOTTO — direttore editoriale di minimum fax

Ci raccontate come tutto ebbe origine e da dove arriva il vostro nome?

Due persone, un rivista inviata via fax e un gioco di parole con il nome di una vecchia tassa, la minimum tax: una start up prima delle start up.

Parlateci un po’ di Nichel, storica collana che ha accolto alcune delle voci più interessanti della letteratura contemporanea italiana: Paolo Cognetti, Claudia Durastanti, Giordano Meacci, Rossella Milone, Marco Peano, Alessio Torino, Giorgio Vasta, per citarne solo alcune. Come nasce la collana, perché questo nome e qual è il bilancio dopo diciassette anni di lavoro?

Il simbolo del Nichel è Ni: Narrativa Italiana, quindi. Se giocare con la chimica voleva essere il richiamo a un laboratorio e una speranza di durata, è servito: diciassette anni di laboratorio attivo, libero, che ha cercato di distillare, attraverso una ricerca attenta di pochi titoli ogni anno, voci ma soprattutto correnti nuove, cercando di capire cosa stesse nascendo in Italia, cosa fosse in arrivo, nella forma come negli sguardi. Le antologie, La qualità dell’aria a suo tempo e L’età della febbre di un paio di anni fa sono il perfetto esempio del lavoro di Nichel.

Tra le ultime uscite di Nichel c’è Grande era onirica di Marta Zura-Puntaroni. Cosa deve colpirvi nella scrittura di un giovane autore? In 24 anni, com’è cambiato il vostro modo di fare scouting?

Quello che cambia è il mondo: noi speriamo di continuare a intercettarlo con la stessa capacità di attenzione. Marta è una blogger ma non è che questo voglia dire che guardiamo al web: si guarda dove sono le parole, una volta solo nei manoscritti ora anche in altre e diverse forme, in un ambiente dove niente sostituisce nulla. E anche la scrittura che rimane colpisce sempre per le stesse cose: la ricerca stilistica muta nel tempo ma è ricerca, i contenuti cambiano ma non devono canonizzarsi. Marta è una scrittrice e con una voce che è solo sua. Cerchiamo valori assoluti, non relativi.

La qualità dell’aria e L’età della febbre raccolgono due generazioni di narratori e rappresentano due istantanee del nostro tempo (nell’ultima, a indicare l’acquisizione della lezione del graphic novel c’è pure un racconto disegnato di Manuele Fior). Possiamo parlare di una volontà di indagine, quasi politica, prima ancora che di un gesto narrativo?

La cultura è uno dei pochi posti dove la parola politica può e deve continuare ad avere un valore e una tensione positiva: anzi, forse è il luogo che può ridare un valore a quella parola. Deve farlo, e quindi sì: è un gesto politico nel senso più alto del termine, quello formativo, del dialogo, della parità, della forma che garantisce a un contenuto di diventare patrimonio collettivo.

Una delle nuove copertine curate da Patrizio Marini

Nelle scorse settimane avete svelato la nuova veste grafica dei vostri libri, che avete presentato ufficialmente proprio al Salone. Le nuove copertine curate da Patrizio Marini sembrano arrivare dal futuro. Cosa ci dice il vestito nuovo scelto da minimum fax rispetto alla sua identità?

L’identità non è un fatto formale: questa nuova “forma” — che passa attraverso una riorganizzazione delle collane, dei formati e poi anche delle copertine — è il modo in cui speriamo di comunicare al meglio ai nostri lettori prima di tutto una persistenza, quella del nostro sguardo diagonale, non allineato, sempre con una prospettiva unica e divergente, e poi un rinnovamento in termini di percezione dovuto al mutare dei linguaggi, anche visivi. I libri cambiano, dentro e anche fuori. Devono cambiare, come gli editori.

Alla direzione della narrativa straniera è subentrato da poco Luca Briasco, autore di Americana e esperto di narrativa a stelle e strisce. Cosa cambierà, d’ora in avanti, nel vostro sguardo verso l’America?

Luca è un profondo conoscitore della narrativa e della cultura americana, un continente, un oceano di mondi prima che un oceano di storie, e partiremo proprio da qui: non indagando un canone, o cavalcando delle mode, ma aggirando tutto ciò alla ricerca di quella verità che sta, per esempio, dietro alle scelte politiche che quel paese ha fatto. Ci sono strati sociali, pulsioni, emozioni, e quindi storie, che hanno prodotto un verdetto politico inatteso che coinvolge l’intero globo: c’è un sacco di roba da fare, insomma.

Parlateci di Indi, la vostra collana di saggistica. È possibile riconoscere un tratto distintivo nei saggi minimum fax? E quali sono, tra le pubblicazioni recenti, i titoli che consigliereste a un nuovo lettore?

Indi parla il linguaggio dell’attualità e della ricerca esattamente come le nostre collane di narrativa. Lo fa in un contesto diverso, certo, ma in questi ultimi anni nuove forme espressive, come il personal essay, stanno gettando ponti, contaminando. Se vogliamo parlare di un tratto è il tentativo di non istituzionalizzare, ma di provocare, scuotere: da Emily Witt, con il suo Future Sex a Leonardo Bianchi, in uscita in autunno con il suo La Gente, l’idea è quella di cogliere nei fenomeni culturali o politici (c’è differenza?) le cellule in movimento, non quelle ferme, che si parli di sesso o populismo.

Da tempo attorno alla casa editrice gravitano molte realtà e attività culturali in continuo movimento: minimum lab, minimum fax media, minimum fax live, o l’ormai storica libreria di Trastevere. L’idea di rete va di pari passo con la creazione e il sostentamento di una casa editrice indipendente?

L’idea di rete è la base delle relazioni umane: di questo non dovremmo mai dimenticarci. E dovrebbe essere un fondamentale del nostro lavoro, e i libri, come e forse più delle case editrici, sono relazioni fra le persone. La contemporaneità sta solo facendo riflettere tutti noi su una cosa semplice: cercare buoni contenuti, trovargli i giusti contenitori e quindi comunicarli al meglio. Una casa editrice è un atelier culturale, non una chiesa o un luogo consacrato a una sola cosa. E la modernità ce lo ricorda, fortunatamente. Occorre intercettare, e organizzare e mettere a rete — cose non facili e non ovvie — non solo i contenuti ma anche le migliori professionalità, perché le idee che sono il vero patrimonio di un editore vengano trasmesse, lette, viste, insegnate. Perché girino, insomma.

Un giretto alla libreria minimum fax a Trastevere (via)

Quali sono le novità del 2017 da attendere con più trepidazione?

Tutte :-)

Arrivano gli alieni: raccontate loro minimum fax in tre libri che riassumano lo spirito della casa editrice.

Posso citare tre autori con libro a scelta? Un Malamud, con un pizzico di Kubrick e un tocco di Egan.

Salone del Libro di Torino perché…

Ne esiste un altro? Uno dove la diversità, la curiosità, la personalità di autori, editori, traduttori, agenti vengano premiate e vissute come una risorsa, come un valore sociale, comune e non proprietario e dove i lettori e i libri siano messi al centro? Non mi risulta.

FRANCESCA MANCINI — editrice di add editore

Con quali propositi nasce la casa editrice?

Nasce con il proposito di pubblicare libri che aggiungano racconti e riflessioni che intercettino nuovi immaginari e sensibilità, sia per i temi proposti che per le forme comunicative; per questo accanto alla saggistica divulgativa che si propone di affiancare l’uomo contemporaneo nella comprensione della complessità in cui siamo immersi riguardo a temi sociali urgenti (migrazioni, confini, scienza, dipendenze, memoria storica, disuguaglianze, ecologia), proponiamo fumetti, personal essay, saggi letterari, racconti autobiografici, travelogue che rispondono al desiderio di raggiungere i lettori attraverso diverse forme espressive. Un’ora al giorno almeno bisogna essere felici, un libro evocativo e poetico che raccoglie aforismi, brevi racconti e disegni nati all’interno del laboratorio Zanzara, studio grafico e cooperativa sociale di Torino, rappresenta al meglio questo nostro atteggiamento.

La copertina curata di “Bob Dylan — Il fantasma dell’elettricità” di Marco Rossari

Nel 2016 avete inaugurato Incendi, narrazioni combustibili: una collana a metà strada tra il romanzo e il saggio. Ci raccontate questa scelta di virare verso una forma di saggistica molto pop fin dalla copertina e molto poco italiana (parafrasando Stanis la Rochelle)?

In realtà la collana è molto italiana nella sua ideazione. Nasce dall’intenzione di riproporre attraverso i libri l’atmosfera di vicinanza e di passione che spesso si crea durante gli incontri tra scrittori e lettori: ci siamo detti che quello era il clima giusto per far arrivare contenuti, per suggerire percorsi. E quando un libro nasce da un’urgenza, è facile che questa arrivi ai lettori, coinvolgendoli, incuriosendoli. Sono libri autentici, che trasmettono con passione un interesse, un amore, un cammino e tutto ciò affascina il lettore. Luca Scarlini su Bowie, Igiaba Scego su Veloso, Tito Faraci su Topolino, Susanna Tartaro su Santoka e gli haiku, Marco Rossari su Bob Dylan, Andrea Schiavon su don Milani hanno prima di tutto affascinato noi in casa editrice (ci hanno contagiato: ascoltiamo musica, leggiamo haiku, rileggiamo testi dimenticati, abbiamo imparato tanto, divertendoci). Il format delle copertine è di Francesco Serasso, il suggerimento di puntare su una grafica pop in sintonia con i racconti-saggi della collana è di Fabio Geda che cura con me il progetto.

È uscito da poco Joseph Pulitzer di Alleyne Ireland, che era stato pubblicato nel 1914. Ci raccontate questa riscoperta che sta permettendo anche ai lettori italiani di conoscere meglio un personaggio formidabile come Pulitzer?

Joseph Pulitzer è un personaggio straordinario, uno di quei nomi che negli anni sono stati mangiati dalla propria fama. Oggi la parola Pulitzer rimanda immediatamente al premio che da cento anni è sinonimo di giornalismo di qualità. Dietro tutto questo però c’è un uomo che nel 1864 dall’Ungheria, appena sedicenne, senza soldi, senza amici e non conoscendo l’inglese, arrivò in America e nel giro di trent’anni divenne l’editore più influente degli Stati Uniti. La sua vita doveva essere raccontata, lo hanno fatto in tanti con biografie monumentali e dettagliatissime. Nelle nostre ricerche abbiamo trovato questo libro scritto meravigliosamente bene da un segretario di Pulitzer, Alleyne Ireland, raffinato viaggiatore e studioso inglese che in un piccolo libro è riuscito a raccontare quell’uomo fuori dal comune in modo indimenticabile. Questo libro non poteva mancare nel nostro catalogo; pensare che per arrivare da noi ha fatto un viaggio di oltre cento anni ci dà ancora più emozione, come se con un solo libro avessimo fatto omaggio al genio di Joseph Pulitzer e a un attento osservatore del mondo come Alleyne Ireland.

Come avete incontrato Shady Hamadi?

A dire la verità è Hamadi che ha incontrato noi, semplicemente proponendosi, ormai cinque anni fa, dopo aver letto e amato un nostro libro, La casa di pietra di Anthony Shadid. Hamadi ci mandò i suoi appunti per un libro sulla Siria, in anni in cui si stava cominciando a riflettere su quella parte del mondo così martoriata. Il progetto ci piacque e così il suo autore, di lì è nato tutto. La domanda però potrebbe essere: “Come avete fatto a tenere Shady Hamadi”, perché dopo il successo del primo libro altri editori si sono fatti avanti con lui. Hamadi ha scelto di continuare con noi il suo lavoro di analisi sulla Siria e il mondo arabo, e questo ci rende orgogliosi perché vuol dire che editore e autore hanno lavorato bene insieme, con reciproca soddisfazione e soprattutto pianificando per il futuro. I piccoli e medi editori vivono grazie al fatto di lavorare per il futuro, con i propri autori ma anche con i librai e con i lettori. Shady Hamady oggi è uno dei nostri autori di punta, e ci piace pensare che lo sarà anche domani.

Shady Hamady (via)

Come casa editrice siete molto attivi nelle scuole, con percorsi didattici mirati ad avvicinare i giovani alla lettura e alla conoscenza della saggistica divulgativa. Quali sono i temi che affrontate maggiormente?

La scuola è sempre più al centro del lavoro della casa editrice, crediamo che in un mondo sempre più complesso la saggistica divulgativa possa essere uno strumento che affianchi il lavoro degli insegnanti nel loro compito di formazione alla lettura e interpretazione della realtà nella quale viviamo.
Per il prossimo anno scolastico proponiamo il kit “Narrazioni combustibili. Guida didattica per raccontare passioni” — realizzato anche grazie alla collaborazione con il College Brand New di Scuola Holden — sui temi dell’identità e dell’importanza del racconto di sé che trae ispirazione dalla collana Incendi.
Abbiamo poi sviluppato percorsi attenti a temi sociali che permettono di fare un’esperienza formativa: memoria, coesione, migrazioni, scuola, mafie, razzismo, dipendenze e corretta informazione. Gli studenti potranno, ad esempio, incontrare Shady Hamadi sul tema “Siria, indifferenza e Occidente. Cosa ne sappiamo?” o lavorare assieme ad Andrea Schiavon su “Don Milani a scuola cinquant’anni dopo Lettera a una professoressa” o ancora approfondire il tema “adolescenti e alcol” seguendo i nostri suggerimenti di lettura e attività. Sul nostro sito abbiamo una sezione dedicata alle proposte per la scuola dove è possibile farsi un’idea dei progetti che abbiamo in cantiere.

Tra i titoli del vostro catalogo troviamo Cantona, Vincere non basta, Il mio basket è di chi lo gioca, Mar del Plata, Game set match, per citare alcuni libri sportivi. In che modo lo sport può diventare narrazione e interpretazione della società contemporanea?

Ci sono sempre piaciute le biografie, soprattutto quelle di persone che hanno affrontato la vita in modo non consueto, cercando soluzioni nuove, rischiando, provando a superare i propri limiti. Lo sport è una grande fabbrica di storie che spesso hanno il sapore dell’epica. Certo, ci sono libri di sport che vivono magari più per il nome del personaggio, ma non sono i libri che cerchiamo. Noi cerchiamo gli uomini dietro il gesto sportivo, imbattendoci in qualcosa che va oltre una disciplina e le sue regole. Per questo nel basket di Sarunas Jasikevicius e di Meo Sacchetti abbiamo visto l’esempio di chi ha sfidato le proprie debolezze per vincerle, in Mar del Plata abbiamo letto la storia dell’Argentina da un campo da rugby, in Game set match abbiamo trovato i mille volti, più o meno felici, della Svezia che viveva brillando della luce dei suoi campioni di tennis.

E a proposito di sport, tra le biografie pubblicate da add ricordiamo Per l’uguaglianza di Lilian Thuram, ma anche, fresca d’uscita, Giorni di grazia, l’autobiografia di Arthur Ashe, scritta insieme ad Arnold Rampersad. Ci parlate di questo libro e del rapporto particolare che lega lo sport all’autobiografia?

L’autobiografia di Arthur Ashe è di nuovo una scoperta, un libro uscito in America nel 1993. Anche lui ci ha messo un po’ ad arrivare in Italia. Ashe scrive la sua autobiografia quando già sa di essere malato di Aids e di avere davanti a sé poco tempo. Sa che è arrivato il momento di raccontare davvero quello che ha sognato, voluto, ottenuto, ma facendolo come una confessione amorosa e pacificata ai suoi familiari e ai suoi lettori. Raramente una biografia sa essere così vera e toccante. C’è il tennis come scuola di vita per un ragazzino nero che, nella Virginia tormentata dalle leggi razziali, diventava un motivo di rivincita. Poi c’è lo sport vissuto da professionista, la coppa Davis, il rapporto con i grandi campioni, ma tutto attorno la vita continua a scorrere e a chiedere attenzione. Mandela, l’apartheid, Clinton, Haiti, la violenza in America, la malattia. Ashe racconta tutto, partendo dal suo ruolo di stella dello sport, per tornare con i piedi per terra ad affrontare le tante battaglie, spesso silenziose, che hanno contrassegnato la sua vita. Le sue riflessioni sul peso della razza, definito un fardello più pesante dell’Aids, le ritroviamo con la stessa drammaticità e lucidità nelle parole degli scrittori contemporanei afroamericani più letti.

Quali sono le novità da tenere d’occhio?

A settembre arriverà per la prima volta in Italia un libro di Kareem Abdul-Jabbar, stella cestistica degli anni Ottanta che con il suo Coach Wooden and me racconta cinquant’anni di una splendida amicizia con il suo allenatore di Ucla. Un libro che unisce i valori dello sport a quelli umani e ripercorre due grandi biografie di chi ha scritto la storia del basket. Continueremo poi a essere gli editori di Evelyne Bloch-Dano, l’autrice di Giardini di carta che ora pubblicherà con noi La favolosa storia delle verdure: passando da una canzone a un conquistador che trasporta nuovi germogli, l’autrice ritrova le tracce di una storia favolosa che porta il lettore di Paese in Paese, da una sfera simbolica a un’altra, viaggiando nello spazio e nel tempo.
La collana Asia prosegue il suo lavoro di ricerca proponendo a novembre il libro di Alec Ash, Lanterne in volo, che offre uno sguardo acuto e appassionante sulla Cina moderna attraverso il racconto ricco di dettagli e sfumature della vita di sei giovani cinesi.
Quest’anno si concluderà la trilogia del fumetto di Li Kunwu e Philippe Ôtié, Una vita cinese, finalista al Premio Terzani, che ha riscosso molta attenzione della critica e dei lettori. Il secondo volume: Il tempo del Partito uscirà a giugno, a novembre il terzo volume Il tempo del denaro.
Affronteremo poi altri stili di racconto del mondo, pubblicando per esempio La crepa, il lavoro di due autori premiati con il World Press Photo: il fotografo Carlos Spottorno e il giornalista Guillermo Abril che hanno viaggiato sui confini dell’Europa per trovare le tracce e raccontare i volti delle migrazioni di oggi. Un libro che unisce fotografia, fumetto e reportage in una forma inedita. A gennaio dell’anno prossimo proseguiremo con un libro illustrato e saremo gli editori italiani del bellissimo Atlante delle frontiere, le cui cartine raccontano il senso del confine e della frontiera.

Lo stand di add al SalTo30

Salone del Libro di Torino perché…

Perché sentiamo di appartenere a una tradizione, a una realtà che da trent’anni lavora con passione attorno ai libri e che ci ha accolto con rispetto e considerazione. Lavorare con il Salone del libro di Torino è come sentirsi in famiglia: ci si ascolta, ci si aiuta, ognuno fa la sua parte per ospitare il lettore che arriverà al Lingotto in una casa accogliente.

Questa intervista è a cura di Valentina Rivetti, Sebastiano Iannizzotto, Virginia Giustetto.

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