Morto un poeta se ne fa un altro
Un ritratto di Piero Ciampi
“Sono arrabbiato per tre buoni motivi: sono livornese, anarchico e comunista”. Così lo stesso Piero Ciampi si definiva in un’intervista di Lina Agostini del 1976, intitolata: Sono il più bello il più bravo e non perdono.
La biografia di Ciampi è lacunosa. Fece una vita da scapestrato ma tutti ne ricordano il fascino e l’eleganza, il fatto che indossasse sempre e solo giacche e pantaloni scuri, o il dolcevita nero da esistenzialista francese. Alto, molto magro. Quando parlava, sventolava con audacia le grosse mani di fronte agli interlocutori, intento a recitare una sua poesia o tentare di spiegare una sua qualche curiosa visione della vita; altrimenti si chiudeva in se stesso e incrociava le braccia sul petto, come per proteggersi da coloro che, quasi sicuramente, non lo avrebbero capito.
C’è chi lo ricorda come una persona dotata di una sensibilità fuori dal comune; con chi glielo concedeva, entrava facilmente in empatia. Avvenne con Nada, per esempio, che di Piero cantò numerose canzoni, alcune scritte appositamente per lei. Era però anche un alcolizzato inaffidabile, tendente al litigio, alle zuffe e a enormi incazzature. Una personalità bipolare, potremmo dire, in costante oscillazione tra amore idealizzato e odio viscerale, anche nei confronti di se stesso. Un alienato, forse, incapace di affrontare la vita; di integrarsi in una società che richiede ordine, un posto di lavoro fisso, sacrifici per comprarsi una casa e mantenere una famiglia.
Una vita fatta di rinunce. Due matrimoni falliti alle spalle. I figli che non gli rivolgevano più la parola. I soldi sperperati in alcol, sigarette e gioco d’azzardo, ma anche spesso regalati al primo bisognoso che capitava a tiro. Soffrì tutta la vita per la prematura scomparsa della madre, morta quando lui era pressoché ventenne. Credeva in una cosa soltanto: il suo talento. Andava avanti ostinato, sempre pronto a battersi per dimostrare a tutti il suo valore, nonostante i rifiuti e gli insuccessi.
Si dice che abbia viaggiato parecchio. Si sa per certo che andò a Genova, per confrontarsi coi cantautori della scuola genovese. Qui conobbe Gino Paoli, che in seguito lo presentò alla casa discografica RCA di Roma e a Ennio Melis.
“[A Melis] raccontai delle gran balle”, dice Paoli in un’intervista rilasciata parecchi anni dopo la morte dell’amico. Quando il giornalista gli chiede se Ciampi fosse affidabile, risponde: “Come no! Sì, Piero affidabile… Buonanotte! Mi presentai con lui (che in quel momento era sano) e facemmo un contratto: gli feci avere, per l’epoca, una cifra pazzesca come ingaggio. Ciampi volle subito i soldi. Uscimmo dalla RCA. Mi guardò e disse: «Gino, glielo abbiamo buttato nel culo!» Prese i soldi e sparì, andò a cercare la moglie in Inghilterra… Sparì! Però Melis era rimasto affascinato da quell’incontro, e in seguito lo sostenne parecchio e gli fece fare diversi dischi”.
Gian Franco Reverberi invece lo ricorda così: “Aveva una chitarra, un pacchetto di sigarette, un biglietto di sola andata per Parigi e una camicia. Mi ha detto: «Devo fare le mie esperienze; una volta fatte, potrò cominciare a scrivere come dico io»”.
Il periodo parigino di Ciampi è avvolto nella leggenda. C’è chi dice che conobbe Sartre e Céline; che ebbe occasione di ascoltare dal vivo più volte Brassens. Sicuramente frequentò ambienti che contribuirono alla sua formazione.
Quando tornò da Parigi incise il suo primo disco: Piero Litaliano, come lo chiamavano in Francia. Un disco ispirato allo struggimento emotivo, al ricordo, alla necessità di cantare una perdita affettiva incolmabile; accompagnato da una musicalità jazz molto tenue, tranquilla, da sottofondo per locali notturni. I pezzi evocano l’amore di donne idealizzate, ma lo stesso dolore e la stessa mancanza potrebbero echeggiare la morte della madre. Emblematica è la canzone Qualcuno tornerà:
Qualcuno tornerà
per sentire la tua voce,
per dirti che la vita
è un gioco in mezzo ai prati,
che il tempo non ha fine
se vivi per qualcuno.Qualcuno tornerà
per amarti tutti i giorni.
In molti sostennero che il suo modo di cantare fosse troppo simile a quello dei cantautori francesi, e ciò contribuì all’insuccesso del disco.
La svolta decisiva per Piero — non tanto in termini di carriera, quanto di evoluzione della poetica — avvenne quando fu presentato a Gianni Marchetti, un compositore e direttore d’orchestra che aveva già realizzato molte colonne sonore per film italiani. Tra i due si instaurò subito un’amiciziadestinata a durare. Marchetti fu uno dei pochi a credere davvero nel suo talento.
Ciampi rimase molto affascinato da certi arrangiamenti musicali di Marchetti, e spesso li utilizzò come ispirazione per improvvisare versi di canzoni. Altre volte era Marchetti a comporre al pianoforte, d’istinto, seguendo il cantato: fu il caso de L’incontro, una registrazione in studio che divenne un “buona la prima”. Il testo è una poesia di Ciampi che rivela il suo desiderio di incontrare la figlia, nonostante lo stato in cui è ridotto:
Domani
la mia camicia sarà pulita
le mie pupille bianche
e il mio passo fermo.
I calzoni stirati
le scarpe lucide
la mano non deve tremare
costi quel che costi.Non ti potrò baciare
perché
anche tra padre e figlia
l’attesa è sacra
e la diffidenza
necessaria.Forse comincerò
a prenderti la mano
poi non saprò
come continuare.Farò di tutto
perché tu non capisca
il dolore
che in questo mondo
ci perseguita.Stanotte
allenerò le mie labbra
a sorridere
e dovrò quindi pensare
a lavarmi fino alla morte
i denti.
È in questa amicizia con Marchetti, in questa sinergia creativa, che esplode tutta l’ironia di cui Piero è capace. Il dolore resta, ma viene in qualche modo esorcizzato da una risata nei confronti di se stesso e dei propri fallimentari rapporti d’amore. I recitativi hanno un ritmo incalzante: in Adius, per esempio, dopo una prima parte estremamente poetica, Ciampi manda a fare in culo la compagna che lo ha lasciato.
E così…
Vuoi stare vicina? No?
Ma vaffanculo. Ma vaffanculo.
Sono quarant’anni che ti voglio dire… ma vaffanculo.
Te e tutti i tuoi cari. Ma vaffanculo.Ma come? Ma sono secoli che ti amo, cinquemila anni,
e tu mi dici di no? Ma vaffanculo.
Sai che cosa ti dico? Vaffanculo.Sai che bel vaffanculo che ti porti nella tomba?
Perché io sono bello, sono bellissimo, e dove vai?
Ma vaffanculo.
E non ridere, non conosci l’educazione, eh?
Portami una sedia, e vattene.
Un altro caso è quello di Te lo faccio vedere chi sono io, una sorta di monologo irriverente dal sarcasmo corrosivo. Ciampi si rivolge alla moglie: ammette le proprie mancanze in quanto marito, la povertà in cui vivono, ma con orgoglio virile e con l’estro della fantasia rivendica capacità sconfinate.
Una regina come te in questa casa?
Ma che succede?
Ma siamo tutti pazzi?
Ma io adesso sai che cosa faccio?
Che ore sono? le undici?
Io fra — guarda — fra cinque ore sono qua
e c’hai una casa con quattordici stanze.
Te lo faccio vedere chi sono io!
E che sono quei cenci che hai addosso?!
Ma come! Tu sei la “mia”…
e stiamo in questa stamberga coi cenci addosso!
Ma io adesso esco, sai che cosa faccio?
Ma io ti porto una pelliccia di leone con l’innesto di una tigre.Te lo faccio vedere chi sono io!
Senti, intanto però c’è un problema:
siccome devo uscire
mi puoi dare mille lire per il tassì
in modo che arrivo più in fretta
a risolvere questo problema volgare che abbiamo?Ma che cosa ti avevo detto, una casa?
Ma io ti compro un sottomarino.
Perché? Se qui davanti a casa nostra
quelli c’hanno la barca e rompono le scatole,
io ti compro un sottomarino!
Così, sai, li fai ridere tutti, questi, hai capito?
Intanto facciamo una cosa
che fra cinque ore sono qua:
tu metti la pentola sul fuoco
ci facciamo un bel piatto di spaghetti al burro
mentre aspettiamo il trasloco,
poi ci ficchiamo a letto
e te lo faccio vedere chi sono io: ti sganghero!
Te lo faccio vedere chi sono io!Io non ti compro il sottomarino:
ti compro un transatlantico!
Basta che tu non scappi, stai attenta
che se scappi col transatlantico
ti affogo nell’Oceano Pacifico!
Dai, dai, coricati, vai che ti sganghero…
Te lo faccio vedere chi sono io!
Ciampi e Marchetti continuarono a incidere assieme ma, come ricorda lo stesso Marchetti, “Il problema era la promozione. Il più delle volte, Piero si rivolgeva malamente al pubblico. Indifferente alle risate e ai fischi di disapprovazione, riversava sugli spettatori sbigottiti le sue invettive con gusto, tra il divertito e l’arrabbiato”.
In televisione non andò meglio. Assieme a Marchetti, Piero accettò che Rai 2gli dedicasse una breve trasmissione, ma prima di iniziare a registrare litigò con Sylvia Del Papa, dirigente Rai incaricata di seguire il progetto. Nonostante i due artisti si fossero presentati puntuali, dovettero attendere che lei finisse di organizzarsi il weekend al telefono. Quando furono finalmente ricevuti in ufficio, Piero notò sulla scrivania il disco ancora avvolto nel cellophane. Sentendosi preso in giro, pretese di cambiare il titolo della trasmissione, ma non gli fu concesso. In apertura del programma, lui stesso comunicò al pubblico, in tono ironico e un po’ biascicato: “Il titolo di questa trasmissione non è che mi dispiaccia, ma io ne preferirei un altro, e ve lo propongo: Morto un poeta se ne fa un altro. Per cui nessuno è indispensabile. Ma io sto pensando che la vita è l’unica cosa che ho. E la sposa della mia vita che cos’è? È l’amore. Per questo io canto sempre l’amore”.
La trasmissione, ritenuta troppo fuori dagli schemi, fu mandata in onda solo anni dopo.
Ciampi non leggeva molto ma assimilava in fretta gli autori con cui meglio si accordava la sua sensibilità poetica, come Céline, Kerouac, Camus, Hugo. Scrisse molte poesie; in genere molto brevi, perché prendeva appunti di getto, mentre beveva nei bar, e per scrivere aveva a disposizione solo tovagliolini. Non per questo le sue poesie sono meno incisive, anzi, molte di esse sono fulminanti:
La vita.
È
un tumore
cosmico
che ci lascia
con la prima
marea.
Quando metteva le poesie in musica, a volte le riscriveva o ricomponeva. Per esempio, Sporca estate nasce dall’unione di due poesie differenti, accomunate dal tema dell’incapacità di essere affidabile come marito e padre:
Figli, come mi mancate.
Sporca estate.
E tu che dici
che ho distrutto la tua vita,
capirai mai
che il tuo dolore
si è aggiunto al mio?Nella mia vita non ho fatto
che rimorchiare,
sporca estate,
a mia volta rimorchiato,
quindi definitivamente scaricato.Figli, vi porterei a cena
sulle stelle,
ma non ci siete.
La canzone si conclude con Piero che, accompagnato dal pianoforte malinconico di Gianni Marchetti, continua a ripetere “ma non ci siete”, acuendo nell’ascoltatore il sentimento di solitudine.
Negli ultimi anni di vita, non scrisse quasi più nulla. Minata dall’alcol, la spinta creativa si era affievolita. Nell’intervista già citata di Lina Agostini del 1976, aveva detto:
- È la morte che mi fa soprattutto rabbia, perché non la posso fregare.
- E quando dice “io sono il più grande, l’unico”, chi cerca di fregare, se stesso o gli altri?
- Io sono davvero il più grande di tutti perché posso prendere trecentomila lire per sera e anche mezzo milione e mandare un altro a cantare al posto mio. Tanto chi conosce Piero Ciampi?
Negli ultimi dieci anni, artisti come Morgan, Vinicio Capossela e il livornese Bobo Rondelli hanno cercato di riscattare la figura di Piero Ciampi incidendo alcune sue canzoni e proponendole in concerto. I Baustelle, nel 2008, gli hanno reso omaggio nella canzone Baudelaire: “Nei fiori dei campi / vive Piero Ciampi”.
Nonostante sia diventato un piccolo fenomeno di culto, rimane tuttora sconosciuto alla maggior parte del pubblico. Per quale ragione? Forse la risposta migliore l’ha data Roberto Vecchioni, nel corso di una serata del 2014 organizzata a Livorno con lo scopo di ricordare il cantautore.
Vecchioni si è espresso con profondo affetto, sottolineando tutto ciò che lo lega personalmente alla figura di Ciampi, ma quando il giornalista gli ha chiesto se esista la possibilità di una riscoperta del cantautore, nel panorama musicale odierno, ha risposto: “Il problema di Ciampi è che non è ascoltabile, non ha grandi melodie, quindi come fa ad arrivare al pubblico? È arrivato a chi ha attenzione, sta lì e ascolta, cioè, arriva alle persone intelligenti, alle persone che oltre al cuore hanno anche intelligenza. Quindi togliamoci dalla mente che il novanta percento delle persone, e anche dei giovani, purtroppo, di questo mondo, di questa Italia, possano ascoltare Ciampi. Non lo ascolteranno mai”.
Ciampi morì nel 1980 per un cancro all’esofago. L’amico Gianni Elsner, attore e conduttore radiofonico, ha raccontato: “Piero stava già male e quando gli chiesi cosa avrebbe maggiormente desiderato, rispose: «Un fiore». Lo annunciai attraverso la radio e il giorno dopo, all’ospedale, centinaia di persone attendevano fuori dalla porta, tutte con un fiore in mano. La sua stanza era da venti letti. L’ho fatto sedere, lavato e pettinato, e come per un’azione di teatro ho dato il via. Tutti sono sfilati davanti a lui, lasciandogli il loro fiore — da vivo, non da morto! Gli riempirono il letto, e lui, tra l’incredulità e la commozione: «Ma sono tutti per me? E gli altri?» Io risposi: «Sì, sono tutti per te, gli altri avranno tempo». Morì il giorno dopo”.