Pastorale americana, di Philip Roth

Raccontato da Alessandro Baricco

The Catcher
The Catcher
3 min readMay 23, 2018

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(Unsplash / Elaborazione grafica The Catcher)
(Il podcast è a cura di Holden Sound)

Pastorale americana è probabilmente uno dei romanzi più importanti scritti in America. Inizia in un modo strano: c’è uno scrittore, Nathan Zuckerman, che viene invitato al ristorante da un personaggio che non vede da anni e che era il suo idolo quando era piccolo, quello che al college vinceva sempre, il più bravo a giocare a football, il più bravo a giocare a basket, quello che usciva sempre con la ragazza più carina, insomma, il vincente.
Decenni dopo lo Svedese, questo è il suo soprannome, telefona allo scrittore e gli dice “mi piacerebbe incontrarti”. Lo scrittore pensa che questo qui abbia qualcosa di fondamentale da raccontare, qualcosa di straordinario. E accetta l’invito anche perché lo incuriosisce vedere dopo tanti anni una figura così importante per la sua giovinezza.

(via)

Al pranzo lo Svedese gli racconta tante cose assolutamente insignificanti: una vita banale, normale. Per tutto il tempo lì a tavola lo scrittore lo ascolta e si chiede “ma perché questo mi ha invitato qui?”. Si alzano e si salutano. Lo Svedese se ne va, lo scrittore rimane lì e capisce che sotto quella banalità ci deve essere qualcosa di straordinario che quel signore non è riuscito a dire. E tutto il libro è la ricostruzione, da parte di questo scrittore, di quello che il suo idolo di quando era ragazzo, lo Svedese, non è riuscito a dire quando si sono incontrati. Il nascosto di quel pranzo è la storia della famiglia dello Svedese, una famiglia americana tra gli anni 60’ e l’inizio degli anni ’90: una famiglia che parte con tutte le premesse per essere una normale e felice famiglia americana ed esplode senza che nessuno possa fare nulla. Ci mette molte pagine a esplodere. La scrittura di Roth è fantastica, ha una leggerezza straordinaria e una potenza e una forza altrettanto straordinarie. Tu segui questa esplosione rallentata, continua, infinita. E intanto soffri, perché questo è un libro crudele e feroce sulla famiglia, non ha nessuna cautela nel raccontare quello che può succedere (e nella maggior parte dei casi succede) in un nucleo familiare.

A proposito di famiglia: ecco i Roth. Philip è il ragazzino con la maglia a righe. (via)

Per chi ha un’esperienza di famiglia, per chi cerca di farla o da figlio o da padre o da fratello, questo è un libro guida: ti prende per mano e ti fa scendere dove di solito non osiamo scendere.
È un libro abbastanza doloroso, non dice cose piacevoli ma le dice in un modo sostenibile e forte e vero. Quando l’hai chiuso continui a pensarci. Ho notato una cosa curiosa, tra quelli che l’hanno letto incominciano dibattiti che non finiscono più. Questo è un indice del fatto che i libri vivi sono quelli che non finiscono quando li hai chiusi.

ALESSANDRO BARICCO è tifoso del Toro, ma ammiratore di Pogba: un calciatore che, se fosse stato in campo già nel 2006, sarebbe stato annoverato tra I barbari (Feltrinelli). Nonostante questo saggio sia stato inizialmente pubblicato a puntate su «la Repubblica», Baricco ha dichiarato più volte di non amare troppo le serie tv. Per capirci, i suoi barbari non sono i bruti di Game of Thrones. Non si contano più le volte in cui ha dichiarato che scrivere è un mestiere fisico. Ha raccontato la storia di un pianista che ha sempre suonato sulle onde e un mucchio di altre storie. A ottobre uscirà The Game (per Einaudi Stile Libero), una sorta di sequel de I barbari.

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