Fondata sulla paura

L’ingrediente magico alla base della politica e forse della Repubblica

hamilton santià
The Catcher
6 min readDec 30, 2017

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Quest’articolo è originariamente apparso sul numero di novembre 2017 (anno 53, numero 11) della rivista «Linus».

A volerla risolvere con una frase, si potrebbe dire che l’intera storia della politica è in realtà una storia della paura. Questo perché non esiste un carburante più efficace della paura per costruire, maturare e controllare il consenso. Sia che si tratti di veri e propri regimi, sia che ci si muova in contesti di democrazia liberale, è la paura il vero motore occulto della Ragione di Stato. È in nome della paura che si costruiscono intere strategie di comunicazione e campagne elettorali.

Le mani la città (via)

È in nome della paura che, una volta al governo, si attuano provvedimenti impopolari e inaccettabili. È in nome della paura che si alimenta la dialettica tra maggioranza vs opposizione e, a un livello più «metafisico», tra Palazzo e Piazza. È la paura che muove, che permette di evolvere e al tempo stesso devolvere, che costruisce e al tempo stesso distrugge.

Bastano gli ultimi anni della storia di questo Paese a raccontarcelo. Senza andare troppo in là con la macchina del tempo, ricordiamo solo come l’ascesa straordinaria di Silvio Berlusconi fosse fondata sulla paura per la vittoria elettorale dei comunisti e le loro ricette (?) liberticide (!); o come la paura per la salita vertiginosa dello spread — il differenziale tra i titoli di Stato italiani e a quelli tedeschi — permise al Governo austero di Mario Monti di agire in un clima di ossequioso rispetto da parte di un’opinione pubblica che, solo qualche anno dopo, avrebbe riempito le piazze rovesciando tutta la paura repressa contro il sistema colpevole di averli impoveriti e di averli privati di una qualsiasi visione di futuro.

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Anche questa è paura, quel misto di rabbia e risentimento che è alla base, ad esempio, dell’analisi che propone Leonardo Bianchi nel suo recente La Gente (minimum fax), e che rappresentano i nuclei forti di un atteggiamento, mentale prima che politico, capace di influenzare quando non di costruire intere architetture di pensiero. L’Italia, potremmo esagerare, è una repubblica democratica fondata sulla paura. Se guardiamo ogni statistica, anno dopo anno, la fiducia degli italiani nei confronti della politica e dei partiti è sempre più bassa.

La rottura del patto, dopo anni di promesse mancate e l’emersione di atteggiamenti dubbi — un bubbone che esplode grazie al racconto de La Casta, il libro del 2007 di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella che, semplicemente, ha cambiato tutto — ha portato le formazioni politiche ad agire in modo diverso. Incapaci di interpretare il mondo per come stava diventando e senza i mezzi e la credibilità per costruire un’idea di Paese fatta di sacrifici e di orizzonti, i politici hanno inseguito sempre di più gli umori di una piazza che diventava via via risentita (e non rivendicativa), cercando modi più semplici per guadagnare un consenso che, nell’attuale scenario, bisogna conquistare giorno dopo giorno.

Quello che indichiamo come populismo in realtà è un atteggiamento che non nasce con la nuova politica a 5 Stelle, ma che è sempre stato una sorta di abito del Paese.

Adesso è solo diventato pensiero dominante. Dal taglio ai costi della politica e ai privilegi della casta, agli attacchi inusitati e isterici verso qualsiasi cosa sembrasse «complessa», si è costruita un’arena fatta di sentimenti e spinte irrazionali in cui la retorica della gente comune contro i politici di professione ha trasformato tutto in una indistinta massa che, per tornare a Elias Canetti, si determina proprio per «timore di essere toccata». Questo indistinto costruisce la propria politica, appunto, sulla paura. La paura del diverso, prima di tutto. Un diverso ontologico, caratterizzato proprio da un’alterità stilistica prima che mentale o razziale. È il meccanismo della logica tribale, che porta all’annientamento. Io difendo solo i miei simili e se sei diverso da me ho il dovere di distruggerti: ne va della mia sopravvivenza. Che tu sia iscritto al Partito democratico, a Forza Italia, al Movimento 5 Stelle, alla Lega Nord o ai partiti di sinistra, se fai politica nel 2017, sarai mosso dalla paura di essere distrutto, e allora distruggi per primo.

Ma è anche la paura del confronto e del compromesso, dell’incontro a metà strada, dell’idea che la politica sia una costruzione di ponti oltre le divisioni. La paura di sporcarsi e di contaminarsi. Le formazioni politiche che dichiarano con fierezza il rifiuto totale delle coalizioni e delle alleanze ammantano il tutto di granitica sicurezza, ma correre da soli è esso stesso una grandissima forma di paura. E c’è poi la paura della privazione, di percepire la negazione, l’impoverimento, il vero kerosene sull’incendio sociale che stiamo vivendo in questi anni. La paura della miseria che porta all’annientamento definitivo, alla negazione della persona come animale pubblico e del mondo contemporaneo come somma e sintesi di diversità e connessioni. Stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte.

Infatti lui è tornato (via)

Erigiamo il muro e spariamo a tutti quelli che temiamo possano danneggiarci. Dai migranti che ci rubano il lavoro ai vecchi che non rinunciano ai propri privilegi; dai gay che attaccano l’unità della famiglia tradizionale agli islamici che oltre a essere terroristi vogliono sostituire il popolo italiano; dall’euro, che è in realtà una moneta-clava strumento dell’Impero che asservisce i popoli, alla politica — ovviamente — che complotta per rendere l’elettorato sempre più servo e sempre più povero.

È la paura, baby, e non mi sento molto bene.

Ci hanno insegnato che la paura si argina con la ragione, con il dialogo e con la conoscenza. Ma negli ultimi anni abbiamo assistito agli effetti indesiderati di quei frutti puri che, come nella migliore tradizione antropologica, impazziscono. Con internet infatti abbiamo subito l’effetto opposto rispetto all’utopia di inizio secolo che tanta immaginazione aveva ispirato. Nata come infrastruttura emancipatoria capace di generare conoscenza gratuita e illimitata cui accedere, internet è via via diventato anche il luogo della Propaganda totale.

Buongiornissimo referendum! (da questo articolo di Bianchi su Vice)

Non importa che il tuo partito di riferimento sia istituzionale o antisistema, cedono tutti a logiche e strategie di propaganda che, portando nei social la logica dell’annientamento, puntano solo al risultato e non si fanno problemi a usare ogni mezzo, anche sporco. È il caso ad esempio — citato sempre da Leonardo Bianchi in chiusura di libro — della comunicazione gentista del Partito democratico durante l’ultimo periodo della campagna per il referendum costituzionale del 2016, per cui sia la comunicazione ufficiale, che ufficiosa, faceva ampio uso di meme (usati come vettore elementare per divulgare informazioni utili e spesso non verificate) e fake news che alimentavano la paura di quello che c’era «oltre» nella speranza, appunto, di tenere e guadagnare voti.

Non è un caso isolato, ma è paradigmatico. Questa paura genera una propaganda che non conosce confini e che si mette lei stessa a distruggere il confine tra vero e falso. Quello che conta è il risultato. Quello che conta è la distruzione dell’altro. Quello che conta è smettere di avere paura.

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