Pastorale americana, di Philip Roth
Raccontato da Alessandro Baricco
Pastorale americana è probabilmente uno dei romanzi più importanti scritti in America. Inizia in un modo strano: c’è uno scrittore, Nathan Zuckerman, che viene invitato al ristorante da un personaggio che non vede da anni e che era il suo idolo quando era piccolo, quello che al college vinceva sempre, il più bravo a giocare a football, il più bravo a giocare a basket, quello che usciva sempre con la ragazza più carina, insomma, il vincente.
Decenni dopo lo Svedese, questo è il suo soprannome, telefona allo scrittore e gli dice “mi piacerebbe incontrarti”. Lo scrittore pensa che questo qui abbia qualcosa di fondamentale da raccontare, qualcosa di straordinario. E accetta l’invito anche perché lo incuriosisce vedere dopo tanti anni una figura così importante per la sua giovinezza.
Al pranzo lo Svedese gli racconta tante cose assolutamente insignificanti: una vita banale, normale. Per tutto il tempo lì a tavola lo scrittore lo ascolta e si chiede “ma perché questo mi ha invitato qui?”. Si alzano e si salutano. Lo Svedese se ne va, lo scrittore rimane lì e capisce che sotto quella banalità ci deve essere qualcosa di straordinario che quel signore non è riuscito a dire. E tutto il libro è la ricostruzione, da parte di questo scrittore, di quello che il suo idolo di quando era ragazzo, lo Svedese, non è riuscito a dire quando si sono incontrati. Il nascosto di quel pranzo è la storia della famiglia dello Svedese, una famiglia americana tra gli anni 60’ e l’inizio degli anni ’90: una famiglia che parte con tutte le premesse per essere una normale e felice famiglia americana ed esplode senza che nessuno possa fare nulla. Ci mette molte pagine a esplodere. La scrittura di Roth è fantastica, ha una leggerezza straordinaria e una potenza e una forza altrettanto straordinarie. Tu segui questa esplosione rallentata, continua, infinita. E intanto soffri, perché questo è un libro crudele e feroce sulla famiglia, non ha nessuna cautela nel raccontare quello che può succedere (e nella maggior parte dei casi succede) in un nucleo familiare.
Per chi ha un’esperienza di famiglia, per chi cerca di farla o da figlio o da padre o da fratello, questo è un libro guida: ti prende per mano e ti fa scendere dove di solito non osiamo scendere.
È un libro abbastanza doloroso, non dice cose piacevoli ma le dice in un modo sostenibile e forte e vero. Quando l’hai chiuso continui a pensarci. Ho notato una cosa curiosa, tra quelli che l’hanno letto incominciano dibattiti che non finiscono più. Questo è un indice del fatto che i libri vivi sono quelli che non finiscono quando li hai chiusi.
ALESSANDRO BARICCO è tifoso del Toro, ma ammiratore di Pogba: un calciatore che, se fosse stato in campo già nel 2006, sarebbe stato annoverato tra I barbari (Feltrinelli). Nonostante questo saggio sia stato inizialmente pubblicato a puntate su «la Repubblica», Baricco ha dichiarato più volte di non amare troppo le serie tv. Per capirci, i suoi barbari non sono i bruti di Game of Thrones. Non si contano più le volte in cui ha dichiarato che scrivere è un mestiere fisico. Ha raccontato la storia di un pianista che ha sempre suonato sulle onde e un mucchio di altre storie. A ottobre uscirà The Game (per Einaudi Stile Libero), una sorta di sequel de I barbari.