Nostalgia, nostalgia tamarra

Perché Drake è l’Odisseo del nostro tempo, e cosa ne è stato di Itaca e Penelope

Pietro Risoluto
The Catcher
5 min readFeb 28, 2018

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Elaborazione grafica The Catcher

[…] Trovollo assiso
Del mar in su la sponda, ove le guance
Di lagrime rigava, e consumava
Col pensier del ritorno i suoi dolci anni.

Omero, Odissea, libro V, vv. 192–195 (trad. Ippolito Pindemonte)

Addio Odisseo, archetipo del fuorisede sofferente. Addio Johannes Hofer, primo medico della malattia del ritorno. Confessiamolo, tutti insieme: della nostalgia ci godiamo, ci godiamo di brutto. In questo siamo decisamente poco epici e molto tamarri: quanta finezza c’è nel trastullarsi al pensiero della casa lontana? E, soprattutto, quanta ce n’è nel confessarlo apertamente, come la cosa più naturale al mondo?

In fondo, tamarro è anche candidamente ingenuo.

È ancora più naturale allora cominciare a cercarsi un nuovo eroe, uno che al posto del multiforme ingegno abbia la catena d’oro. Ma se chiudo gli occhi e mi sforzo di immaginare guance rigate e dolci anni da rimpiangere non vedo assolutamente nulla. Al contrario, quasi subito, dall’isola Ogigia che è il mio orecchio interno sale il lamento-tormentone che, da giugno a questa parte, frigna:

Kiki, do you love me?
Are you riding?
Say you’ll never ever leave from beside me
’Cause I want ya, and I need ya
And I’m down for you always

Drake, In my feelings (Scorpion, 2018)

Ed ecco che, morso dallo scorpione, comincio a oscillare, fermo la macchina, e (beata ingenuità!) mi abbandono alla #inmyfeelingschallenge, ballando e frignando.

Una delle più alte incarnazioni del nuovo spirito omerico, in un’ingenua tutina Reebok rosa

Drake è il nostro nuovo Odisseo. Non solo perché anche la sua storia è scritta in versi e, a differenza del Laerziade, i versi li ha scritti lui. Che fosse il nuovo Odisseo lo si poteva capire già qualche anno fa dai segni più manifesti. Persino Hold on, we’re going home, la traccia più pop di Nothing was the same (2013), racchiude in nuce una certa continuità con la nostalgia omerica.
Miami 1985, durante il party della vittoria (di che, poi?), un Drake quasi sbarbato, in lino bianco come la coca, riceve una chiamata: la sua procace ragazza è stata rapita. Non preoccuparti, baby, io e i miei homies stiamo arrivando, giusto il tempo di prendere i mitra e mettere le facce da tipi tosti.
Tutto in questo breve film (sette minuti) è nostalgico: dal design narrativo a quello sonoro, passando per scenografie e costumi. Bentornati Eighties. L’atmosfera rimarrebbe pateticamente, mielosamente nostalgica, con Drake lontano dalla sua Penelope a struggersi tutta la notte, se non fosse per la tamarreide che scardina gli equilibri del genere.

Una canzone d’amore in braggadocio. Il pappone borioso e lo sfigato sdolcinato sono finalmente la stessa persona. Gigi d’Alessio col piglio del pimp.

Welcome to Miami ’85, baby

Il paragone con la musica neomelodica napoletana non è così fuori luogo. Drake ha sempre cantato un tale latte alle ginocchia (esempio random: “I miss the feeling of you missing me) da guadagnarsi battute come:

- Quanto sei triste in una scala da 1 a Adele?
- Drake.

Il sad Drake è un vero e proprio paladino del web memetico, con gallery che vanno dalla sua faccia in lacrime per lo spray al peperoncino ad avvertimenti come “Don’t Drake and drive - You’ll end up at you ex’s house crying”.
Eppure, il ragazzo da drama adolescenziale canadese ha sempre dichiarato di aver scelto la tristezza, rivendicando intanto la sua indole spaccona a furia di brani aggressivi ed esibizionisti (e con la scelta di alias come 6god e Champagnepapi). Tutto per ribadire che se la gode, e che, coerente con la illustre tradizione rap, col disagio ci fa i soldi.
Inventare un nuovo gesto è prerogativa dei grandi; Drake è sicuramente un grande. Il composto instabile di spacconeria e melanconia esploderebbe all’istante, disperdendosi una volta per sempre, se i componenti non trovassero una sintesi plastica, destinata a rimanere nei secoli come gli occhi umidi di Odisseo.

Tale magnifica forma, applicata con la feroce nonchalance del metodo, è lo sputtanamento delle ex.

O, per la precisione, quella citazione iperrealistica che nell’era della gogna mediatica è automaticamente sputtanamento, e che Drake esegue, in modi diversi, anche ai danni di affini (migliori amiche, cotte non corrisposte…). In ogni caso, il gesto resta lo stesso, e tutte le donne citate emergono dal passato privato e personale di Drake con la stessa nitidezza: gratuita e inaspettata, per questo imbarazzante. Una rima innocua, magari in una traccia secondaria, e la tua sorte è segnata, come fosse un morso di zombie in The walking dead.
È Drake stesso ad adombrare la propria zombificazione, nel finale di Furthest thing. Qui, dopo aver pianto a lungo l’esser diventato un estraneo agli occhi della sua lei, cambia completamente beat e, folgorato da una rivelazione — il sample è di Hold on, for we’re going home del Corinthian Temple Cogic Choir — ordina, tra il letterale solenne e l’allusivo ironico: “Play this shit at my funeral if they catch me slippin’”. Suonatela al mio funerale se mi beccano con la guardia bassa; suonatela al mio funerale se mi beccano a rilassarmi. Un double entendre con il quale, per la prima volta, egli svela la sua musica come quel rito vudù (ecco forse la ragione della piega caraibica degli ultimi tempi) che lo riporta indietro dalla morte — sentimentale, s’intende — facendo di lui un infaticabile morsicatore.

“Somewhere between psychotic and iconic”. Lo straniamento fatto musica suona esattamente così

Il risultato di anni di carriera, manco a dirlo, è uno stuolo di Penelope vaganti nello straniamento più totale. Un minuto di silenzio per la privacy di Leanne Sealey, Lavish Lee, Dia Edwards, Courtney Janell e molte altre.
Perché questa pratica è puro genio?
Perché è un caso esemplare di come la più minuziosa ricostruzione (storica, ma il passato non c’entra) non implichi immedesimazione alcuna. Sembra scontato, ma qui dentro c’è un mondo.
Citare la ex per nome, cognome e indirizzo è un modo per levare alla sua figura quell’aura di familiarità che il silenzio lascerebbe intatta. Di più, è un modo per distruggere ogni intimità residua, ritrovando al fondo della storia personale tra i due amanti un vuoto, un nulla, un altro che, scoperchiato come un vaso di Pandora, genera lo straniamento. Senza andare sul filosofico, chi non si è mai chiesto: “ma come ca**o facevo a stare con quella/o”?
Essere il nuovo Odisseo significa stupirsi, vantarsi, godere della lontananza da Penelope. Significa dire a Penelope che non la si è mai conosciuta davvero.

Penelope.

La stessa parola come un indice puntato, due usi diversi: avvicinare, allontanare.

“I make my music strictly for the purpose of, like, driving at night-time”

Odisseo soffre la distanza, il vettore del suo desiderio è rivolto verso Itaca. Drake gode, mentre il suo desiderio torna a se stesso, amplificato dalla voragine incontrata. Il primo ha scoperto di essere lontano da casa, il secondo che casa è sempre stata lontana da lui.
La prossima volta che guidate di notte, quando la solita strada è così stranamente sconosciuta e ostile, eppure così sottilmente elettrizzante da percorrere, chiedetevi quand’è stato il momento in cui nothing was the same, e ascoltate Drake, il nostro Odisseo.

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